Durante le lotte con la Francia per
il dominio dell’italia meridionale, gli
Spagnoli fecero di Barletta un centro della
loro resistenza, e proprio qui furono
definite le condizioni della storica
Disfida, combattuta il
13 febbraio 1503, in campo neutrale tra
Andria e Corato. Narrata dal Guicciardini,
fu da Massimo Taparelli D’Azeglio il
soggetto del suo noto romanzo, pubblicato
per consiglio e incitamento del suocero
Alessandro Manzoni.
Assediata per sette mesi dai
francesi, Barletta visse una pagina di
storia indimenticabile. Come tutti sanno,
un’infelice e offensiva frase di Charles La
Motte, toccò l’orgoglio nazionale italiano.
Avvenne una sfida fra 13 cavalieri francesi
capitanati dallo stesso La Motte e 13
cavalieri italiani capitanati da Ettore
Fieramosca; questi riuscirono vincitori.
Barletta ne celebra il ricordo nel
fossato del castello normanno-svevo ogni
anno. |
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Epitaffio centrale dell'epoca, in Latino.
A fianco, 2° epitaffio del 13 febbraio 1903, nel IV
Centenario della Disfida. Trascrizione: XIII Febbraio
1503, in equo certame contro tredici francesi qui
tredici d'ogni Terra italiana, nell'unità dell'onore
antico e tra due invasori, provarono che dove l'animo
sovrasti la fortuna, gli individui e le Nazioni
risorgono.
Clicca sull'immagine per ingrandire. |
Francesi e Spagnoli ambivano al
possesso della Capitanata (provincia di Foggia); scoppiò
allora la guerra tra i due pretendenti. I primi fatti di
armi si ebbero ad Avellino, ma l’azione principale si
svolse in Puglia.
L’accordo che intervenne tra
Ferdinando il Cattolico e Luigi XII, ai danni di
Federico d’Aragona, fu firmato a Granata l’11 novembre 1500.
Essi, d’accordo con il papa, stabilirono che Napoli
fosse con Terra di Lavoro e Abruzzi, devoluta al re di
Francia col titolo di re di Gerusalemme e di Napoli; il
ducato di Calabria e tutta la Puglia, al re di Spagna,
col titolo di duca di Calabria e di Puglia.
Questa fraudolenta divisione fu
legittimata con l’accusa fatta al re
Federico d’Aragona d’essersi diretto spesso al
principe Turco per aiuti con lettere e ambascerie:
“Regem Fridericum saepeTurcarum Principem Christiani
nominis hostemacerrimum, Literis, Nunciis ac Legalis ad
arma contra pupulum Christianum capesseuda sollicitasse”.
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Tommaso Minardi (1787-1871), Episodio della Disfida di Barletta, Pinacoteca Civica di Faenza |
Così il regno fu diviso e
governato, alla partenza di Federico d’Aragona, dal
viceré Luigi d’Aurignac, duca di Nemours, per il re di
Francia, e dal gran capitano Consalvo di Cordova per
Ferdinando di Spagna.
Intanto l’esazione della dogana di
Puglia, da dividersi in parti uguali, fu il primo seme
della discordia che doveva nascere fra Francia e Spagna;
gli Spagnoli si spinsero fino ad Atripalda, occupata dai
francesi, e ciò dette l’appiglio ad aprire le ostilità,
12 giugno 1501.
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Tommaso Minardi (1787-1871), episodio
c.s., particolare |
Molti Italiani servivano e
simpatizzavano per la Spagna, tra i francesi e gli
italiani non correvano buoni rapporti, e di fatto le
ingiurie atroci prepararono quel clima di rancore nel
quale nacque la famosa Disfida di Barletta.
Narra l’illustre storico e uomo
politico Francesco Guicciardini: Barletta, fu il
quartiere generale delle forze Spagnole. Consalvo di
Cordova, comandante supremo degli spagnoli, interrogati
i migliori suoi ufficiali, questi concordemente
dichiararono doversi scegliere Barletta, posta
all’inizio della zona contesa, con una formidabile rocca
ed altri fortilizi minori, cinta di mura, con porto, ove
potevano sbarcare vettovaglie e uomini: nessun’altra
città della regione offriva garanzie migliori. Qui
dunque, si chiuse Consalvo, senza denaro, con poca
vettovaglia e carestia di munizioni.
Il Duca di Nemours, Viceré di
Luigi XII, e comandante supremo dell’esercito francese,
aprì le ostilità, si portò sotto le mura di Barletta e
l’assediò. Siamo nel settembre 1502. L’assedio durò
sette mesi, sino all’aprile 1503. Durante l’assedio non
mancarono sortite da parte degli assediati, in una di
queste, gli Spagnoli uniti alle bande Colonnesi
attaccarono i Francesi, li sbaragliarono e fecero
parecchi prigionieri.
Tra i prigionieri vi era un tale
Charles La Motte, “sanguinario, facinoroso, capace di
scelleratezza”, il quale in un banchetto dato ai
prigionieri, il
20 gennaio 1503,
scattò a sentire gli elogi che gli Spagnoli facevano
degli Italiani, e disse: che gli italiani trattavano
le armi senz’arte e senza fede, ch’erano vili, poltroni,
e noi francesi in ogni scontro li abbiamo vinti e
dispersi.
Gli Spagnoli comunicarono queste
insolenze agli Italiani; Prospero Colonna mandò subito
due cavalieri romani, Capoccio e Brancaleone, perché
invitassero il La Motte a ritirare le parole offensive,
e nel caso non volesse farlo gli dessero del mentitore e
lo sfidassero con quanti altri avessero voluto misurarsi
con gli italiani. La Motte in modo spavaldo confermò le
ingiurie e aggiunse che avrebbe trovato subito altri
francesi pronti a battersi. La Disfida era decisa, la
scelta dei cavalieri italiani fu alquanto laboriosa,
perché in molti volevano battersi. Furono scelti il
capuano Ettore Fieramosca, Giovanni Bracalone da
Genazzano, i romani Ettore Giovenale (detto Peraccio) e
Giovanni Capoccio, Ludovico Abenavole da Teano, da
Sarno
Mariano Abignente, barone di Frassello,
Ettore de' Pazzis (detto Miale) da Troia,
Marco Carellario da Napoli, i siciliani Francesco
Salamone e Guglielmo Abbimonte, Romanelli da Forlì, i
parmigiani Riccio e Fanfulla.
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La cantina della Disfida |
Consalvo prima dello scontro, tenne
un significativo e conciso discorso. Egli si rendeva
conto che era in giuoco l’onore degli italiani, ma anche
l’interesse della Spagna; fu dunque abilissimo nel dire:
“illos meminisse Italiae virtutis,
seque sub felici auspicatu Catholicorum regum pugnare,
et Italos atque Hispanos gentem esse eiusdem sanguinis,
eiusdem linguae; victoriamque gratiorem quam Italis,
Hispanis Futuram” (Galateo
[1])
Il Guicciardini così scrive sul
fatto d’arme del
13 febbraio 1503. “... come fu dato il segnale
corsero ferocemente a scontrarsi con lance... Essendosi
combattuto per un piccolo spazio, e coperta la terra di
molti pezzi di armature, di sangue, di feriti, d’ogni
parte, e ambiguo ancora l’evento della battaglia, accade
che Francesco Salomone, correndo al pericolo di un
compagno, ammazzò con un grandissimo colpo il francese
che, intento ad opprimere quello, da lui non si guardava.
E poi, insieme con altri italiani, presi in mano spiedi,
che a quest’effetto portati avevano, ammazzarono più
cavalli degli inimici. Donde i francesi cominciati ad
essere inferiori, furono dagli italiani fatti tutti
prigionieri…”.
Consalvo nobilitò gli italiani,
uomini d’onore e di valore, facendoli cavalieri. Essi
avevano attuato quella fusione fra Napoli e la Spagna,
auspicata dal re Ferdinando, furono gettate così le basi
del
Viceregno.
Tre mesi dopo la Disfida, i
francesi furono battuti a Traetto. Consalvo, fra grandi
dimostrazioni di gioia, entrò in Napoli,
10 maggio 1503.
Comincia qui, un novus ordo.
Note
[1] Ammonio De Ferraris, medico-umanista leccese,
detto il Galateo.
Bibliografia essenziale
-
Documenti Storici Storia della
Casata Miale
-
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Rutigliano in rapporto agli avvenimenti
più notevoli della Provincia e del Regno, Sue
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-
Einaudi,
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Pagine del sito correlate
Pina Catino, giugno 2009 |