Pensiero Meridiano

La parola innominabile

di Roberto Alajmo

Sono nato a Palermo e, malgrado tutto, ancora ci vivo.

Adesso faccio una pausa di un rigo, così ti do il tempo di pensarci sopra.

Ci hai pensato? Io lo so: ci hai pensato. Non dici niente perché sei un lettore medio-alto, che non fa battutine di spirito tanto banali. Ma di sicuro ci hai pensato. Hai pensato a quella cosa lì. Lo so perché da sempre, a tutte le latitudini del mondo, appena qualcuno pronuncia la parola Palermo, oppure Sicilia, c’è sempre quella riga di silenzio, e tutti pensano a quella cosa lì.

Essere nati, vivere a Palermo comporta questo effetto collaterale: tutti credono di sapere qualcosa di me. Anche se non ci sono mai stati, anche se non sanno niente di niente, almeno una cosa pensano di saperla. E siccome quella cosa riguarda la mia vita, questo se permetti è un problema. Se non per te, per me sicuramente.

Ecco, anche noi due: ci siamo appena conosciuti e già tu, lettore, pensi di sapere che io – in un modo o nell’altro, se non altro per essere contro – ho a che fare con quella cosa. Mettiti nei miei panni: non è una bella sensazione. Ora c’è questa cosa fra noi, un diaframma, una forma di ostilità che ci divide. Tu di là, e di qua io, che pur non avendo fatto niente mi ritrovo nelle condizioni di doverti dimostrare qualcosa.

Palermo è stata sempre così. Una città all’inseguimento, che più o meno larvatamente si sente in debito con l’umanità intera per la peste che qui si è generata e poco alla volta ha infettato il resto del mondo. Ma non solo. Nella prima edizione della Encycopedie di Diderot e D’alembert, alla voce “Palermo” si leggeva: “Antica città distrutta da un terremoto”. Come se fosse una città leggendaria e ormai perduta, una specie di Atlantide. Poi l’errore venne corretto fin dall’edizione successiva, ma fin dal primo momento in cui la civiltà occidentale ha cominciato sistematicamente a mettere ordine nel suo millenario bagaglio di conoscenze, è come se Palermo fosse rimasta subito indietro, con qualcosa da dimostrare. E da allora non è mai riuscita a rimontare.

La parola stessa “Palermo” – come “Sicilia”, del resto – si porta dietro un bagaglio evocativo impossibile da scardinare. Vista da lontano Palermo appare grossolanamente prigioniera dei luoghi comuni che si trascina dietro. Lo scirocco, lo scacciapensieri, la cassata, l’Etna. E quella cosa lì, naturalmente. Talmente radicate sono certe idee che ci vorrebbe una spatola per raschiarle via dall’immaginario di ciascuno, al quale vengono trasmesse di generazione in generazione.

Cosa posso fare io, che ho a disposizione solo cinquemila battute per spiegarti cosa c’è di vero e cosa di falso, nei pregiudizi che nutri nei confronti di Palermo, e in ultima analisi: nei miei confronti? Dovrei cominciarti a spiegare che quella cosa lì non è qualcosa di tangibile. Molti degli abitanti di Palermo infatti sostengono di non averci mai avuto a che fare. Certo, mentono. Molti in buonafede: ma mentono. Perché anche se non si tocca, quella cosa c’è, e ammorba di sé tutto ciò con cui entra in contatto. Ecco, forse ho trovato un modo per spiegarti la percezione che si ha di questo fenomeno se ci si trova ad averci a che fare. È come quando in un salotto si sente un certo odorino. Quel genere di odore che avverte con certezza quando qualcuno degli ospiti, prima di entrare, ha pestato qualcosa. Il padrone di casa lo sa con certezza, anche se non sa esattamente chi è il portatore della puzza. Ma il suo olfatto non si sbaglia. Certo, pare brutto farlo notare, visto che apparentemente tutti gli invitati sono persone per bene. Allora succede che la festa va avanti, si chiacchiera, si beve, si mangia, e tutti fanno finta che la puzza non ci sia. Anche se è fortissima, tutti fanno finta di niente. Tanto che alla fine l’impressione è che a fare puzza siano tutti gli ospiti indistintamente. Certe puzze sono contagiose, almeno all’apparenza.

Funziona così, a Palermo. Perché quella certa cosa di cui stiamo parlando non è formata solo da quelle tremila persone che sono formalmente affiliate. Questo c’è di particolare: che rispetto a una banda armata qualsiasi, in Sicilia si trova una classe sociale che quasi per intero supporta la locale banda armata. Avendone vantaggi diretti o temendo danni indiretti. Insomma, non so se ho reso l’idea. È qualcosa che c’è senza esserci. Inafferrabile ma persistente. Qualcosa che come l’acqua prende la forma del contenitore che l’accoglie, ma che va oltre lo stato liquido e si mantiene allo stato gassoso. Tanto che qualcuno è portato a sottovalutarne la portata. Chi può dire quali siano i contorni di un gas? Allo stesso tempo, però, se si tratta di un gas letale, di sicuro presto se ne rivelano gli effetti. Anche per rendere quest’idea di stato gassoso io in tutto questo ragionamento non ho mai scritto la parolina che sta a indicare quella cosa lì. Per darti meglio l’idea di come qualcosa si possa respirare e possa far male pur non essendo fisicamente percepibile. Per questo e anche per costringerti a immaginarla, a immaginare il modo in cui noi siciliani ci sforziamo di fare finta di poter vivere benissimo anche con questa puzza. Anzi: facendo finta che questa tremenda puzza non ci sia proprio.

Roberto Alajmo


Roberto Alajmo è nato a Palermo nel 1959 e a Palermo continua a vivere. Autore di vari saggi e romanzi tra i quali Cuore di Madre e Palermo è una cipolla tradotti anche in tedesco rispettivamente da Aymon e Hanser.

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