Sud Illustre


 

Felice Cuomo

Poeta e Musico nei miei ricordi

di Mariano Pastore

 

Parlando con Benito Ingenito e Attilio Mancini (amici mai dimenticati) editore e Direttore del Giornale di Eboli del Poeta ebolitano Felice Cuomo ai più sconosciuto, decidemmo la pubblicazione di alcune sue amate Parvulae, di qualche inno musicato e di dediche a personaggi storici o ad amici in occasioni tragiche o felici. Felice Cuomo Poeta e Musico morì, il 10 giugno 1957, avevo diciotto anni e conservo tuttora nitido il suo ricordo. Egli era solito attraversare, dalle sette alle otto, ogni mattina il ponte sulla Tufara, che immetteva nel cuore del suo amato rione “borgo” dal quale vedeva stagliarsi la casa natia, con la sua particolare andatura dinoccolata, vestito di nero, con gli occhialetti che gli davano quell’aria di uomo sapiente come i lunghi capelli bianchissimi che gli incorniciavano il volto. Portava con sé sempre una borsa nera tenuta strettamente sotto l’ascella del braccio sinistro; il contenuto di quella borsa era noto a tutti, era il suo tesoro e per questo non se ne separava mai: erano poesiole ed inni musicati, scritti su fogli sciolti di quaderni o stampati nella tipografia Sarno; probabilmente i versi vergati a mano, con la sua bella grafia del tardo ottocento, erano scritti col pennino a cavalletto su fogli tolti dai quadernetti con la copertina nera comprati alla fine di corso Umberto I verso San Nicola dalla signora Loriedo; i quaderni usati dalle nostre mamme per annotare la spesa giornaliera dal salumiere di fiducia: il conto puntualmente veniva saldato secondo gli accordi presi ad ogni fine settimana oppure il giorno di paga dei nostri padri, per lo più lavoratori della piana di Eboli. Molte persone lo avvicinavano e gli chiedevano poesie, egli, con gesti abitudinari, estraeva dalla sua cassaforte-borsa l’ultima poesia dicendo con voce sottile e flebile: non buttarla perché essa contiene il messaggio d’amore lanciato al Signore e ai suoi Santi.

Tra la fine degli anni quaranta e il principio degli anni cinquanta don Felice suonava l’organo in quasi tutte le chiese di Eboli, la sua preferita era la parrocchia di San Biagio, retta da un gigante dell’apostolato di quei tempi ebolitani: don Gaetano Giudice antesignano degli oratori quali punto di incontro per genitori e figli.

Nella chiesa di San Biagio, durante la Quaresima, si imparavano i canti per la festa di Pasqua come Campane Allelujanti che parla della gioia delle campane finalmente libere di suonare dopo i tre giorni della Passione in cui le corde venivano legate, nel periodo di Natale un gruppo di ragazzini, preparati anche nel solfeggio, cantavano a voce spiegata Beata Nox e la Notte Santa.

E’ passato molto tempo, tanti altri ricordi sono sbiaditi, ma nella memoria sono rimasti vividi i particolari, e l’immagine di quel nugolo di ragazzini entusiasti che cantavano con me: Angelo Visconti (don), Luciano Iacovino, Pasquale Silenzio, Antonio Bruno, Giuseppe De Martino, Giuseppe e Vittorio Morrone, Giuseppe e Vito Senatore, Leonardo Muscariello, Cosimo Concilio, e il più piccolo di tutti Gustavo Cuomo. Alcuni di essi hanno lasciato il nostro paese sono emigrati al Nord e non ho avuto occasione di rivederli, altri, purtroppo, ci hanno lasciato per sempre, ma il ricordo e sempre con noi.

Il compianto preside prof. Pier Donato Lauria, mio paterno amico, con cura ed amore in collaborazione con il “Centro di Studi Storici ebolitani” diretto dal prof. Antonio Cestaro, storico illuminato, maestro e uomo di grande saggezza e sapere, pubblicò una raccolta di scritti di Felice Cuomo per il trentennale della scomparsa; il volume fu editato anche con il contributo del Comune di Eboli, durante la sindacatura dell’amico Pasquale Silenzio.

Don Felice, nacque a Eboli nel rione Borgo, nello stabile ristrutturato dopo i danni subiti dal sisma del 1980 ed abitato dalla famiglia Pecillo, notizie ricavate dal cap. V di una sua opera il Poema della passione: …. Oh la placida mite, solitaria chiesetta dello Spirito Santo, il solatio piccolo oratorio suburbano, che io saluto in tutti i miei canti, in tutte le mie ricordanze,la chiesa natia!Sorge lungo la strada campestre che dal mio Borgo natale conduce al Ciuffato, casolare sulla strada maestra della provincia oppure: … Dal nostro Borgo, dal paese che, di là dal ponte, su la riva opposta del vallone, ci spiega in faccia le sue case abolitane ammucchiate a scaglioni, culminando al vecchio campanile quadrato di San Francesco torreggiante solitario e solenne qual pastore gigantesco su greggia dormente, per la sera stellata di dicembre, giungono voci d’allegria, scoppi di razzi, armonie di zampogne, grida gioiose di fanciulli che s’inseguivano a frotte gavazzando e schiamazzando per le strade.

Era nato il 26 novembre 1874 da mastro Tommaso, sarto, e da Beatrice Sabatelli, stiratrice, che non poterono offrirgli un’istruzione maggiore a quella che offriva il paese natio; ma, essendo di buon ingegno ed avendo fame insaziabile di apprendere, divenne un autodidatta e, dopo le scuole primarie, studiò sui libri della biblioteca ebolitana dell’Istituto Educativo fondato nel 1866 dal riformista Canonico don Michele Mauro. L’istituto era ubicato nel palazzo di fronte al Castello, adiacente alla parrocchia di Santa Maria ad Intra, costituito nella prima metà del diciottesimo secolo dall’antica e nobile famiglia ebolitana dei Martucci, in seguito acquistato dalla famiglia Mauro di cui conserva la denominazione ancora oggi.

Dopo alcuni anni Felice Cuomo fu accolto per il suo talento culturale in un collegio salernitano che frequentò fino al 1895. Nel 1896 in onore del padre, deceduto nel 1894, compose il Poema lirico drammatico Pergolesi, diviso in cinque Canti con 4718 endecasillabi sciolti. La cultura conservatrice e piena di pregiudizi che dominava in Eboli e Salerno non avevano apprezzato né il Poeta né la sua opera e don Felice riuscì a pubblicare a sue spese presso la Tipografia ebolitana “F.lli Sparano” solo nel 1900 il Preludio e il primo Canto del Poema. Per tre anni, dal 1900 al 1903, fu costretto ad emigrare in Francia e, per mantenersi dava lezioni d’italiano e suonava nei bistrot.

Ritornato a Eboli, visse umilmente ed in povertà con la sorella Mariuccia nella casa natia, insegnò nel Seminario Arcivescovile di Salerno, al Liceo Classico di Eboli. Durante la seconda guerra mondiale, il bombardamento avvenuto il 4 agosto 1943 distrusse la sua casa e andarono perduti i suoi libri e tutti i manoscritti poetici, letterari e musicali: fu il suo perenne ed immenso dolore. Con i proventi dell’insegnamento e le prestazioni da organista-pianista stampava le amate Parvulae, che poi dispensava con tanta gioia.

Avendo una ventina di tra inni e poesie originali, con altri fotocopiati da originali posseduti dall’indimenticato amico prof. Alberto Compagnone, con Benito ingenito e Attilio Mancini amici della direzione-redazione del Giornale di Eboli per il cinquantenario della morte avvenuto il 10 giugno 2007 decidemmo di darle alle stampe pubblicandole.

Ci sembrò un atto dovuto far conoscere l’espressione più genuina, e più popolare di un uomo schivo, buono, nato e vissuto in questa terra divenuta patrigna con i suoi figli migliori, infatti, nel secondo volume de I poeti italiani del Sec. XIX editore, Treves, Milano 1916 si legge: Artefice mirabile, creatore di rari tesori poetici, il Cuomo sparse intorno con molta modestia, il profumo delizioso di un’arte pura. Poeta fu anche valente compositore di musica. Gli eventi bellici gli distrussero, tra le bombe incendiarie anglo-americane settemila volumi della sua biblioteca letteraria, le duemila, opere, musicali, le suppellettili e tutti i moltecipli manoscritti dei suoi lavori .

Nel 1902 pubblicò le Odi Mistiche, composte tra il 1896 e 97. Seguirono: Pianti dell’anima (1897), Estasi e lacrime (1897-98), Canti dell’amore (1898), Canti della morte (1899), Storia di un’anima (1899), Ultimo sogno (1900), Armonia dell’infinito (1900), Anniversario (1902), Canti dell’esilio (1901-3), Poesie delle tombe (1902), Voci della solitudine (1904-5), Anima errante (1906), Armonie del Silenzio (1907-9), La zampogna e il presepe (1910), Mia madre (1910-12), Venezia (1912), Lettere a Candida (1912-13), Musiche interiori (1914-15), Sogno di poeta (1915), Il serafino del pianto (1916), Mistica Francia (1917), Il poema della passione (1918-19), infine tante Odi patrie e Canti religiosi, pubblicati nel trentennio 1896-1926 ha tradotto anche in endecasillabi sciolti le Egloghe e le Georgiche di Virgilio ed il teatro di Raciniano, del quale pubblicò tre saggi: Fedra, Ester e I Litiganti.

Bibl.: G. De Crescenzo, Un poeta contemporaneo, nel volume dall’Ombra, Salerno, Covane, 1926; Un illustre poeta salernitano: Felice Cuomo, nel giornale La Forgia di, M. Luisi, Napoli, dic. 1933; Alfonso M. Farina, Un poeta dalla coscienza dignitosa e netta, in vita e pensiero, fasc. III, marzo 1942; Paolo Vocca, Felice Cuomo nei miei ricordi, Salerno, Boccia, 1927.

Mariano Pastore

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