Nel 1734,
Don Carlos di Borbone, duca di Parma e infante di Spagna,
approfittando dell’impegno austriaco sul fronte polacco, inizia la
conquista dei regni di Napoli e di Sicilia.
Dopo la conquista Carlo, anche se comunemente viene inteso come
sovrano di Napoli con annessa provincia siciliana, diviene in realtà
sovrano di due stati indipendenti ed “il suo titolo dinastico era
quello di re delle due Sicilie, o meglio come si legge nei decreti
legislativi, re dell’una e dell’altra Sicilia, della
“Sicilia al di qua e della Sicilia al di la
del Faro” in
virtù della cessione fattagli dei diritti della casa di Spagna sui
regni di Napoli e di Sicilia.
I due regni erano separati fin dal
1282, ben distinti tra loro anche se spesso associati nella
persona di un unico re. Ma un unico re o vicerè non significa un
unico regno. Ciascuno dei due regni, infatti possedeva proprie leggi
ed istituzioni: in Sicilia, ad esempio, viene mantenuto il
Parlamento, mentre a Napoli continuano ad esistere i
Sedili, istituzioni meramente consultive alla stregua degli
Stati Generali di Francia. Tuttavia il regno di Carlo, pur essendo
ancora feudale è uno stato “moderno” ben diverso dagli antichi stati
italiani e più vicino agli stati a dispotismo illuminato, anch’essi
governati, in realtà, da re feudali (siamo ancora nel ‘700, non
dimentichiamolo!).
A Napoli Carlo regnerà da despota illuminato con sovranità
personale, in Sicilia invece regnerà in regime parlamentare feudale.
E’ un regno non facile da gestire proprio per la diversità delle sue
due componenti. Le diversità erano tante ma ci limiteremo a
descrivere quelle, a nostro parere, più importanti.
Una prima diversità risiede nello “status” della feudalità:
l’aristocrazia fondiaria in termini quantitativi è meno forte in
Sicilia ed i due quinti del territorio e della popolazione sono
regio demanio. A Napoli invece, nonostante ci sia una popolazione
doppia di quella dell’isola, la parte demaniale è meno della metà
che in Sicilia. Inoltre, nella parte continentale,
non esistano città degne di questo nome
oltre
Napoli; in Sicilia invece, accanto a Palermo troviamo Messina,
Catania, Agrigento, Siracusa, Marsala, Trapani ed altre ancora.
Gaspar van Wittel, Napoli - il borgo di Chiaia, 1729
In Sicilia, anche se numericamente inferiore, il baronaggio, grazie
al Parlamento, è politicamente più potente e impedisce la formazione
di una società civile (quella degli intellettuali illuministi prima
e delle pagliette poi) che invece trova maggior spazio a
Napoli.
Una seconda, e non meno importante, diversità la riscontriamo
a livello culturale: Napoli vanta una delle più antiche e valide
università europee, fondata da
Federico II, in Sicilia invece le Università di Messina e
Catania, fondate da
Alfonso il Magnanimo, non avevano avuto un grande sviluppo e
solo nella seconda metà del XVII secolo Messina diventa un centro
prestigioso, rimasto poi a lungo chiuso, per rappresaglia, in
seguito alla rivolta di Messina del 1674. Catania, rimasta unica, si
era limitata a conferire titoli senza produrre cultura.
Gli studiosi Siciliani più importanti furono costretti ad operare al
di fuori del regno mentre l’istruzione della gioventù isolana era
totalmente affidata ai gesuiti e “la provincia gesuitica -
come dirà Scinà - se certamente è santa, non è parimente dotta”.
Insomma per farla breve mentre Napoli può fregiarsi di studiosi come
Vico e Genovese ed è conosciuta nel resto d’Europa per personaggi
come Pietro Giannone e Alfonso de Liguori, la Sicilia è conosciuta
per personaggi come Giuseppe Balsamo, alias
Conte di Cagliostro o
Giuseppe Vella, falso arabista e autore dell’”arabica impostura”!
[cfr.
l'istruzione nelle Due Sicilie]
Mancarono però in entrambi i regni i grandi statisti in grado di
gettare solide fondamenta per uno sviluppo omogeneo del neonato
regno e per la sua futura sopravvivenza.
Domenico Cattaneo Della Volta
Dal 1734 al 1776 fu ministro Bernardo Tanucci
, toscano, dal ’76 all’86, Giuseppe Beccatelli
Bologna, marchese della Sambuca, siciliano ed infine dall’86 all’89,
Domenico Caracciolo, napoletano che fu anche vicerè di Sicilia.
Nessuno dei tre, pur avendo effettuato delle importanti riforme si
rese conto della necessità di rendere stabile e forte il rapporto
tra Napoli e Sicilia, neanche Tanucci, sicuramente il migliore dei
tre, che operava per conto di re Carlos, ormai re di Spagna. Nemmeno
Gaetano Filangieri, illustre giurista e filosofo, si pose seriamente
il problema di risolvere i rapporti reciproci tra i due regni.
Dal 1789 in poi, nonostante gli eventi della Rivoluzione francese
che avrebbero dovuto far comprendere la necessità di una politica di
rafforzamento costituzionale, per desiderio della regina,
l’austriaca Maria Carolina
fu infine chiamato John Francis Acton
, la cui unica preoccupazione, in accordo con i
desiderata
della regina, fu quella di avversare la Francia sia in politica
estera che interna.
Maria Carolina
Ma torniamo al 1734 e a Don Carlos.
Dopo la conquista sul campo dei due regni e nonostante il rifiuto
del papa di riconoscergli l’investitura del regno di Napoli,
Carlo - forte del sostegno del popolo napoletano e del giuramento di
fedeltà ed ubbidienza del parlamento siciliano a cui ricambiò giurando
a sua volta l’osservanza fedele delle istituzioni - compì l’atto
fondante della monarchia meridionale. Approfittando poi del
privilegio dell’
“Apostolica legatia” di cui
godeva la Sicilia aggirò l’opposizione papale e il 3 luglio del 1735
si fece incoronare, nella cattedrale di Palermo re di entrambe
(utriusque) le Sicilie, prima ancora che l’intera isola fosse
militarmente conquistata.
Napoli vista dal borgo di S. Lucia, Londra, già
Christie's
La nascita del regno
meridionale fu il fatto nuovo del settecento italiano, l’inizio di
un periodo storico nuovo, di un processo di trasformazione.
Carlo assunse il titolo di III
, mostrando così di considerarsi un sovrano
ereditario.
L'incoronazione di Palermo segnò un successo della diplomazia
borbonica sulla politica papalina ma contemporaneamente rafforzò il
baronaggio siciliano con le conseguenze destabilizzanti sul nuovo
regno che tutti conosciamo. Per parafrasare D’Azeglio: le Sicilie
erano fatte ma bisognava fare i siciliani!
I ministri di Carlo, Santostefano, Montealegre (spagnoli) e Tanucci
(toscano) cercarono di organizzare la monarchia meridionale nel
rispetto delle autonomie dei due regni. Fu costituita una “Giunta
suprema” su modello del “Consiglio d’Italia” (un’istituzione
peculiare del governo spagnolo che comprendeva, al tempo dei
vicereami anche i rappresentanti, in minoranza, di Sicilia, Napoli e
Milano), nella Giunta suprema però non c’era preminenza napoletana o
siciliana e poiché Carlo scelse come residenza Napoli, si introdusse
l’usanza di chiamare come Vicerè in Sicilia un non siciliano (né di
terra né di isola) proprio per evitare qualsiasi sospetto di
ingerenza.
Se il dualismo statuale siculo-partenopeo conservava l’autonomia dei
due regni non impediva tuttavia un’azione politica unitaria. Venne
così elaborato nel 1736, da un apposito gruppo di giuristi, un
programma politico da applicare ai due regni. Tale programma
prevedeva la moderazione del lusso (lo “spagnolismo”), il divieto di
ostentare vessilli stranieri, l’introduzione di vantaggi e privilegi
doganali e fiscali atti a promuovere i commerci sia terrestri che
marittimi, il rientro degli ebrei, che sicuramente avrebbero dato
una notevole spinta all’imprenditoria, la proibizione al
potentissimo clero di acquistare nuovi beni immobili, un censimento
della popolazione per meglio ripartire gli oneri fiscali ed infine
togliere, o quantomeno ridimensionare, ai baroni siciliani la
giurisdizione sulle terre feudali.
|
Carlo di Borbone, statua di Palazzo Reale Napoli |
Altro provvedimento adottato congiuntamente nei due regni fu
l’introduzione della lingua italiana in luogo del latino e dello
spagnolo. Questo atto, apparentemente insignificante doveva servire
a fornire un carattere “nazionale” al nuovo regno.
Il progetto era valido e si ispirava ai rimedi suggeriti dal
Montesquieu ma come potete ben immaginare fu osteggiato in molte sue
parti dai baroni siciliani
così come dagli ecclesiastici che rifiutarono anche la proposta di
richiamare gli ebrei.
In sostituzione furono adottate singole riforme, come l’istituzione
di un Supremo Magistrato di Commercio che aveva il compito di
sottrarre alla magistratura dominante il controllo totale su ogni
affare economico (agricolo, commerciale, artigiano e marinaro) ma le
reazioni furono tali sia a Napoli che a Palermo che il provvedimento
dovette essere subito revocato.
Il Parlamento siciliano consentì solamente la riduzione del numero
degli ecclesiastici, l’annullamento delle finte traslazioni di beni
laici alla chiesa allo scopo di evadere il fisco e il divieto di
costruire nuovi conventi, monasteri ed altri pii edifici. La Sala Ercole,
Parlamento Siciliano
Il tentativo di limitare il potere baronale fu infine bloccato e
rimandato in seguito alla vertenza giudiziaria tra il comune di
Sortino ed il principe del Cassero, clamorosamente vinta da quest’ultimo
.
Purtroppo Carlo III, nel 1759, assunse la corona di Spagna
lasciando come successore il figlioletto
terzogenito
Ferdinando, di soli 8 anni. Per non lasciare campo
libero al papa, che si era offerto come reggente, fu istituito un
Consiglio di Stato il cui compito era di reggere la Cosa Pubblica e
di educare il giovanissimo re. Reggenti furono scelti il principe di Sannicandro e Domenico Di Sangro per il regno partenopeo, il
principe di Camporeale e Michele Reggio, dei principi di Aci per la
parte siciliana. Al marchese Tanucci toccò invece il delicato
compito di mantenere i rapporti con Carlo III che si era riservato
la suprema potestà di dettare le direttive politiche durante la
reggenza.
Carlo III mostrò un grande interesse nel rafforzare e consolidare il
nuovo stato e lo fece cercando di corresponsabilizzare la Sicilia e
impedendo eventuali preferenze per questa o quell’altra “nazione” ed
in ciò fu egregiamente coadiuvato dal fedele Tanucci. A riprova del
forte impegno di Carlo e del Tanucci è possibile consultare la fitta
corrispondenza tra i due, durata ben quindici anni. La diplomazia e
l’esercito spagnolo erano a difesa dell’indipendenza delle Sicilie e
non solo, anche la politica matrimoniale fu volta a bilanciare le
“irrequietezze diplomatiche” e le aspirazioni del re di Sardegna.
Carlo pensò pertanto di coinvolgere in questo l’Austria dando in
sposa a Ferdinando, Maria Carolina. Non poteva prevedere l’evolversi
della situazione!
Ferdinando IV di Napoli, III di
Sicilia
Il disegno istituzionale di Carlo III non venne però compreso dai
popoli interessati e ben presto si formarono due “partiti”, il
napoletano ed il siciliano rivali tra loro. Non riuscivano i due
stati a comprendere il significato di “federazione” tra pari, ma si
ostinavano ad inseguire il sogno del Regno normanno! (Da questo
punto di vista non credo sia cambiata qualcosa al sud come al nord).
Purtroppo Carlo lasciò istruzioni particolareggiate per la
successione (la
Pragmatica Sanzione) e per la reggenza ma nulla sull’educazione
del figlio, che affidò al Sannicandro. Questi lo fece crescere sano
e robusto, ma diciamoci la verità, assolutamente ignorante riguardo
la politica e la specialissima situazione interna del regno che
avrebbe dovuto governare
.
Gaetano Filangieri
Fu durante la reggenza che in ambito europeo si verificò uno degli
eventi più importanti che consentì una spinta al riformismo
giurisdizionalista e illuminista del giovane regno: l’espulsione dei
Gesuiti
.
I vuoti lasciati dai gesuiti, in tutta Europa, furono prontamente
occupati da uomini di cultura sia laici che religiosi che si
ispiravano, anche se in maniera moderata a Voltaire, Diderot e D’Alembert.
Uno di questi uomini fu certamente Bernardo Tanucci che, nel regno
delle due Sicilie e per conto del re Don Carlos, eseguì prontamente, nel 1767, l’espulsione dei
gesuiti e la confisca del loro patrimonio (nella sola Sicilia si
trattava di 40.000 ettari di terreni coltivati in vario modo, la
totalità delle scuole e dei collegi, chiese, biblioteche, ecc).
Il problema che si pose subito fu: che fare di tutto questo ben di
Dio?
Carlos ed il suo ministro, su consiglio di Antonio Genovesi
(economista di grande prestigio dell’università napoletana)
scelsero, riguardo i beni immobili agricoli, di non acquisirli al
regio demanio ma di parcellizzarli e concederli in uso ai contadini.
Questa fu una grande riforma e vista l’enormità dei beni gesuitici
in Sicilia ebbe nell’isola un peso notevolissimo, molto più che
nella parte continentale del regno.
Un’altra importante riforma tanucciana sempre determinata
dall’espulsione dei gesuiti fu l’istituzione della scuola pubblica
di Stato. Fino ad allora l’istruzione era stata una peculiarità dei
gesuiti. La chiusura delle case e collegi gesuitici implicò che
decine di migliaia di studenti si trovassero di colpo senza scuole e
senza professori. Lo Stato si appropriò delle strutture ma, con
grande scorno della chiesa, non delegò l’insegnamento ad altri
ordini religiosi bensì creò un corpo docente costituito da laici che
potevano accedere all’insegnamento solo per concorso e senza
conflitto d’interesse. Spiego meglio, un canonico ad esempio, anche
se preparato non poteva contemporaneamente ricoprire l’incarico di
insegnante e di canonico! Di questa legge ne fece le spese un esimio
pedagogo come De Cosmi!
Il progetto era ottimo ma purtroppo ebbe un limite: il costo
finanziario dell’istruzione non fu messo a carico del bilancio dello
stato ma si calcolò di finanziare esattamente quelle che sarebbero
state finanziate dai gesuiti! Si riaprirono solo e soltanto quelle
che avevano operato con i gesuiti e l’onere della gestione di
eventuali nuove scuole fu delegato ai comuni che non sempre furono
in grado di mantenerle!
[cfr.
l'istruzione nelle Due Sicilie]
Le scuole furono divise in tre livelli:
le scuole minori (18 nella parte continentale e 22 nell’isola)
le scuole maggiori dotate di convitti (9 nel napoletano e 5 in
Sicilia)
le scuole superiori, organizzate come vere e proprie università (una
a Napoli e una a Palermo).
La riforma pur con un carattere limitato fu egualmente di grande
importanza anche se non mancarono i “trombati” eccellenti come
Giovanni De Cosmi ed il principe di Torremuzza che sicuramente
l’avrebbero resa di migliore qualità, l’uno per la sua grande
esperienza pedagogica l’altro per le sue capacità creative e
organizzative.
Collegata all’espulsione dei gesuiti e alla laicizzazione della
cultura fu pure la nascita di varie istituzioni culturali pubbliche
d’ispirazione laica, come le biblioteche e la stessa università di
Palermo.
Purtroppo nel 1776 Tanucci fu destituito dal potere e, caduto lui,
cadde anche il suo riformismo.
A causare questo capovolgimento concorsero essenzialmente due cose:
re Ferdinando, una volta raggiunta la maggiore età cominciò a
sentire sempre più impellente il desiderio di emanciparsi da Tanucci
e soprattutto dalla tutela paterna. Voleva essere lui il re e non
solo l’esecutore degli ordini di suo padre! Non diverso nei
confronti dell’ingerenza di Carlo, anche se con diversa finalità,
era l’atteggiamento di Maria Carolina, figlia di Maria Teresa
d’Austria che per contratto matrimoniale aveva diritto di regnare
partecipando al Consiglio di stato; inoltre parte dell’elite
napoletana, filo-francese, desiderava uscire dall’orbita spagnola,
così come parte del baronaggio siciliano, che non aveva in simpatia
le riforme tanucciane tendenti a limitarne il potere, capeggiato da
Giuseppe Beccadelli, marchese della Sambuca e ambasciatore borbonico
a Vienna.
Maria Carolina con il figlio Tito
Non è facilmente comprensibile oggi l’atteggiamento di costoro.
Tanucci era riuscito a gestire in maniera più che equilibrata il
rapporto tra Napoli e Sicilia e il dualismo costituzionale aveva
funzionato, anche se con un certo lassismo nei confronti dei
siciliani.
Il baronaggio siciliano non aveva dunque motivo di lagnarsi ma il
Sambuca, pur di prendere il posto di Tanucci, finse di non
comprendere le conseguenze per la Sicilia dell’abbandono della
prassi costituzionale spagnola e dell’alleanza con Carlo III e si
alleò con la corrente di Maria Carolina che complottava contro
Tanucci.
Ma tant’è, o meglio tanto è stato!
Nell’ottobre del 1776, con una sorta di colpo di stato Bernardo
Tanucci fu deposto e Giuseppe Beccatelli Bologna marchese della
Sambuca assunse la carica di Primo segretario di Stato e Maria
Carolina si adoprò a più non posso, facendo anche controllare la
corrispondenza del Tanucci, per strappare le due Sicilie all’orbita
di influenza della Spagna di Carlo III, il creatore del regno, per
riconsegnarla alla tutela austriaca.
Fara Misuraca
Pagina successiva:
I successori di Tanucci: Sambuca, Caracciolo e Caramanico
Napoli vista dal porto, Beaulieu, National Motor
Museum
Bibliografia
-
Montesquieu, Viaggio in Italia, cit. da Giarrizzo in
La Sicilia
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Leonardo Sciascia Il consiglio d’Egitto, Sellerio,
Palermo
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AAVV, Storia di Sicilia , Edizioni, Storia di Napoli e
della Sicilia, 1978
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Palermo
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dell'Ottocento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1961,
p. 240. [Calà Ulloa era procuratore generale del Re a Trapani].
-
F. Renda, Storia della Sicilia dalle origini ai nostri giorni,
Sellerio
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AAVV Contributi per un bilancio del Regno Borbonico,
edito dalla Fondazione Lauro Chiazzese, 1990.
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Gleijeses Vittorio, La Storia di Napoli, Società Editrice
Napoletana, 1977
-
Gleijeses Vittorio, La guida storica, artistica, monumentale,
turistica della città di Napoli e dei suoi dintorni, Società
Editrice Napoletana, 1979.
John Francis Edwards Acton
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