Pensiero Meridiano

…da ciascuno, secondo le sue capacità

di Umberto Caluri

Come dice Altan, “Mi vengono in mente idee che non condivido”. Avete presente quante volte, nei posti più disparati, si ascoltano, così, per caso, persone che esprimono considerazioni demenziali o semi-demenziali su eventi importanti del nostro tempo? E ricordate quante volte abbiamo pensato: ma guarda se la mia vita, quella della mia famiglia, il destino del mio paese, debbono dipendere da un cretino simile! Io, a quello lì, gli toglierei il diritto di voto. E subito dopo: ma no, ma cosa dici, il diritto di voto è un diritto sacrosanto, è una conquista storica, non si deve tornare indietro. E un pensiero che va scacciato. Ma è un pensiero che ritorna. Spesso. Troppo spesso, per quel che mi riguarda. Così ho tentato di confrontarmi con un argomento, come dire? “scivoloso”, una questione che è un tabù. Il suffragio universale indifferenziato. Scriverne, è stata per me una liberazione. Almeno, sulla base delle considerazioni che ho svolto, ci posso convivere, col suffragio universale indifferenziato. Quasi in pace.

Suffragio universale e condizionamento mediatico

“Costituzione della Repubblica Italiana, TITOLO IV, RAPPORTI POLITICI, art.48: Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” Credo sia buona cosa che il voto sia personale, libero e segreto. Non credo sia buona cosa che il voto sia eguale per tutti, che questa eguaglianza sia un valore positivo assoluto e sempiterno. Spero di non essere accusato di sacrilegio, ma il suffragio universale indifferenziato, a prescindere dalle capacità raziocinanti di chi lo esercita, non può più essere un argomento tabù. Soprattutto in un momento in cui, nel nostro paese, la quasi totalità dell'informazione (meglio della propaganda) è affidata ai telegiornali, proni al potere politico, delle televisioni generaliste pubbliche e private, che inoltre condizionano profondamente l'utenza con le loro trasmissioni cosiddette di intrattenimento, evocando stili di vita che definire degenerativi è un voler usare soave eufemismo. Stili di vita che si traducono in comportamenti elettorali avulsi da cognizione di causa. Una vite senza fine, una spirale perversa.

Contribuzione finanziaria e contribuzione intellettiva. Giustezza o meno del voto differenziato

Poiché viviamo insieme, appare pacifica e scontata la considerazione che tutti dovrebbero cooperare per il bene comune, per il mantenimento, l'accrescimento e il miglioramento dell'aggregazione sociale di cui si fa parte. L'articolo 53 della nostra Costituzione prevede che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Ma non si vive di solo pane. La ricchezza di una nazione non sta solamente nella sua potenza economica, nella floridezza dei suoi commerci, nelle sue capacità finanziarie. Sta anche, o forse soprattutto, nella qualità delle sue classi dirigenti. Nella capacità di distillare, dal proprio seno, l'aristocrazia del merito, intesa come diritto di ciascuno ad affermarsi per conquistare il posto che si merita nell'ordine gerarchico della società. Non temo le parole, non temo di usare questi termini, “aristocrazia del merito”, anche se essi sono stati usati e spregiati dai fascisti e dai nazionalsocialisti nel secolo passato. Compito di una sana democrazia rappresentativa, non falsamente egualitaria, è quello di individuare i suoi migliori rappresentanti. Forse è solo un'idea esile, forse è solo un concetto banale, forse è solo una intuizione presuntuosa, ma io ritengo che il voto di ciascuno degli aventi diritto dovrebbe avere un peso proporzionale alla capacità raziocinanti di chi lo esercita, così come avviene per la contribuzione all'erario in ragione dei propri redditi. Questo equivarrebbe a nobilitare un diritto/dovere che attualmente viene esercitato per mezzo del voto unico indifferenziato, uno strumento rozzo e approssimativo, largamente incapace di attivare il contributo di ciascuno di noi ai processi decisionali dello stato. In presenza poi di una legge elettorale ignobile, come l'attuale, giustamente definita “porcata” dal suo autore, che concentra nelle mani di tre o quattro leaders politici il potere di nominare i parlamentari, tagliando fuori ogni possibilità di scelta da parte degli elettori, il termine “democrazia” perde ogni significato, anche quello filologico. Si può obiettare: Davvero? E come, e in base a quali criteri, dovrebbe essere stabilito il peso di ciascun voto? Da parte di chi? E chi lo pesa il voto?, con quali criteri? E cos'è meglio, di grazia, il voto censuario, quello riservato alle élites, alle nomenclature, il voto di chi è laureato? Cercherò di dare una risposta a questo tipo di commenti, ma prima vorrei porre io una domanda: E', almeno solo in teoria, giusto o sbagliato il principio del peso proporzionale del voto? Chi ritiene che questo non sia un principio giusto, ma solo pura farneticazione, fantapolitica da bar, troverà che quanto segue è, nel migliore dei casi, una collezione di paralogismi.

Uso e abuso del suffragio universale

Il suffragio universale è stato una grande conquista dei movimenti popolari. Ma non sempre ha portato ad esiti positivi. Fascismo e nazionalsocialismo sono andati al potere con elezioni più o meno regolari. Inoltre quando questo strumento cade nelle mani di demagoghi, i risultati possono essere, e lo sono stati, devastanti. Questo vale anche per l'istituto di democrazia popolare diretta, il referendum. Un esempio: il 18 aprile 1993 si svolsero otto referendum, su disparate materie, promossi dai radicali, che in quegli anni erano riusciti a dare il peggio di sé. Tra gli altri, uno dei quesiti era destinato, nelle intenzioni dei promotori, a togliere alle Unità Sanitarie Locali le competenze in materia ambientale. Da ricerche effettuate successivamente, risultò che meno del cinque per cento della popolazione aveva cognizione di causa circa la materia oggetto del referendum e che meno dell' uno per cento aveva piena consapevolezza delle conseguenze organizzative che sarebbero derivate da una vittoria di coloro che intendevano sottrarre alle UU.SS.LL. tali competenze. Tra il personale delle UU.SS.LL. le percentuali erano simili. Lo so perché all'epoca ero un funzionario della sanità. Del risultato di tale referendum non mi capacito neppure oggi. Vinsero i Si con l'82,6% dei voti validi. I No presero il 17,4%. Con ogni evidenza, né gli uni né gli altri sapevano quel che facevano. Erano semplicemente stati indotti, per “effetto trascinamento”, a votare per qualcosa che ignoravano. Marginalmente, ricordo che in quella tornata elettorale fu abolito anche il Ministero dell'Agricoltura. Chissà, se ci fosse stato un quesito da hoc, l'elettorato avrebbe abolito anche lo Stato. La chiamavano democrazia, ma era demo-idiozia.

Gli strumenti della democrazia. La memoria e la speranza

Intendiamoci, la democrazia, con tutti i suoi difetti, è sempre meglio di qualsiasi altro sistema; ma non vedo perché non la si possa far crescere, migliorare. So bene di scrivere nel momento forse più buio della notte della democrazia italiana. I grandi partiti di massa si sono estinti, travolti al contempo dalla morte delle ideologie totalitarie e dai processi degenerativi come la corruttela diffusa, che ancor oggi esiste. Tuttavia, nonostante i loro vizi, questi partiti erano stati gli alambicchi per mezzo dei quali si distillava una classe dirigente colta e talvolta, non sempre, capace. Anche la scuola, dopo la riforma Gentile, al di là delle connotazioni di classe, aveva avuto grandi meriti nella formazione delle élites politiche. Si intimidisce, nel leggere i resoconti parlamentari degli anni fra il 1945 e gli anni ottanta, rilevandone i livelli stellari della qualità, e confrontandoli con quelli odierni. Con la parziale eccezione del Partito Democratico, e dai gruppi residuali della sinistra radicale e/o dottrinaria, oggi imperano i personalismi e le formazioni politiche legate alla vita fisica dei leaders e alle loro immagini. Si tratta di formazioni effimere. Il vistoso peggioramento antropologico della popolazione, i limiti dei mezzi di comunicazione, il culto della personalità creato attorno a demagoghi come Berlusconi, non lasciano molte speranze di ricambio politico per l'immediato. “Ha da passà 'a nuttata”, direbbe Eduardo De Filippo. Passerà. Con i modi che la sempre più diffusa informatizzazione consentirà, si formeranno certamente delle strutture collettive in grado di svolgere le medesime funzioni dei trascorsi partiti di massa, fucina per nuovi dirigenti e di progettualità per la società. Chi pensa al futuro, deve avviare fin d'ora il lavoro per la costruzione di una democrazia vitale e longeva. Prima di tutto occorrerebbe una buona legge elettorale. Ma, per fare una buona legge elettorale occorre una buona Camera e per fare una buona Camera occorre una buona legge elettorale. Non abbiamo, né l'una, né l'altra.

Quando e come

Nella consapevolezza dunque di scrivere non per l'oggi ma per un lontano domani, vengo alla questione cardine di queste mie righe, ossia il modo e le conseguenze del voto differenziato. L'imparzialità con cui valutare il voto potrebbe essere assicurata dal superamento di una serie di test relativi al meccanismo di espressione della volontà politica. Ad ogni superamento, il peso del voto potrebbe aumentare di un tot. Evito accuratamente di chiamare questo meccanismo “scheda elettorale” in quanto è solo con modalità informatiche che potrebbe venire espressa la volontà di ciascuno e solo con modalità informatiche potrebbe essere valutata la qualità e il peso del voto. Nessun esame prima del voto, nessun esame dopo il voto. L'esame è il voto, e il voto è l'esame. Nessuno dunque, se non l'arido calcolo potrebbe stabilire quanto il mio voto dovrebbe pesare meno, per esempio, di quello di Rita Levi Montalcini, e quanto, invece, più di quello di una persona che, per quanto riguarda l'informazione, dipende esclusivamente dai più demenziali conduttori dei telegiornali nazionali, “perchè loro, spiegano”. Quanto dovrebbe o potrebbe pesare di più un voto, rispetto ad un altro? Dato “uno” il valore minimo (perché ci dovrebbe essere un valore minimo; anche i meno responsabili hanno il diritto di contare, e la stupidità - “contro la quale nemmeno gli dei possono qualcosa”- è una componente di ciascun essere umano) quale dovrebbe essere la scala di valori del peso progressivo, due, tre, quattro o più? Ogni cifra è arbitraria, come è arbitrario il numero 18 per fissare la maggiore età. Non avanzo ipotesi, non sto redigendo una proposta di legge elettorale, sto solo facendo degli esempi. La scala di valori dovrebbe essere fissata per legge. Non è difficile, penso. Altro problema: chi, (non dimentichiamo il motto “quis custodiet custodes”) sarebbe abilitato, e perché, a formulare i test del meccanismo di selezione?, Per la risposta, mi rifaccio ad una proposta che, a suo tempo, nei lavori preparatori per l'Assemblea Costituente, mi sembra di ricordare, del socialista Lelio Basso, il quale sosteneva che nel Senato dovessero sedere, a pieno titolo, anche degli esperti, non eletti dai cittadini, bensì nominati dai partiti. Dunque una commissione multidisciplinare di esperti potrebbe formulare i test di difficoltà progressive, atte a verificare, non la memoria, o la cultura, dell'elettore, bensì la sua capacità logica ed il suo senso pratico di responsabilità davanti ai problemi che la gestione della cosa pubblica comporta. Un reticolo di quesiti capaci di individuare, non tanto il quoziente di intelligenza dell'elettore, il Q.I., quanto il suo quoziente di responsabilità, il Q.R. Faccio un esempio: se un elettore afferma che vuole più spese e meno tasse, senza ricorrere ad altre risorse e senza spostare voci di bilancio, cioè esprime una posizione nel complesso assurda, il suo voto non potrebbe che essere valutato al minimo. (Con un criterio di questo genere avrebbero perso i diritti politici, e forse anche la patria potestà, quei dirigenti sindacali, qualcuno è ancora sulla piazza, che sostenevano, non troppi anni orsono, che la retribuzione dei lavoratori era una variabile indipendente dalla redditività dell'impresa). Si dovrebbe arrivare a far sì che il voto informato e responsabile pesasse di più del voto non motivato razionalmente, il voto viscerale, espresso per simpatia, o antipatia, sulla scorta di elementi futili e inconsistenti. L'esercizio del voto diverrebbe attività complessa e impegnativa, certamente. Danni collaterali di un sistema elettorale “attraente” e gratificante per i voti qualificati, “respingente”e non gratificante per i voti anodini e parzialmente “neutralizzante” per i voti dati senza o con scarsa cognizione di causa. Esso però potrebbe rivelarsi strumento di elevazione sociale o, in alternativa, strumento di autoselezione, qualora l'elettore fosse interessato oppure non interessato ad incidere nella gestione dei problemi comuni.

Qualcosa di meglio, qualcosa di più

Anche se la cosa non è connessa direttamente alla questione principale che ho posto, cioè la ammissibilità in via di principio e la praticabilità teorica del voto differenziato, vorrei affrontare anche un altro aspetto della possibilità di incidenza degli elettori nella vita pubblica. Differenziato o indifferenziato che sia, dove sta scritto che, per sempre, ciascun elettore debba avere a disposizione solo un voto per manifestare la propria volontà? E' lampante che, sino a quando esisterà il voto cartaceo, il problema non può neppure essere preso in considerazione, in quanto materialmente insolubile. Quando però si voterà, magari a domicilio, per via telematica, perché si dovrebbe esprimere necessariamente un solo voto? Perché ciascun elettore non potrebbe disporre di un numero prefissato di voti, magari pari al numero delle liste presenti alla consultazione, e poterne disporne a suo piacimento? Ho già detto, e mi preme ripeterlo, che il voto unico è uno strumento troppo rozzo e imperfetto per manifestare efficacemente e compiutamente la propria volontà. Disponendo di più voti, l'elettore potrebbe esprimere la propria preferenza non solo per una sola lista, ma anche per più, indicando le sue preferenze in tema di alleanze, parcellizzando e differenziando consensi su liste, programmi e candidati. Occorrerebbe, certo, una rivoluzione culturale, poiché le conseguenze di un voto così articolato (una sorta di “panachage su scala globale) scardinerebbero dalle fondamenta la struttura di un sistema politico che è, da sempre, ma spero non per sempre, basato sul binomio maggioranza-opposizione. Le implicazioni di questa rivoluzione sarebbero vertiginose. Mi fermo qui. Le mie limitate capacità culturali non consentono di approfondire i temi che ho sollevato, forse per intuizione, forse per presunzione, certo per passione. Ho lanciato alcune idee: chissà se altri le raccoglieranno.


Testo trasmesso dall'autore il 7/05/2012

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