Pensiero Meridiano

 

Tra le tante, abbiamo scelto la dichiarazione di voto contrario alla famigerata legge anti-Sud, nota come "devolution" o "riforma costituzionale", pronunciata dall'on. De Mita alla Camera il 15 ottobre 2004. Una illustrazione di filosofia del diritto che rende onore all'intelligenza ed alla preparazione di De Mita. Al di là delle diverse opinioni che si possono avere su questo politico, egli agevolmente sovrasta la pochezza degli avversari della maggioranza filo-leghista.

Dichiarazione di voto di Ciriaco De Mita

Dichiarazione di voto (stralcio) sul disegno di legge costituzionale “Modificazione di articoli della parte II della Costituzione” – Camera dei deputati, seduta n. 529 del 15/10/2004

Signor Presidente, onorevoli colleghi, avremmo voluto e dovuto decidere insieme e, quindi, non dire «no» al vostro invito, ma voi avete fatto un patto mediocre e un po' rozzo di maggioranza e a questo la minoranza è costretta a dire «no». Ciò perché un'opera alta e straordinaria, come il riordino delle istituzioni e delle regole della convivenza, è stata trattata come merce di scambio tra i vari segmenti della maggioranza.

Vi è un rilievo che vorrei fare: abbiamo perso e perdiamo una straordinaria occasione. Quando la maggioranza, come coalizione, pretende di dettare le regole della convivenza, crea un solco molto duro rispetto alla prospettiva di ripresa democratica del nostro paese.

Vorrei che tutti riflettessimo su ciò: l'alternanza è fondata sull'uso discrezionale del potere, non sulla definizione del diritto tra una parte e l'altra. Quindi, il decidere insieme non è atto di cortesia, il decidere insieme è una necessità. E quando questa necessità non è realizzata, rimaniamo tutti sconfitti di fronte ad un'opera che avremmo dovuto attuare.

Non a caso, la liturgia che abbiamo praticato è stata abbastanza anomala. Il Parlamento, sia in Commissione sia in aula, ha discusso su proposte che si sapeva non erano definite; infatti, le proposte definite sono state avanzate in conclusione dal ministro attraverso l'emendamento. Discutere insieme significa tener conto del Parlamento nella sua totalità, non dei vertici e della maggioranza attraverso l'utilizzo di un supporto tecnico che squalifica la scienza giuridica e il diritto costituzionale.

Infatti, le norme non sono concetti approssimati, le norme hanno una loro razionalità, ubbidiscono ad esigenze, ma non sostituiscono i comportamenti. Quando qualcuno leggerà i resoconti di questa discussione scoprirà che, nella logica della formulazione giuridica, abbiamo fatto straordinari passi indietro rispetto allo Stato laico, che prefigura la norma come sollecitazione di comportamenti. La norma stabilisce che qualcuno possa fare qualcosa per noi; in realtà, abbiamo introdotto norme che impediscono qualcosa o sostituiscono il comportamento delle persone. Stiamo procedendo verso una forma di logica teocratica: altro che forma laica e democratica!

La mostruosità non è in questo o in quel particolare, ma nella logica del complesso dell'ordinamento che abbiamo definito. Dunque, mi soffermerò su tre questioni.

La prima è quella relativa alla semplificazione del bicameralismo. Si tratta di una questione che la Costituzione lasciò irrisolta, dando vita ad una sorta di bicameralismo perfetto. Si tratta di un vizio che, onestamente, non ci ha impedito di progredire durante cinquant'anni di vita democratica.

Ciò poteva essere corretto, ma voi avete organizzato una forma di bicameralismo fondata sulla presunzione della convergenza, per cui quando una Camera non è d'accordo con l'altra si dà vita all'arbitrato, discettando come se si trattasse di norme private e non di norme a difesa dell'interesse pubblico. Il bicameralismo si fonda sul dissenso, non sul consenso coatto, altrimenti il bicameralismo sarebbe inutile! Il bicameralismo esiste per registrare il dissenso quando questo effettivamente si verifica.

Sarebbe stato molto semplice stabilire che alla Camera spetta la competenza sulle materie che riguardano l'attività di governo, perché essa ha un rapporto di fiducia con l'Esecutivo. Il Senato, viceversa, ha competenza per le materie che riguardano la tutela delle autonomie. Il bicameralismo da conservare - non è infatti da cancellare - riguarda materie quali la difesa, la definizione dei diritti di libertà e delle norme costituzionali.

I Costituenti - tra cui erano presenti in quantità notevole persone di cultura - per la definizione delle norme scelsero linguisti di chiara fama e grande capacità. Adesso esistono norme costituzionali che fanno richiami come fossero norme di condominio. Le norme sono sollecitatrici di comportamenti e alla sollecitazione deve corrispondere il comportamento politico. Queste norme non fanno riferimento ai comportamenti politici né definiscono le sollecitazioni: in realtà, sono un grande pasticcio.

Passando alla devoluzione, ho sentito l'onorevole Cè far riferimento ai limiti e ai vizi dello Stato centrale. Lo stesso onorevole Cè dovrebbe convenire con me che lo Stato centrale non lo modifichiamo noi con la riforma, in quanto ha perso la sua funzione con l'avvio del processo di integrazione europea. Lo Stato centrale storicamente è stato funzionale alla costruzione di un'aggregazione tra comunità diverse. Era l'ultimo orizzonte; adesso quell'orizzonte è scomparso ed innanzi a noi si profila l'orizzonte alto dell'Europa. È rispetto a quell'orizzonte che il processo federativo esige una risposta. La federazione va in quella direzione, viceversa sul piano interno, pur ammettendo che voi ben vi preoccupiate dei limiti dello Stato centrale, in realtà stiamo operando nella direzione di trasferire i poteri della centralità dello Stato al centralismo regionale, commettendo un errore che si moltiplica.

Amici dell'UDC: altro che una correzione alla distorsione! Dall'altra parte, mentre cresce il processo di federazione verso l'Europa, sorge la necessità del governo delle autonomie. Da questo punto di vista, credo che la brevità del tempo a mia disposizione non lo consenta, ma esiste una quantità di spiegazioni che portano a questa sollecitazione, non solo tecniche ed istituzionali, ma anche culturali.

Nei secoli scorsi, dalla rivoluzione francese in poi, l'individuo era garantito all'interno dell'ordinamento dello Stato centrale. Era la persona nella sua solitudine che si muoveva in questo coordinamento di sollecitazioni più vaste. L'orizzonte europeo mette la persona nella sua solitudine e nella necessità di organizzare la comunità per reggere la sua presenza rispetto all'orizzonte più alto. Da qui l'esigenza della ripresa del governo delle autonomie

La sussidiarietà non è una parola che si aggiunge all'altra. La sussidiarietà è una concezione della sovranità che capovolge il tipo di ordinamento. Quella non avrebbe richiesto norme protettive a difesa dell'interesse nazionale e tutte le altre disposizioni farraginose che avete messo nell'ordinamento. Infatti, una siffatta concezione dell'ordinamento si garantisce automaticamente. La sovranità delegata è garantita dal delegante e dal delegato, non vi è bisogno di introdurre nella Costituzione norme di salvaguardia.

Altro che miglioramento! Voi avete costruito la macchina che usa contemporaneamente il freno e l'acceleratore, non una volta il freno e l'altra l'acceleratore, e quando si usano insieme il freno e l'acceleratore la macchina non cammina: non potete mandare avanti la riforma! Questo è quanto di più mostruoso vi sia sul piano dell'ordinamento.

La terza questione è relativa al Governo. Non a caso, come ho detto nel corso dell'intervento durante la discussione sulle linee generali, mi ispiro molto alla scelta giuridica romana - ex facto oritur ius - non ignorando che negli ultimi secoli è maturata, soprattutto nell'intelligenza europea, l'illusione di prefigurare il futuro e di imporlo alla storia. Ne abbiamo visto le conseguenze, tuttavia questa intelligenza, bene o male, vi è stata. Ma in questo caso non vi è alcun disegno generale da imporre alla realtà da correggere: in questo caso vi è un pasticcio. C'è la realtà da governare, e voi pretendete di ingabbiarla dentro un insieme di convenienze tra di loro contraddittorie.

Non sono mai stato presidenzialista, ma sono sempre stato convinto del valore del governo parlamentare. Tuttavia, ho sempre ritenuto e ritengo che il presidenzialismo conservi la logica della democrazia rappresentativa, perché a fronte della stabilità e dell'autonomia del Governo elegge un libero Parlamento, che non è obbligato a votare le leggi del Governo ma si pone in un rapporto dialettico nei confronti di quest'ultimo.

L'anomalia, o, se volete, la mostruosità della norma che voi proponete non è né il governo parlamentare né il governo presidenziale, ma è il governo personale, la cui logica porta all'annullamento del Parlamento, istituzione della democrazia rappresentativa: in ciò risiede il dissenso!

Pertanto, voteremo contro ma con una grande speranza: che il «no» sia sollecitazione al rinsavimento, e vorrei ricordare a me e a tutti voi un versetto biblico, che recita: mai le tenebre sono così intense prima che sorga l'aurora!

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