Pensiero Meridiano

 

Storace non confonda una pillola con l’etica

di Luisella Battaglia

La Regione Liguria ha autorizzato la sperimentazione della pillola abortiva a condizione che «tutto avvenga nel rispetto della 194 e che siano seguite alla lettera le procedure della sperimentazione». Una decisione insieme coraggiosa e formalmente ineccepibile. Ma, ancora una volta, siamo alle prese con l'ostruzionismo del ministro della Salute, Francesco Storace, che, com'è noto, è contrario all'aborto a titolo personale. Una posizione, la sua, certo rispettabile e da molti condivisa, ma che non dovrebbe in alcun modo influire sulle decisioni di tipo tecnico relative alla questione in oggetto.

In effetti, il ministro non può che essere garante della legge, nel senso che il suo dovere, in quanto ministro, dovrebbe essere che tutto awenga nel rispetto della legalità: è questo che ciascun cittadino si attende da lui, indipendentemente dalle sue opzioni di carattere morale. Come persona privata Storace è libero di manifestare la sua avversione nei confronti della 194, ma non può e non deve far sì che essa interferisca con l'applicazione della legge.

Riportiamo la questione ai suoi termini reali. Autorizzare o meno la pillola non significa pronunciarsi sulla liceità etica dell'aborto, ma decidere su una modalità - chirurgica o farmacologica - relativa alla sua attuazione, così come è previsto dalla 194. Sappiamo che l'aborto è un peccato gravissimo per la Chiesa e che il Vaticano ha definito la pillola Ru 486 «un atto contro la vita». Il cardinale Tarcisio Bertone, arcivescovo di Genova, ha paragonato proprio ieri l'impiego di questo farmaco al gesto di gettare il bambino già nato in un cassonetto e ha alzato la voce contro i «nuovi Erode». Ma occorre ribadire che l'aborto non è un reato per lo Stato italiano. Se e finché esiste una legge - che prevede la possibilità di abortire entro certi limiti e a determinate condizioni - perché obbligare una donna ad usare la sola via chirurgica, indubbiamente più rischiosa e traumatica? Forte è il sospetto che si tratti di un atteggiamento punitivo: «Abortirai con dolore». Sennonché l'interruzione della gravidanza è sempre un lutto e la pillola non è un rimedio indolore. Si tratta di una tecnica alternativa all'intervento: perché demonizzarla e parlare addirittura, com'è stato fatto da parte dell'Osservatore Romano, di «crudele e ipocrita cultura di morte»?

Mi sembra grave, da parte dell'ortodossia cattolica, prendere a pretesto la questione della pillola e le condizioni della sua sperimentazione per rimettere in questione la legge 194. Palese è il timore che l'aborto diventi contraccezione sempre più facile e tragicamente efficace: «Si è arrivati ormai a un tale oscuramento delle coscienze da ritenere atto di libertà uccidere il più indifeso degli innocenti».

Per chi sostiene tali posizioni l'aborto, a prescindere dalle sue modalità, è un peccato assoluto, una condotta totalmente illecita dal punto di vista morale. Ma, ancora una volta, non è questo il caso della pillola: qui non si chiede di schierarsi, come ai tempi del referendum, pro o contro una pratica. Poiché la legge, approvata da una larghissima maggioranza degli italiani, non specifica quali metodi usare, ogni procedura, se validata e sottoposta ai previsti controlli - come è appunto il caso della Ru 486, farmaco, lo si ricordi, già utilizzato in Europa, e compreso nell'elenco dei medicinali essenziali dell'Oms - dovrebbe essere ammessa, soprattutto se più sicura per la salute psicofisica della donna.

Chi si occupa di bioetica sa bene che la questione tecnica relativa al "come" abortire non puòin alcun modo assorbire in sé quella etica, relativa alla scelta tragica se abortire o meno. In altri termini, non è tanto importante per la coscienzamorale decidere le modalità - farmaceutiche o chirurgiche - di un certo atto quanto affrontare la domanda cruciale e ineludibile del perché compiere o no quell'atto. La liceità etica, lo si è ripetuto molte volte, non può essere confusa con la mera possibilità tecnica. Per questo ciascuno ha la libertà, e quindi la responsabilità delle sue scelte, le cui ragioni profonde risalgono al senso stesso che intende dare alla propria vita.


Luisella Battaglia è membro del Comitato nazionale per la Bioetica. L'articolo è tratto da Il Secolo XIX, 14 novembre 2005.

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