È a tutti
noto che tra le molteplici realizzazioni d'avanguardia dell'inizio
del XIX secolo accreditate al Regno delle Due Sicilie, vi è quella
di avere costruito un piroscafo del Mediterraneo, il Ferdinando I,
varato a Napoli nel 1818.
Pochi
sanno, invece, che nella vicina Spagna, un anno prima, era stato
realizzata una analoga iniziativa con il Real Fernando, il
primo piroscafo costruito nella penisola Iberica. Mentre del
Ferdinando I si è più volte occupata la Rivista Marittima
altrettanto non può dirsi del Real Fernando, che pure riveste
un ruolo importante nella storia del progresso navale. Ecco pertanto
una sintesi della storia delle due unità, necessaria per stabilire i
relativi confronti.
Il Ferdinando I
Spetta al
re Ferdinando I di Borbone ed all'aristocrazia napoletana il merito
di avere sostenuto le proposte di uno straniero, il capitano
marittimo francese Pietro Andriel, fervente ammiratore di Roberto
Fulton e della suo battello fluviale Vermont varato nel 1807.
Non avendo trovato sostenitori in Francia, Andriel espose le proprie
idee alla Corte napoletana che le accolse così favorevolmente da
indurre Ferdinando I a concedergli il 17 gennaio 1817 il monopolio
della navigazione a vapore sulle acque del Regno. È accordato a
Pietro Andriel, nativo di Montpellier il privilegio di privata della
durata di 15 anni per la navigazione accelerata a mezzo di trombe a
fuoco, detta navigazione a vapore, nelle acque che bagnano il
litorale nei fiumi del nostro Regno delle Due Sicilie, qualunque sia
il sistema di costruzione delle dette trombe. Sorse così,
finanziata da membri dell'aristocrazia e del mondo economico
partenopeo, la «Compagnia privilegiata per l'introduzione della
navigazione a vapore nel Regno delle Due Sicilie», con sede al
numero 32 del vico Concezione a Toledo, che commissionò per la somma
di 5.780 ducati al cantiere Filosa, ubicato nei pressi del Forte
Vigliena, la costruzione di una unità lunga fuoritutto 38,80 m e
larghezza massima 6,15 m nella quale sarebbe stato installato, a
cura di una ditta inglese, il nuovo e rivoluzionario apparato di
propulsione, costituito da due caldaie lunga ciascuna sei metri e da
una macchina da 45 cavalli di potenza collegata a due ruote laterali
del diametro di 3,60 m, ciascuna munita di otto pale lunghe 1,20 m e
larghe 40 centimetri. L'alberatura era a brigantino a palo con un
fumaiolo alto e sottile. A poppa venivano realizzati 16 camerini per
“passeggeri di distinzione”, mentre a prora era disponibile un
locale comune con una cinquantina di posti a sedere. Sul ponte c'era
spazio sufficiente per imbarcare due o anche tre carrozze.
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Il
Ferdinando I |
La nave,
battezzata Ferdinando I, fu varata il 24 giugno 1818 e
affidata al primo alfiere di vascello della Real Marina don Giuseppe
Libetta. Durante l'estate venne effettuato il collaudo nel golfo con
numerose uscite che valsero alla nave da parte di napoletani. che
certo non mancano d'arguzia, il suggestivo nomignolo di
Serpentone per via del lungo e sottile fumaiolo. Durante le
prove, in assenza di vento e con le vele serrate, si raggiunse la
velocità di 6.5 nodi.
Un inizio felice
Il
viaggio inaugurale. alla volta di Genova e Marsiglia, con 3
passeggeri e 11 persone d'equipaggio, ebbe inizio il 27 settembre
1818, con arrivo al primo porto intermedio, Livorno, il 5 ottobre.
All'inizio le cose non andarono affatto male, come si evince dal
giornale di bordo:
"Salpammo
da Napoli alle ore cinque, malgrado il vento contrario. Alle 7
eravamo al traverso del faro di Procida ed ivi essendo passato il
vento ad ESE la nave provò violente scosse e si dovette fare uso di
una sola ruota. Alle 6 di sera eravamo nei paraggi di capo Circello,
ma il tempo procelloso ci obbligò a riprendere il largo e rivolgere
la prora all'isola di Ponza. Nella notte, essendosi stabilito il
vento da SE dirigemmo a Fiumicino dove si giunse a mezzogiorno.
Colà vedemmo venire incontro talune barche quasi in soccorso perchè
i marinari di esse, ingannati dal fumo che esalava la macchina a
vapore, e dall'essere noi privi di vele, dubitavano di qualche
incendio. Il capitano Libetta dopo avere rinunciato a risalire il
Tevere per raggiungere Roma per i rischi che avrebbe presentato tale
tratto di percorso fluviale, decise di riprendere la rotta. Erano le
10 di sera quando arrivammo a Civitavecchia e tutta la notte si
rimase a bordeggiare davanti a Capo Linaro in attesa del giorno.
Allo spuntar del sole ripartimmo per Monte Argentario. In quest'ultimo
luogo avvenne che uno dei nostri marinari non bene istruito nel
gittare il carbone dentro il fornello, danneggi la caldaia. Questo
accidente ci costrinse a fermarci qualche ora a Porto Ercole da dove
partimmo il 4 ottobre a mezzogiorno. La mattina seguente alle ore
9.30 eravamo in rada a Livorno".
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Ferdinando I, studio di modifica. Archivio di Stato Napoli |
Il 13
ottobre alle 22 il Ferdinando I salpava dal porto labronico
alla volta di Genova, dove attraccava la sera dell'indomani
suscitando un grande interesse negli ambienti commerciali e armatori
locali, i cui esponenti si affrettarono a visitare la nave, spesso
accompagnati da diverse dame dell'alta società che non disegnarono
di scendere nel locale caldaie. La partenza per Marsiglia dovette
essere ritardata per una prolungata manutenzione delle caldaie, ma
il contrattempo si trasformò in un vantaggio poichè consentì alla
nave, carica di autorità e di giornalisti, di effettuare il 25 e il
26 ottobre due brevi uscite dimostrative, con esito molto
favorevole. Tra i giornalisti vi era anche il corrispondente de
Il Conciliatore di Milano che così le descrive in un servizio
pubblicato il 10 novembre: “L'altro ieri il bastimento a vapore
Ferdinando I, della portata di 260 tonnellate, condotto dal sig.
Wolf (molto probabilmente si trattava del direttore di macchina,
quasi certamente inglese ndr) fece una prima sortita da questo
porto, e ieri una seconda. Egli traghettava da Napoli a Livorno in
56 ore. Il bastimento è lungo 126 piedi e largo 28; la sua
costruzione però può essere ancora perfezionata (sic!). Vi si
trovano due alberi da porvi la vela all'opportunità, cosa ottima
onde profittare del vento favorevole, risparmiando il combustibile
per andare con le ruote a remi. Evvi una stanza per passeggeri,
capace di una cinquantina di persone; e possono più di 200 individui
rimanere sopra la coperta. Oltre a ciò 60 tonnellate in circa di
mercanzia vi possono essere trasportate. Domenica 26 partimmo a
un'ora pomeridiana verso Sestri, riva di ponente, con vento di terra
forte e favorevole. Il bastimento percorse 5 miglia all'ora
nell'andare e altrettante nel venire, quantunque al ritorno il vento
fosse in gran parte contrario. L'ondulazione era così leggera che
nessuna delle persone a bordo, e vi erano anche molte dame,
soffersero punto. Il giorno seguente sortimmo la medesima ora.
Soffiava il vento egua1mente forte di tramontana e il sig. Wolf
diresse il bastimento verso il Lazzaretto, riva di levante, onde nel
tornare indietro mostrare quanto fosse indifferente il battere
contro vento. Le caldaie, già riscaldate alla cosa del giorno
precedente, resero più attivo il moto delle ruote e in tal giorno,
tanto nell'andata che nel ritorno si fecero più di cinque miglia e
mezzo all'ora. Si girò con la massima facilità entro il porto e si
fece vedere a fermare le ruote a volontà. Eranvi a bordo nel secondo
giorno più di 150 persone; il governatore, il duca Dalberg, quasi
tutti i consoli esteri, la principale nobiltà e molti de' primi
negozianti. Ognuno rimase infinitamente soddisfatto”.
Il 30
ottobre il Ferdinando I al comando dell'alfiere Andrea De
Martino che aveva nel frattempo sostituito don Libetta, salpava alla
volta di Marsiglia, raggiunta in serata, dove si replicò il successo
ottenuto a Genova.
I conti non tornano
Tutte
rose, dunque? No, perché a dispetto di tanti riconoscimenti la
gestione commerciale del bastimento risultò del tutto passiva, tanto
che il 19 dicembre 1819, al comando questa volta dell'alfiere
Giuseppe Mancuso, venne deciso di farlo rientrare da Marsiglia alla
sede di armamento per il suo disarmo. Il trasferimento fu a dir poco
avventuroso: al traverso di Portovenere la macchina cessò di
funzionare, per cui i passeggeri vennero fatti sbarcare a Lerici,
mentre la nave procedette a vela per La Spezia, dove furono riparate
le avarie. Afflitto anche successivamente da una serie di
fastidiosi, e costosi, inconvenienti tecnici, il Ferdinando I
soltanto l'8 marzo potette raggiungere Napoli, dove fu posto in
disarmo e qualche anno dopo demolito.
Nasce in Spagna la CNQ
All'inizio del XIX secolo le comunicazioni terrestri tra la città di
Siviglia e il suo porto Cadice, non erano davvero agevoli, in
particolare per quanto riguardava l'ultimo tratto, dopo Jerez de la
Frontera. Venne pertanto fondata la Compañia de Navigación del
Guadalquivir (CNQ) allo scopo di utilizzare questo importante fiume
- nasce nella Sierra de Cazorla e raggiunge l'Atlantico dopo 600
kilometri - per il trasporto di merci e passeggeri. Per realizzare
tale obiettivo, venne costruito in un cantiere situato a Siviglia
nel barrio di Triana, sotto la guida di un noto mastro carpentiere
di nome Cabrera, un battello a vapore lungo 21,43 m e largo 3,65
dotato di due ruote a pale, privo di sovrastrutture, con un solo
albero e con tutta intorno alla coperta una vistosa battagliola i
cui candelieri erano costituiti da eleganti colonnine in legno
tornito. Era in grado di trasportare 95 passeggeri, sistemati sul
ponte e in due locali, uno a proravia e l’altro a poppavia della
macchina a vapore. Quest'ultima era stata commissionata, anche in
questo caso in Inghilterra, alle Officine Boulton & Watt. e quindi
montata a Siviglia da meccanici della stessa ditta: era in grado di
erogare una potenza di 40 cavalli. Benedetto il 15 marzo 1817 col
nome Real Fernando - ma poi chiamato meno pomposamente
“Betis” dall'antico nome del capoluogo andaluso - e varato il
successivo 20, diede inizio il 26 giugno al viaggio inaugurale.
Purtroppo, poco dopo avere mollato gli ormeggi da Siviglia si
verificò un guasto alla macchina e gli invitati furono costretti a
rientrare a piedi in città. Non solo, ma anche il successivo viaggio
si concluse con un rientro forzato dai passeggeri da San Juan de
Aznalfarache. In realtà si era verificata una perdita nella caldaia,
determinando un calo di pressione che aveva in pratica immobilizzato
il movimento delle due ruote.
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Il Real
Fernando |
Tali
inconvenienti non impedirono tuttavia di inaugurare con grande
solennità il 18 luglio 1917 il primo collegamento regolare
Siviglia-Cadice, durante il quale, nel tratto fluviale si riuscì a
mantenere una velocità media di 6 nodi. A bordo presero posto 95
invitati i quali, dopo il tratto fluviale lungo un centinaio di
chilometri snodatosi ai piedi della Sierra Morena, poterono fruire
di una sosta a Sanlùcar de Barrameda, tra i magnifici aranceti,
feudo un tempo del duca di Medina Sidonia (il cui nome è legato alle
vicende dell'Invincibile Armata). Una volta rifocillati e tornati a
bordo ebbero poi la fortuna di incontrare un Atlantico estremamente
mansueto, durante la navigazione costiera tra Chipiona, Rota e
Cadice. L'iniziativa della CNQ non ebbe tuttavia fortuna, a causa
delle continue avarie all'apparato motore; quindi il Real
Fernando venne radiato dopo meno di un anno di servizio. Così un
destino del tutto simile accomunava il borbonico Ferdinando I
alla prima unità a vapore costruita in Spagna.
Per concludere è
bene aggiungere che una nave a ruote denominata Real Ferdinando
navigò qualche anno più tardi nel Mediterraneo sempre sotto la
bandiera del Regno delle Due Sicilie: dislocava 230 e disponeva di
una macchina della potenza di 144 cavalli.
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Il "Real Ferdinando", olio su tela di S. Fergola,
1828 ca.
Napoli,
Museo di San Martino |
Costruita
a Glasgow nel 1823, a differenza del Ferdinando I era
attrezzata con tre alberi (con una randa per albero oltre a un trevo
ed una gabbia al trinchetto). Acquistata dalla Amministrazione
Privilegiata dei Pacchetti a Vapore del Regno delle Due Sicilie
(istituita con il Decreto Reale n° 876 del 2 dicembre 1823), giunse
a Napoli il 14 giugno 1824 e sei giorni più tardi dava inizio al
collegamento di linea con Palermo, al comando del già citato alfiere
Andrea De Martino.
Note
Articolo tratto da: Ressmann
Claudio, Rivista Marittima, Febbraio 2007 |