Pensiero Meridiano

 

L’epoca del caimano
Editoriale de Il Portale del Sud

Il neoliberismo, a quanto pare, è il solo risultato di ben tre secoli di speculazioni filosofiche e di trasformazioni economiche. Davvero un gran bel risultato, che sa tanto di ritorno all'età della pietra. Il prossimo passo sarà il ritorno alla feudalità (su di cui la Lega nord sta "alacremente lavorando") ed ai servi della gleba?

I nei del liberismo

Ci sono state altre epoche in cui il liberismo si impose come dottrina mondiale. La più famosa è la Belle Epoque (prima decade del ‘900). Si concluse con la prima Guerra Mondiale, cui si arrivò a seguito, da una parte, della esasperazione dei nazionalismi e, dall’altra parte, per la spinta di lobbies trasversali alle Nazioni stesse e che avevano interessi nella produzione di armamenti. Hitler userà poi quest’ultimo fattore per giustificare lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei che, ovviamente non c’entravano nulla con le armi e con le guerre. Quegli uomini, donne, bambini che morirono nelle camere a gas nazi-fasciste non avevano altra colpa che appartenere ad un popolo già per secoli perseguitato dalla Chiesa cattolica con l’assurda accusa di “deicidio”.

Quelle lobbies oggi vengono identificate come “i grandi speculatori”. I fascisti hanno anche ripreso a rinverdirne un preteso connotato razzista (potevano mai perdersi l’occasione?) e riparlano di “complotto pluto-sionista”. Lasciamoli perdere a sguazzare nelle loro fogne, tanto i fascisti non cambieranno mai e continueranno, purtroppo, a blaterare. Almeno finché una nuova età della Ragione riuscirà ad estirpare l’odio e la paura che li alimentano.

In effetti, i grandi speculatori hanno sede a Londra, New York, Tokio e Singapore. Sono di tutte “le razze” e agiscono non solo alla luce del sole, ma con il beneplacito e con l’applauso degli economisti occidentali (cioè di tutti). Nessuno li contrasta perché il sistema dominante e vincente li produce, alimenta, esalta.

Alla fine della Belle Epoque, fiumi di risorse vennero riversate in una guerra di potere mascherata dal nobile principio di voler abbattere gli ultimi regimi assolutisti di Austria e Germania (e, indirettamente, Russia). Sappiamo come andò a finire: in Italia, Germania e Spagna sorsero tra il 1920-30 i regimi fascisti e nazisti, assolutisti e totalitari, violenti e guerrafondai, ma comunque compatibili con il liberismo economico. In Russia, invece, la rivoluzione leninista travolse gli schemi, instaurando il socialismo reale.

Oggigiorno non occorrono al liberisti schermi ideali dietro cui nascondersi. Con la fine dell’utopia marxista, non hanno più avversario. Il “mercato” si è trasformato da oggetto in soggetto. Non ammette regole, perché l’unica legge che si è dimostrata capace di resistere a tutto e tutti è quella “del più forte”.

I capitali non vengono neanche più reinvestiti in attività economiche, essendo queste ritenute di per sé scarsamente remunerative, in quanto tramite esse il profitto si genera solo a fronte di costi da sostenere. Rende molto di più “giocare” con i capitali, scommettere sui default dei debiti sovrani, rastrellare i risparmi della gente inventando nuovi “prodotti” finanziari… Sinché ci sono diseguaglianze questo sistema può andare avanti, spostando le “fastidiose” produzioni in Paesi in cui la manodopera non costa niente o quasi, e prosciugando le risorse dei cosiddetti paesi ricchi, o meglio ex-ricchi, come guarda caso l’Italia berlusconizzata, resa stanca ed oziosa da un benessere più apparente che reale a cui si è oramai assuefatta, divenendone dipendente.

Già mezzo secolo fa la situazione era diversa: di fronte alla crisi milioni di greci, italiani e spagnoli avrebbero tentato la fortuna in giro per il mondo… Non è che approviamo o rimpiangiamo l’emigrazione, sia chiaro. Sottolineiamo semplicemente la diversità. D’altra parte, 50 anni fa si utilizzavano pezzi di aerei della guerra per inventare la “Vespa” ed esportarla in tutto il mondo. Si nazionalizzava l’energia elettrica e si dava la luce anche e perfino alle masserie lucane!

Ma nella seconda metà del ‘900 il liberismo aveva dovuto cedere a qualche compromesso con il Bene Comune. I lavoratori avevano visto qualche frutto delle lotte che conducevano da quasi un secolo. La salute, l’istruzione e la casa venivano chiamati “diritti”…

Commossamente

Un popolo consapevole avrebbe cercato di conservare e difendere, di progredire e migliorare… La nostra unica risorsa è infatti il lavoro: la produzione agricola, la trasformazione di materie prime, che importiamo, in beni da esportare. Per continuare a farlo, a fronte del liberismo imperante, avremmo dovuto puntare sulla specializzazione, la professionalità, la qualità… Invece quello che vediamo accadere nel presente e, peggio ancora, proporre per il futuro, è una trita e ritrita emulazione del neoliberismo più spinto, quello che considera il lavoro un “costo” da abbattere tramite la “flessibilità”, notoriamente nemica ed incompatibile con la specializzazione e la qualità, legate ad un alto profilo sia sociale che salariale della manodopera.

Il lavoro fisso, quello così attualmente deprecato e vilipeso, ha permesso alla gente di vivere con tranquillità, pagare mutui e rate, far istruire i figli. Progredire, far carriera, fare meglio il proprio lavoro, specializzarsi, migliorare i prodotti… Tutte queste positività vengono messe da parte, ingigantendo oltre misura il problema dei c.d. “fannulloni”, che avrebbe potuto essere invece affrontato in modo specifico, se proprio si voleva.

Sembrerebbe così evidente: non possiamo fare concorrenza alla Cina agendo sull’età pensionabile e diminuendo i salari. Non possiamo fare concorrenza ai Paesi emergenti puntando sul precariato ed i licenziamenti, eliminando la cassa integrazione! Non occorre un master alla Bocconi per capire una cosa così semplice, tanto che se questi sono i risultati bisognerebbe cominciare a guardare con sospetto i laureati bocconiani e avere molto più conforto dalle nostre meridionalissime lauree!

È talmente evidente come non sia possibile recuperare competitività sulla Cina e la Corea, che il motivo di tanto accanimento dei berluscones e, adesso, di Monti, si spiega solamente con un’imposizione ideologica dovuta ad un’Europa caduta nelle mani delle destre. Un’Europa dominata dagli imperativi del “rigore” e decisa a rovesciare i costi della crisi finanziaria sulle spalle classi più deboli in cui stanno scomparendo le ultime parvenze di democrazia (basta vedere quanto sta succedendo in Grecia) nella pressoché totale assenza di opposizione da parte delle, ormai cosiddette, sinistre.

Un’Europa che è stata da tempo soggiogata e conquistata dai neoliberisti, tanto da far pensare che la crisi economica sia stata creata ed alimentata di proposito, per motivi ideologici, cioè per ripristinare la legge unica, quella già citata del “più forte”. Con una situazione economica felice, sarebbe stato infatti impossibile procedere allo smantellamento dello Stato sociale, il vero nemico da distruggere. I contributi più importanti per imporre questa svolta punitiva a quelle che erano una volta delle socialdemocrazie sono venuti prima da Reagan e dalla Thatcher e, per quanto ci riguarda dal programma della loggia P2 messo in pratica da Berlusconi.

Non è un segreto che “la riforma” del lavoro che sta preparando il ministro Fornero altro non è se non la trascrizione di un punto programmatico dei berluscones, su cui il porno-nano già si era tra l’altro impegnato con l’UE nella lettera di novembre 2011.

Il 21 febbraio scorso Emma Marcegaglia dall’alto del suo palco tuonò “Vorremmo poter avere un sindacato che non protegge assenteisti cronici, ladri, quelli che non fanno il proprio mestiere”. Parole queste che trasudano disprezzo e livore per chi lavora e per chi pretende rispetto per le regole che rendono “onorevole” e non servile il lavoro. Sta tutta in queste parole la voglia di abrogare l’Art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Per poter fare del lavoratore mera merce di sfruttamento per rimpinguare il proprio capitale.

Alle parole velenose della signora Marcegaglia si sommano il composto sorriso e le commosse lacrime della signora Fornero, del ministro Fornero, come ama definirsi, che soavemente e “commossamente” come un qualunque Cetto La Qualunque, ci informa che il welfare “era un sogno” e che “l’unico vero welfare nella storia di questo paese l’hanno fatto San Giuseppe Cottolengo e San Giovanni Bosco”. È chiaro che per il commosso ministro il welfare non è una questione di cui si deve occupare la società tramite lo Stato, gli enti locali o altro ma è soltanto carità, delegata ai santi e ai benefattori alla cui generosità i ceti meno abbienti, i disabili, gli anziani, i bambini e così via, devono affidarsi con rassegnazione. Tanto loro sarà il regno dei cieli una volta che avranno cristianamente tirato le cuoia, come insegna Santa Romana Chiesa.

Fate la carità

È la cultura “americana”, in base alla quale lo Stato deve intervenire il meno possibile nel riequilibrare la forbice tra ricchi e poveri, compito lasciato alla liberalità dei singoli, attraverso fondazioni o opere di beneficenza. Non è la comunità che deve occuparsi di scuole, ospedali, asili nido, sussidi di disoccupazione e quant’altro ma i ricchi privati, se ne hanno voglia. È il sogno americano che i “buoni alla Veltroni” tentano finalmente di realizzare.

Il neoliberismo è quindi una “malattia” anglosassone che ha ormai infettato l’Europa. In Germania non uccide perché i tedeschi sono gente tosta e realizzano, ad esempio, auto di qualità (BMW, Opel, Mercedes, Audi e Volkswagen), che tutto il mondo vuole e paga profumatamente. Uccide oggi la Grecia, ucciderà forse poi Spagna Italia e Portogallo… ma il colpevole sarà stato… il Mercato.

Vorremmo vedere delle prospettive, vorremmo conoscere il programma per questo Paese, per il Sud in particolare, il modello di sviluppo da seguire, i traguardi da raggiungere… Siamo disposti a partecipare, ascoltare discutere contribuire, faticare e pagare. Pensiamo che tanti siano parimenti disposti, ma disorientati avendo perso i punti di riferimento. O Forse sono i punti di riferimento ad essersi persi! I partiti, ad esempio…

Il neoliberismo non produce benessere, se non per pochissimi. Rastrella risorse ed impoverisce gli stati a vantaggio di alcuni individui. L’impoverimento serve proprio ad impedire il consolidamento delle conquiste sociali. La diseguaglianza è il motore dell’arricchimento spasmodico. Non c’è nulla da ammirare in coloro che si arricchiscono con la finanza, non dovrebbe essere lecito farlo, a nostro modo di vedere. Il berlusconismo, all’interno del neoliberismo, è la farsa dentro il dramma. Oggi, con il governo Monti, si ammanta di perbenismo e di presentabilità: un passo avanti per la nostra immagine nel mondo. Ma l’incedere verso la barbarie civile ed il baratro economico, chi lo fermerà?

Sembra proprio che l’incapacità sia la virtù negativa oggi imperante. Non solo incapacità a gestire le industrie, di cui abbiamo parlato in nostri precedenti scritti e simbolizzata da Marchionne, dottore in filosofia, che sceglie i modelli d’auto da costruire e gli stabilimenti da chiudere. Incapacità ed incompetenza generalizzata: questo sembra circondarci. Oppure c’è chi pensa davvero che basti poter licenziare gli operai perché riaprono acciaierie e industrie pesanti in Italia?

Monti aveva promesso rigore, equità e trasparenza. Ad oggi abbiamo visto solo il primo. E solo a danno dei ceti più deboli. È vero, come già accennato siamo meglio rappresentati adesso, non dobbiamo più vergognarci quando viene inquadrato il nostro presidente del consiglio, non c’è più l’armata Brancaleone, ma qualcosa, col passare dei mesi e con le dichiarazioni facili alla vista di un microfono, come bambini eccitati alla recita di Natale, questi ministri stanno inopinatamente seminando fuori dal terreno di semina. Una battutina sugli studenti sfigati oggi, un rimbrotto ai lavoratori “inflessibili” domani, l’armata Monti non perde occasione per fare un cazziatone agli italiani. Il che può sembrare spiritoso la prima volta ma alla lunga rischia di diventare sgradevole quanto il “pungere u sceccu a la muntata”.

Dal governo dei professori al governo dei professorini il passo è breve.

 Fara Misuraca

Alfonso Grasso

Febbraio 2012


Gli editoriali del sito sono scritti congiuntamente da Fara Misuraca ed Alfonso Grasso


leggi il commento di Antonio Casolaro

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