Le pagine di Napoli

Palazzo Donn’Anna

il fantastico sovrano… la leggenda

di Ciro La Rosa

Palazzo Donn’Anna, cromolitografia R. D'Ambra

“Perchè palazzo Donn’Anna non era soltanto un palazzo, era un mondo, talmente vasto che non si finiva mai di esplorarlo e di scoprire angoli nascosti, scale misteriose, e grotte oscure, pozze d’acque morte e perfino trabocchetti dove la regina Giovanna della leggenda faceva precipitare i marinai... Sembra fatto di sughero, lo stesso con cui si fanno i presepi. La pietra di tufo con cui è costruito, corrosa dal mare, dal vento e dal salmastro, le grotte, le nicchie, le finestre e i grandi archi della facciata aperti sul golfo danno l’aspetto a questa grande dimora seicentesca ora l’aspetto di romantica rovina, ora di cosa naturale scoglio, rupe o promontorio...”

Ho voluto iniziare la narrazione su Palazzo Donn’Anna con l’omaggio di Raffaele La Capria, chi più di lui può parlarne? ha trascorso qui la sua infanzia e la prima giovinezza e come lui ho voluto inserire nel testo gli acquerelli di Giovanni Ellero (1871-1958) che emblematicamente rappresentano questo edificio intriso di storia, di mistero leggendario.

L'attracco in un'immagine pittorica

Il palazzo Donn’Anna sembra sorgere dalla roccia marina di Posillipo, assurto a sede delle presunte “prestazioni” orgiastiche della regina Giovanna, che sono in effetti del tutto arbitrarie perchè le due regine Giovanna erano già morte da un pezzo al momento della sua edificazione. Costruito sul finire del XV secolo su un preesistente edificio detto La Serena, di proprietà di Dragonetto Bonifacio, nominato marchese dall’imperatore Carlo; successivamente passò nel 1571 ai Ravaschieri, i quali poi la vendettero per 800 ducati al principe Luigi Carafa di Stigliano, nonno della famosa Donn’Anna Carafa, considerata all’epoca “la prima dote d’Europa” per le sue ricchezze, figlia di Luigi ed Elena Aldobrandini, mai amata dal popolo, e tanto più odiata per il marito il vicerè Filippo Ramiro de Guzman, duca di Medina, che lasciò un cattivo ricordo della sua amministrazione che svolse dal 1637 al 1644, il quale ritornò in patria il 7 maggio 1644 con la nomina a vicerè della Castiglia. Lei Donn’Anna non seguì il marito richiamato in patria, si ritirò nel suo palazzo in Portici dove morì in solitudine il 24 ottobre 1645.

I Porticati in un'immagine pittorica

Ritornando al palazzo Donn’Anna che come si intuisce ha preso il nome dalla duchessa, venne ricostruito ex novo nel 1642 dall’architetto Cosimo Fanzago, il cui progetto era grandioso: attraverso un portone aperto sul mare si poteva passare al coperto dalle barche ad una scala che portava all’interno, mentre le carrozze entravano dalla strada direttamente in un cortile che all’altezza del mare corrispondeva al secondo piano del palazzo ed avrebbe dovuto essere ornato di statue; venne saccheggiato nei moti della rivolta di Masaniello del 1647; passò di proprietà a Nicola Guzman che lo fece restaurare ed innalzare di tre piani, ma il palazzo non trovò ancora pace, nel 1688 venne danneggiato dal terremoto che provocò anche la morte del Guzman, cosa che alimentò ancor di più la sua sinistra fama, lasciandolo diroccato “le mareggiate cancellarono gli affreschi del salone, portarono sabbia nei cortili, conchiglie ed alghe ricoprirono i gradini che portavano al mare” (da Partenope Magica di C.B. Manacorda, edizione L’Isola dei Ragazzi). Durante il regno di Ferdinando IV di Borbone, per allargare la strada di Posillipo ne venne parzialmente distrutta un’ala; divenne in seguito una fabbrica di cristalli nel 1824; acquistato poi dalla Banca d’Italia e da ultimo dai Capece Minutolo e poi dai Colonna di Paliano.

Il cortile interno in un'immagine pittorica

Attualmente è frazionato in vari proprietari; il palazzo non ha mai perso il suo fascino; il suo essere incompiuto, la corrosione del vento marino che ha plasmato il suo aspetto lo rendono suggestivo trasformandolo in una rovina ancor più antica del secolo in cui fu costruito, il secolo XVII, e ricco di mistero.

Un bel disegno della Marina

Infatti Matilde Serao ne descrive, nel suo libro “Leggende Napoletane”, la cruda storia della viceregina Donn’Anna. La nobiltà dell’epoca accorreva di buona lena alle feste che la splendida e superba duchessa approntava nel suo palazzo, degne della corte reale, e fu in una di queste, dove gli attori erano gli stessi nobili, che si scatenò la sua mortale gelosia: la nipote donna Mercedes de las Torres, acquisita da parte maritale, era una donna di grande bellezza mora: in una rappresentazione sosteneva la parte di una schiava innamorata del suo padrone, morendo per salvarlo; il padrone era impersonato da Gaetano di Casapesenna, amante delle duchessa. L’ultima scena fu così veritiera che, quando il cavaliere baciò la sfortunato amore, lo fece con tale trasporto che tutti applaudirono calorosamente, tranne la duchessa, che impallidì dal livore. Nei giorni successivi le due dame si affrontarono violentemente, finché un giorno non si sentì più parlare della nipote della duchessa Donn’Anna Carafa, la sua scomparsa fu giustificata dall’improvvisa vocazione della giovane e del suo conseguente ritiro in convento, ma a cui pochi crederono… Gaetano di Casapesenna la cercò per mari e monti, ma non la rivide più. Morì in battaglia. La leggenda vuole che nel palazzo appaia ogni tanto il fantasma di Donn’Anna e le presenze dei due sfortunati Mercedes e Gaetano che si cercano in eterno.

Il Teatrino in un bel disegno a matita

“Quei fantasmi sono quelli degli amanti? O divini, divini fantasmi! Perchè non possiamo anche noi, come voi, spasimare d’amore, anche dopo la morte?” (da Leggende Napoletane di Matilde Serao, Collana Libri Ritrovati, edizione G.R.)

Ciro La Rosa

Gennaio 2009

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