Tolleranza, convivenza, integrazione: l'esempio dei motopesca di Mazara
di
Roberto Alajmo
L'ultimo campionamento empirico risale al 6 dicembre scorso. Scenario: lo
stretto di Sicilia. Protagonisti involontari, i membri dell'equipaggio del
motopesca mazarese "Francesco Gancitani", speronato da un cargo e colato a
picco. Quattro sono risultate le vittime, distribuite per nazionalità: due
italiani e due tunisini. Campionamento empirico, s'è detto. E involontario,
e statisticamente inaffidabile finché si vuole. Ma lo stesso significativo,
se non altro da un punto di vista morale, perché dimostra quanto la morte
per mare - una classica tragedia siciliana, narrata da Verga in poi
un'infinità di volte - sia diventata pienamente interetnica. La morte per
mare non fa differenze, e si adegua ai tempi che corrono. Tempi in cui
l'equipaggio dei pescherecci è sempre misto, e spesse volte a maggioranza
tunisina. Capita che l'unico italiano a bordo sia il comandante. E se
italiano è pure il cuoco, viene chiamato a cucinare rispettando equamente i
gusti e le inibizioni alimentari di cristiani e musulmani.
Un motopesca mazarese è un laboratorio etnico esemplare, anche perché - come
sa chiunque sia andato per mare, anche solo per vacanza - nello spazio
vitale ristretto di una imbarcazione tendono a emergere risentimenti
insospettabili. C'è da meravigliarsi che rimanendo in mare ogni volta per
periodi di dieci-quindici giorni, l'equipaggio dei motopesca torni sano e
salvo, senza che arrivino notizie eclatanti di intolleranza umana, prima
ancora che razziale.
Senza enfatizzare più di tanto, il modello mazarese potrebbe essere indicato
come esemplare per tutto il resto d'Europa. Al di là delle insofferenze di
facciata, e politicamente interessate, nel tessuto della società italiana i
migranti extracomunitari vengono assorbiti con difficoltà, e sempre nei
ruoli subordinati: ma vengono assorbiti. Perché di loro, checché se ne dica,
c'è bisogno. Altrimenti, per esempio, chi andrebbe a raccogliere i
succulenti pomodorini di Pachino coltivati sotto serra, a cinquanta gradi?
Chi spingerebbe la carrozzina a rotelle del nonno fino al giardino pubblico?
Ma sono discorsi fin troppo lampanti, che chiunque ha voglia di capire
capisce anche da solo.
Quel che conta sottolineare sono le prospettive future. E il futuro - come
ogni tanto succede, nella storia - si sperimenta al sud. Nella periferia
meridionale del mondo certi fenomeni avvengono prima e con un'evidenza che
confina talvolta con l'efferatezza. Lampedusa, e in senso ampio la Sicilia,
rappresentano la porta dell'Europa per molte migliaia di migranti in cerca
di lavoro. La gran maggioranza, attraversata la porta, si disperde nel
continente, spesso raggiungendo i parenti che li hanno preceduti nella
traversata. Un meccanismo che specie gli italiani del sud conoscono bene per
averlo praticato fino a mezzo secolo fa. Ma una quota significativa di
questi migranti, una volta varcata la soglia dell'Europa, si ferma in
Sicilia. Proprio a Mazara del Vallo il centro storico è abitato in
prevalenza dalla nutritissima comunità tunisina, che si è formata poco alla
volta per cooptazione familiare, e sopravvive mandando i propri uomini per
mare, a fare un mestiere che i figli dei pescatori italiani spesso non
vogliono praticare più. Non tutti, è vero, perché la disoccupazione colpisce
duro e non consente nemmeno ai giovani italiani di fare troppo gli
schifiltosi. Ma molti sì: se appena possono permetterselo, preferiscono
mestieri meno pesanti. I turni bisettimanali sono duri, in mare fa freddo e
i ricavi sono sempre più risicati. Non conviene. Anche per questo sentimento
di mal comune, sui motopesca mazaresi ci si rispetta, si divide lo stesso
cibo, lo stesso minimo spazio vitale e anche, in casi estremi, la stessa
morte per annegamento.
E allora forse è meglio graduare i livelli di aspettativa, anche per non
andare incontro a disillusioni. C'è tolleranza e intolleranza razziale. E
messa così, almeno a parole, tutti sanno da che parte stare. Ma la
tolleranza non rappresenta in sé un traguardo sufficiente. Si tollera
qualcuno proprio perché non se ne può fare a meno, e con una riserva
mentale: la tolleranza tende ad esaurirsi presto. All'estremo opposto esiste
l'utopia della perfetta integrazione - matrimoni misti, famiglie meticce -
che coi tempi che corrono a livello planetario pare un traguardo molto di là
da venire. Fra semplice tolleranza e piena integrazione esiste però una via
di mezzo che si chiama convivenza. Senza strappi, nel rispetto delle
differenze, condividendo pochi ma forti valori riconosciuti. Nel medio
periodo, l'estensione del microcosmo di un motopesca mazarese sembra
l'obiettivo più realistico anche su scala continentale.
Tratto
da “ Il Caffè letterario” (dicembre 2006)
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