Le mille città del Sud

Castel del Monte

 

Il Castello dei Numeri Magici

Alto e imponente, ma allo stesso tempo tanto gradevole alla vista da suscitare nel visitatore un’immediata simpatia, il celeberrimo castello svevo si erge su uno dei più alti rilievi delle Murge, da cui domina una vasta distesa. Castel del Monte è monumento iscritto nel patrimonio dell'Unesco, capolavoro dell'architettura sveva in Terra di Bari, dove il gotico si lascia ingentilire dal calcare locale, armonizzandosi in una piacevole sintesi con elementi romanici, borgognoni e arabo-normanni. Sarà il mistero che l’avvolge da secoli, o la sua magica integrazione con l’ambiente circostante, con i colori del cielo, dell’aurora e del tramonto … fatto sta che quest’antico maniero, al solo vederlo apparire, sembra capace di trasportare in una dimensione senza tempo, per raccontarci sensazioni di bellezza assoluta e di fiabeschi arcani.

Il suo famoso impianto ottagonale è scandito negli angoli da otto torri, anch'esse ottagonali. Ottagonali sono anche il perimetro esterno e il concentrico cortile interno. La divisione in due piani è marcata all'esterno dalla sottile cornice a rilievo che cinge tutta la costruzione. Ognuno dei due piani è diviso in otto ambienti trapezoidali di eguali dimensioni, coperti da volte a crociera costolonate poggianti su colonne; scale a chiocciola, inserite in alcune delle torri, danno accesso al secondo piano, dalle forme più eleganti. Di grande rilievo sono alcuni elementi architettonici e scultorei con stile di reminiscenza classicheggiante. Fu fatto costruire (secondo la leggenda, anche progettato) tra il 1229 e il 1240, dal più raffinato e colto di tutti i signori medioevali, il Re di Sicilia e imperatore Federico II.

Il re forse lo volle realizzare per le sue cacce al falcone, forse per completare la mappa di torri e castelli che va da Andria a Canosa, Barletta a Trani. Nel 1249 vi si festeggiarono le nozze della figlia naturale del re Violanta, ma con la caduta della dinastia sveva, rimase per lo più adibito a fortezza o a carcere. Le autorità vicereali spagnole lo lasciarono incustodito dal Seicento, dopo averlo spogliato di marmi e sculture, e divenne dimora di pastori. Dopo l’invasione piemontese del 1860, con la conseguente annessione del Regno delle Due Sicilie al regno d’Italia, nel castello trovarono rifugio gli insorti legittimisti (i cosiddetti “briganti”) che a lungo si opposero, forti dell’appoggio contadino all’esercito piemontese, che a sua volta reagì con efferata spietatezza. Nel 1876, fu oggetto di lavori di restauro.

La mole, 16,5 metri per lato e circa 20 di altezza, è resa ancora più imponente dalla posizione che offre “un panorama sconcertante che in un solo colpo d'occhio abbraccia Ie Murge Baresi e il Tavoliere, fino alle pendici dell'Appennino lucano. Quella tela quasi uniforme e punteggiata di macchie bianche: sono le città dell'interno barese, strette attorno ai loro borghi medioevali, bianchi di pietra, scabri e tortuosi come medine che 1'implacabile luce meridiana abbaglia e rende sontuose. Come l'Orano di Albert Camus, voltano le spalle al mare, si staccano da un paesaggio fatto di ulivi, mandorli, bassi vigneti, isole di un lago di pianura che ha accolto i fiumi di tutte le civiltà: illiri, greci, romani, svevi, angioini, spagnoli ciascuno con la sua traccia, il suo lascito, talvolta il suo sfregio[1].

Le mura perimetrali hanno uno spessore di 2,55 metri. Su ogni lato si aprono una finestra monofora nella parte inferiore e una bifora in quella superiore. L'ingresso è posto sul lato orientale e presenta un portale che fonde il gotico dell'arco a sesto acuto con elementi classicheggianti come la cuspide del timpano. Le 8 torri angolari assolvono innanzitutto a una funzione statica, ed erano utilizzate per accedere al piano superiore con scale a chiocciola.

Il cortile interno ripete la pianta ottagonale della struttura, vi si affacciano dal primo piano tre porte-finestre ornate da colonne reggenti un archivolto. D’estate ospita attualmente varie manifestazioni musicali e mostre.

Le sale interne hanno le stesse dimensioni e la stessa architettura: una volta a crociera a ogiva delimita, insieme alle 4 colonne che la reggono, un quadrato centrale. I pavimenti avevano in origine un motivo a esagoni bianchi e tasselli neri. Una cornice corre su tutto il perimetro delle mura esterne a indicare la linea che, all'interno, separa primo e secondo piano. La comunicazione tra le sale si interrompe tra la seconda e la terza e tra l'ottava e la prima. Al piano superiore, che ripete la medesima struttura, le sole sale non comunicanti sono la prima e l'ottava. Al piano terreno vi sono camini nelle sale 3 e 8, in quello superiore nella 1 (forse la camera da letto del re) e nella 6. Delle decorazioni originali restano pochi frammenti: nella sala 8 del primo piano vi sono tracce del pavimento originale.

Molte ipotesi sono state fatte sul vero motivo che avrebbe indotto Federico II a progettare la struttura nelle sue forme e dimensioni. Dietro la funzione di padiglione di caccia coi falconi, su cui Federico scrisse pure un trattato, molti hanno infatti notato affascinanti corrispondenze tra le caratteristiche del castello e varie simbologie esoteriche, alchemiche e astrologiche, che a loro volta si legano alla particolare figura del sovrano: un uomo colto, amante delle arti, vicino all'Oriente, all'Islam e alle dottrine esoteriche.

È evidente, per esempio, il ripetersi del numero otto - simbolo arabo dell'infinito, della rosa dei venti e numero dell'autorità universale - e ottagonale era la coppa del Santo Graal.

È stato poi notato anche come tutte le misure del castello possano essere riferite a particolari momenti astrali e si leghino pure al "numero d'oro", o "divina proporzione aurea", presente anche nella piramide di Cheope e nei megaliti di Stonehenge, dove le comunità dell'Era dell'Acquario si recavano per celebrare solstizi e misurare traiettorie stellari. Castel del Monte presenta evidenti affinità con la fortezza di Montsegur, in Linguadoca, che fu l'ultimo baluardo della resistenza catara contro i crociati di Simon De Monfort, nonché uno degli scrigni leggendari del Graal arturiano. “La forma del portale del Castello, stando alle interpretazioni esoteriche del suo studioso più appassionato, Aldo Tavolaro, deriva dal pentagono stellato e dalla sua scomposizione attraverso il numero d'oro. Insomma, Castel del Monte è uno di quei luoghi in cui la storia e il mito si aggirano avvinghiati e quel poco che si sa e moltiplicato da quel molto che si deduce, si immagina, si sogna[2].


Visita la pagina del Reportage fotografico di Castel del Monte di Pina Catino


Bibliografia, fonti e riferimenti


Note

[1] Mauro Rabbi, Ulisse, Rivista di bordo dell’Alitalia

[2] ibidem

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