Pensiero Meridiano

 

La solitudine del Cavaliere nel suo bunker

di Francesco Merlo

Il mare, perduto ad una visione di dominio, il mare delle Repubbliche Marinare per intenderci, è stato degradato in Italia a via di fuga della classe dirigente, il bosco dei perdenti, la nave della monarchia che salpando da Brindisi sfugge alle proprie responsabilità e ai propri insuccessi […]. Persino nella barca a vela di D 'Alema e di altri leader politici c'è una traccia di escapismo, un elemento, un retrosapore, peraltro consapevole, di "fuggiascheria". C'è chi dorme con la pistola sotto il cuscino e c'è chi sta sveglio con il sottomarino in casa.

Di sicuro, quel che Silvio Berlusconi sta costruendo nella sua ridotta privata di Villa Certosa, in Sardegna, irradia significati più potenti dell'imbarazzato segreto di Stato che ne protegge i lavori: l'anfiteatro, il tunnel, le mine d'acqua e, perché no?, gli aerosiluranti. Insomma la metafora sarda, tanto più chiara quanto più segreta, è che Berlusconi vuole rendersi imprendibile, col guizzo dell'anguilla e con la testardaggine del mulo.

«Mare mare mare voglio annegare/portami lontano a naufragare/ Vìa via via da queste sponde, portami lontano sulle onde» è il grande successo di Battiato.

Come molti sanno, Berlusconi teme che, quando fosse politicamente sconfitto, subito i "comunisti" lo manderebbero in galera. Dunque con la presindrome del conte di Montecristo, Berlusconi a Villa Certosa gioca d'anticipo e si costruisce il bunker. In pochissimi anni ha infatti sfarinato il bastone del comando più concentrato e più diffuso che la storia repubblicana abbia mai conosciuto. Berlusconi del resto, se si vuole essere onesti e se si crede nella democrazia, aveva sicuramente intercettato la voglia di svecchiamento del paese, bloccata dalla cultura politica del consociativismo catto-comunista. Con lui, che vantava e ancora vanta in Parlamento la più forte maggioranza politica della storia democratica italiana, si schierò, per esempio, anche la Fiat di Giovanni Agnelli, il quale convinse Renato Ruggiero a incarnare la politica estera della nuova voglia e introdusse Henry Kissinger nelle frequentazioni del cavaliere. La stragrande maggioranza degli industriali, la stessa che ora ha eletto Montezemolo "contro" di lui, ancora tre anni fa aveva dato credito alle ambizioni liberali di Berlusconi, meno tasse e più impresa, meno Stato e più mercato, disoccupazione zero, più diritti individuali e meno sindacato.

Era il Berlusconi che piaceva agli italiani emergenti, probabilmente già fuori dalle ideologie, quelli dei nuovi mestieri, dell'informatica, sembrava loro che fosse un imprenditore concreto, impolitico e quindi dentro le cose, una variante della Thatcher, ma con il tocco e l'orecchio italiani, l'aderenza alle cose e le barzellette che sdrammatizzavano il fosco della politica, la nave, l'azzurro, il sorriso... Con lui, a legittimarlo, c'era persino la simpatia dei radicali di Emma Bonino e Marco Palmella, che sta sempre sopra lo steccato e mai può essere comprata. E ancora Lucio Colletti e Giuliano Ferrara come intellettuali forti, e poi Vertone, Rebuffa, Melograni, Pera...

Berlusconi aveva dalla sua i preti di Roma e i liberali laici, tutti i club service, i Rotary e i Lyóns, ma anche l'Opus Dei e la massoneria, il notabilato meridionale, il vecchio potere acchiappa voti della Dc. Aveva, ovviamente, giornali e televisioni, e quella iniziale neutra benevolenza della stampa indipendente che è dovuta a tutti i governi nei loro primi cento giorni.

Oggi non è più così. La società italiana è delusa per un investimento fuori bersaglio, perché è rimasta con i problemi dì sempre, aggravati dalla perdita di un'illusione. La decadenza libera forze che altrimenti sarebbero rimaste addormentate o incomprese. Ma nessun patto "contro" Berlusconi  stato siglato in qualche località segreta da industriali e sindacati, da intellettuali e operatori sociali, tra vecchi e giovani, belle donne e arcivescovi... Tutti cercano una via, la strada per dare competitività all'impresa italiana nel mondo e per ridurre i margini dentro cui vivacchiano i nuovi poveri. Vogliamo tirarci fuori dal decadimento dell'economia, della scuola e del sistema universitario, vogliamo tornare in giro per il mondo a fare da furieri, vogliamo l'arrosto e non il forno, e non è più il momento della vecchia linea divisoria e infantile tra il datore di lavoro e il dipendente, nel mondo moderno c'è una complicità straordinaria che è tutta fondata sull'efficienza.

C'è come un sentimento di solidarietà e forse addirittura di amicizia nazionale dentro il quale Berlusconi non è riuscito a trovare posto, e non perché Montezemolo, Marchionne, Mediobanca, la Borsa, la Consulta, lo stato maggiore dell'esercito, la polizia di Stato e il Papa siano diventati di sinistra. Il notabilato meridionale sta traslocando e non per semplici ragioni elettorali ma perché sente franare il terreno sotto i piedi, il vecchio aforisma che cumannari è megghiu di futturi con Berlusconi subisce un rovesciamento passivante dove chi pensava di cumannari resta futtuto, e chi frega resta fregato. L'abbagliante maschera funebre della decadenza berlusconiana, la lux aeterna scopre la sostanza della politica meridionale che non ha ne destra ne sinistra ma è ancora fatta di trasformismo e di opportunismo.

Su ben altri versanti Giuliano Ferrara e il suo Foglio non ammiccano certo all'avversario di ieri, meno che mai strizzano l'occhio elettorale all'opposizione di Prodi. Non sono passati dall'altra parte, ma sono disincantati e lealmente smarriti. Soltanto un ossesso con categorie politiche trapassate può ritenere che il proprio insuccesso sia il risultato di un complotto degli abitanti dei sotterranei, «l'ombra contro la luce». La caduta di Berlusconi, quale che sarà la sua durata e il suo esito, non sta avvenendo per uno sgambetto, ma per un inciampo. E la lealtà disincantata e irreversibilmente sfiduciata del Foglio, così aperta e dichiarata, è un corrosivo ben più efficace e potente degli improperi e degli insulti, degli allarmi incredibili dell'Unità.

Insomma in Italia si è capito che  Berlusconi è inadeguato e nessuno può più rimetterlo in piedi. Chi ne ha fatto un monumento deve riconoscere che la statua è ampiamente solcata da faglie e da fratture. La sua impresa politica fallisce per mancanza di progettualità e di classe dirigente, per una visione miope tutta rivolta al cortile di casa, ai problemi personali, all'aziendalismo inteso come microeconomia che non deve essere distratta dai programmi nazionali, la tv come ossessione, i comunisti, la persecuzione degli innocui comici... Persino la scelta americana e israeliana non sono il risultato di una politica estera costruita per l'Italia. La politica estera di Berlusconi è la passiva attrazione di una calamità che risucchia questo corpo inerte e in decadenza che è diventato il nostro Paese. Anche quella parte d'Italia che vuole restare in Iraq vorrebbe restarci per posizionare politicamente, culturalmente ed economicamente, l'Italia. Insomma non per compiacere l'amico George ma per aiutare il presidente Al Yawar.

Sarà un caso ma nella malattia di Bossi c'è anche la parabola di Berlusconi, sono le due forme diverse di una stessa sostanza, l'uno ha perso la forza fisica e l'altro il carisma. Il celodurismo è ricoverato in ospedale e la sfrontatezza si è nascosta nel bunker di Villa Certosa. Berlusconi ha perso il tocco e l'orecchio e ormai le sbaglia tutte. Le famose battute, i motti di spirito, le corna, la gestualità apotropaica che avevano un che di sorprendente e quindi di piacevole ormai sono pane cotto, neppure i vignettisti se ne occupano, non assumono più le trovate del Cavaliere come materiale su cui infierire, sono sparite dal repertorio di Beppe Grillo, nessuno su Intemet tarocca più i suoi manifesti (ricordate meno tasse per Totti?), e agli indignati sta venendo l'ulcera non potendo più proiettare il proprio malumore in saggistica contro il cavaliere. Non c'è più bisogno di loro perché Berlusconi si fa male da solo, incespica su stesso.

Così, a un'Italia funestata dai morti in Iraq e dalla scomparsa di grandi uomini dell'economia, Berlusconi dice che «i funerali! sono perdita di tempo», ballonzola con il Milan mentre i soldati muoiono, furoreggia inutilmente contro i sindacati che avrebbero invece bisogno di conforto per tenere testa e mantenere un clima di civiltà tra i disoccupati e le fabbriche che chiudono. Con i sindacati bisogna parlare, in contrapposizione o in accordo. A che serve insultarli? Berlusconi non fa più audience neppure nella sua fedele Porta a Porta, a Batti e Ribatti è andato due volte e ha segnato due record negativi, tra sé e il mondo ha messo la Certosa delle proprie paranoie e dei propri ritardi, in quello specchio di mare di Sardegna Narciso è diventato autistico. E da quel bunker segreto si irradia una rappresentazione povera degli alleati di Berlusconi che, incapaci di progetti e prigionieri di politiche arcaiche, sono stati utilizzati come massa parlamentare per il falso in bilancio, per la legge Gasparri, per aiutare Previti. Oggi è sempre più solare la loro spettralità e la loro inconsistenza. Il tramonto di Berlusconi illumina il cimitero dei suoi alleati. E si capisce che anche per loro Berlusconi è stata un'imboscata. Il bell'appuntamento amoroso era una trappola.  Ma stiano attenti quelli della sinistra a pensare che stanno vincendo, rischiano di commettere lo stesso errore che ha commesso Berlusconi.

L'Italia sta esprimendo un umore che deve ancora essere qualificato dalla politica. Nell'Italia che si riorganizza senza Berlusconi, in questo evidente cambio di stagione c'è un sogno da sgonfiare. Ebbene, forse quello italiano è ancora il sogno liberale, radicale e laico che Berlusconi seppe intercettare e strumentalizzare, mai valorizzare.


la Repubblica, 3 giugno 2004

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