Note e Versi Meridiani

 

 

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Canzone Amirosa

Saggio sulla canzone di Renato Gargiulo

 

È questa una canzone del 1889 delicata e sognante di Ferdinando Russo musicata dal maestro Leopoldo Mugnone. Il testo è il seguente

                           I

E tiene ’a faccia ’e n’angelo d’’o cielo,

Santo Luca cu te nce s’è spassato...

’O sentimento nfaccia t’ha pittato,

’ncore t’ha miso ’o sciore d’’a buntà.

Ah! Ah! Sempe sempe anema e core,

l’ammore mio t’accumpagnarrà...

                           II

E tiene ’a vocca ’e cerasella fresca,

e m’’a sonno ogne notte e ce sperisco...

Te voglio tanto bbene e nun capisco

pecché accussì te faie desiderà...

Ah! Ah! Sempe sempe anema e core,

l’ammore mio t’accumpagnarrà...

Il tema è la descrizione tenera e affettuosa della bellezza del viso dell’amata, descrizione che focalizza l’attenzione sulla donna distogliendola in parte dalla delusione che vive il poeta per l’essere da lei respinto. La sensualità dell’affascinato spasimante si scioglie nell’encomio garbato delle leggiadre fattezze, la cui contemplazione tende a trasformare la figura umana della fanciulla in figura divina (tiene ’a faccia ’e n’angelo d’’o cielo) facendo confluire la materia del componimento nell’ambito dell’iperbole d’amore. Il rapimento estatico, però, non esaurisce completamente il contenuto della lirica perché tra le sue pieghe si possono cogliere gli impulsi sessuali delusi dall’amore mancato. Anzi il tema vero del brano più ancora della bellezza eterea della dolce creatura è proprio lo spleen per il desiderio inappagato (...m’’a sonno ogne notte e ce sperisco...): infatti, per il poeta, l’essenza di ogni storia amorosa è costituito proprio dal contrasto sempre in atto tra i suoi impulsi sensuali e quelli sentimentali. Da questo substrato viene fuori una poesia intima e suggestiva pure se intrisa di sentimentalismo, pervasa di una sottile vena di malinconia, una malinconia che se pure in apparenza sembra pacata e rarefatta raccoglie in sé una carica violenta e sensuale. Al posto della passionalità, dunque, troviamo la malinconia, come a voler significare che in questa storia non solo la passione non trova spazio ma che il sogno, forse ha preso il posto della realtà. Sebbene Russo, come abbiamo già avuto modo di parlare (cfr. Scetate), sia un uomo estroverso e disincantato, passionale ed impetuoso emerge spesso, dal fondo del suo animo, un velo di malinconia, cosa del resto abbastanza frequente in quelli che come lui sono amanti della vita gaudente e spensierata.

In Canzone amirosa germoglia una vena dolce d’accorata tenerezza che non insegue la pura musicalità dei versi. Infatti, come tutti i poeti fondamentalmente epici, Russo rimane al di qua della «maniera dolce», operando una netta scelta antimelodica in quanto la musicalità del verso «vi deprime le vibrazioni autentiche di cui la parola dovrebbe essere suscitatrice» (Bernari).

Nessun paesaggio di fondo accompagna i versi: la figura femminile ed i sentimenti occupano tutto lo spazio. L’ambientazione è statica e senza particolari effetti cromatici: le tinte usate dal pennello di San Luca vengono lasciate all’immaginazione e l’unica nota di colore utilizzata resta la cerasella fresca nella seconda strofa. La tecnica narrativa è quella del discorso diretto, l’autore parla o immagina di parlare alla fanciulla ammirata e corteggiata descrivendole quanto gli appaia bello il suo viso ed il suo cuore. Nel fare ciò non disdegna di ricorrere anche a qualche accento declamatorio. Ma qui, per il poeta, non si tratta come in Scetate di mettere in opera le sue armi di seduttore navigato, e di trovare le parole giuste, le iperboli adatte, la chiave per vincere le resistenze della ragazza e farla sua. La lirica ci presenta, infatti, un protagonista già rassegnato, condannato ad amare per sempre una fanciulla che gli si nega oggi e gli si negherà nel futuro. Nonostante ciò, la fanciulla non viene giudicata crudele, come invece di solito troviamo in altre canzoni dello stesso genere (per es. in Fenesta vascia), anzi ella è descritta come ’o sciore d’’a buntà in piena sintonia con il suo viso angelico. Questa affermazione in verità appare un po’ singolare poiché Ferdinando Russo, per quanto sia uno degli uomini più fortunati del suo tempo nei rapporti con l’altro sesso, tendenzialmente si mostra molto pessimista nel modo di considerare l’amore: le donne infatti lo deludono, non riescono a dargli altro che qualche fuggevole ora di gioia. Paradossalmente, pur essendo egli un idolo del gentil sesso, manifesta sempre un’amarezza profonda e una delusione assoluta verso l’amore. Appare, perciò, un po’ di maniera, per un donnaiolo smaliziato come lui, dipingere una donna come un romantico e delicato essere.

La struttura metrica del componimento è molto semplice: due strofe formate ciascuna da una quartina di endecasillabi secondo lo schema ABBC con l’ultimo verso tronco; ogni quartina è seguita da un distico che fa da ritornello. Le due strofe si aprono con la ricorrenza anaforica E tiene ’a..., unico preziosismo in un componimento molto sobrio, a queste due enunciazioni segue o la causa (Santo Luca cu te nce s’è spassato...) o l’effetto (e m’’a sonno ogne notte e ce sperisco...). I versi sono legati a una certa urgenza creativa, Russo, infatti, scrive di getto e raramente ritorna su quanto produce: la velocità d’ideazione del poeta è indiscussa tanto da dargli la fama di sorprendente improvvisatore. Tuttavia manca il setaccio e la decantazione dei sentimenti recuperati nel profondo del suo animo ed effettuata con la propria sensibilità artistica e la sua formazione letteraria-stilistica: egli, infatti, manifesta immediatamente con impeto le impressioni, i palpiti, i fremiti, i rapimenti d’entusiasmo che prova. Ciò è causa dell’immediatezza verbale, riscontrabile nelle forme espressive non certo filtrate da sofisticate rifiniture o da curate elaborazioni. In definitiva, la vena del poeta è sì ricca ma, quasi come se fosse plagiata dal suo animo di giullare di “sentimenti da viveur”, è anche poco sorvegliata. E se la semplicità dei versi, questo loro non essere raffinati, costituisce un pregio della sua poesia ne rappresenta anche il principale limite. Il poeta, infatti, non riesce ad esprimersi nella lirica in modo particolarmente felice, anche se, per dovere di obiettività, bisogna dire che il Russo riesce a volte ad essere anche poeta d’amore. E l’amore che sa meglio cantare è quello del popolano vivace, che amando rischia anche la vita e che s’esalta nell’avventura pericolosa: una forma, anche questa, della sensualità cui prima si è accennato. Quando invece il tema del componimento è più soggettivo, investe la sua persona, il poeta mostra evidenti limiti. Egli, in realtà, più che nella lirica, affonda la sua vena più autentica e vera essenzialmente nella poesia epica e narrativa.

Canzone amirosa presenta un’espressione sobria scevra di sonorità vuote e splendori fittizi ma è anche un po’ di maniera nello sviluppo e fiacca e insufficiente nella traduzione plastica in immagini peraltro carenti sia per abbondanza che freschezza. Se in Scetate si può trovare qualche espressione vigorosa (tu nasciste pe’ m’affattura’!), qualche spunto di particolare suggestione evocativa, in questa lirica, nella quale il protagonista non è più il seduttore ma il sedotto, tutto ciò viene a mancare: l’esuberante effusione sentimentale non viene sorretta da immagini particolarmente efficaci o suggestive, mancano anche quelle espressioni saporose che pur tanto abbondano invece nella Tammurriata palazzola. A ben vedere i primi due versi della canzone ricalcano frasi fatte sulla bellezza (angelica) e su ritratti dipinti da San Luca, frasi che hanno la stessa valenza di quelle oggi usate ed abusate e che possono esemplificarsi in grazie di esistere oppure in se non ci fossi bisognerebbe inventarti. Poco felice è poi il distico che forma il ritornello: banale nel concetto ed imperfetto nei termini, non evoca fremiti o sensazioni, né vibrazioni autentiche tali da elevarlo a rango di poesia.

La musica come si è detto è del napoletano Leopoldo Mugnone, uno dei più acclamati direttori d’orchestra del suo tempo e discreto compositore. È stimatissimo da Verdi, dirige 16 prime assolute di opere tra cui Cavalleria Rusticana e Tosca. La sua fama internazionale lo porta ad esibirsi in Inghilterra, in Francia e in America. Come però spesso accade, non sempre un musicista di fama riesce a produrre ottime canzoni nonostante il suo riconosciuto talento (valgano in proposito gli esempi di Mercadante, Donizetti e Pizzetti). «Anche la sua varia produzione cameristica non superò la mediocrità» (Enciclopedia dello spettacolo).

Mugnone, con Canzone amirosa, scrive una musica carezzevole e nostalgica che evoca la malinconia e la tenerezza di un sogno, per un amore idealizzato. La melodia è in totale sintonia con le emozioni espresse nei versi. Non si ripete, comunque, la magia di Scetate capace di trasformare una poesia non eccezionale in una canzone meravigliosa. Il compositore sembra voler alludere alla maniera settecentesca, c’è un garbato richiamo alla grazia elegante e la leggiadra di un’epoca trascorsa attraverso la fluidità e la sospirosa delicatezza del periodo musicale. Nonostante la graziosità del brano ed il suo sapore melodico pieno di tepore, la canzone, con la sua atmosfera ovattata e trasognata, appare alquanto di maniera e lontana dagli stilemi tipici della musica popolare. La composizione si mostra priva di quegli spunti emozionanti e di quei sussulti emotivi capaci di trascinare l’ascoltatore.

Credo che pure la scelta di Mugnone di mantenere la proprietà della sua composizione, facendola stampare a sue spese dalla Stamperia Mignani di Firenze, abbia nociuto al successo della canzone. Senza tutta l’organizzazione promozionale messa in piedi dagli editori "importanti" Canzone amirosa è risultata penalizzata e non c’è da meravigliarsi che sia stata trascurata dai grandi interpreti nonostante avesse un testo adatto ai "fini dicitori". Probabilmente Mugnone, come ci informa Plenizio, non si è mostrato troppo preoccupato del consenso popolare bastandogli quello già enorme di direttore d’orchestra. Lo spartito attualmente è difficile da reperire e fuori dal commercio.

Il brano quasi del tutto dimenticato non ha trovato molte incisioni discografiche: nell’Archivio Sonoro della Canzone Napoletana se ne contano solo tre, oltre quella di Murolo ci sono solo quelle di Carlo Missaglia e di Adriana Martino. La canzone sembra però scritta su misura per la voce e le qualità d’interprete di Roberto Murolo.

Renato Gargiulo


Pubblicazione de Il Portale del Sud, marzo 2016

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