Sud Illustre

 

Frate Antonio da Eboli

di Mariano Pastore

 

Un altro figlio di Eboli, morto in odore di santità nel 1609, un frate seguace di Francesco, sconosciuto fino a quando non ho trovato i documenti che ne parlano, nella monumentale opera francescana, che l’amico Carlo Manzione mi ha integralmente tradotto da:

Flores seraphici

"I fiori serafici"

Frate Antonio da Eboli, sacerdote, uomo illustre per la gloria dei miracoli, quando dal clero secolare, nel quale, legato dal sacerdozio, si segnalava per ogni merito di virtù, passò all’ordine dei Cappuccini, tanto si conformò ad ogni regola della vita apostolica che nessun ornamento di virtù sembrava mancargli per un perfetto esempio di uomo evangelico e serafico: poiché infatti alla sua umiltà si accordava l’obbedienza, all’obbedienza la povertà, alla povertà la probità dei comportamenti e a tutto ciò si univano la pazienza, la mansuetudine, l’austerità di vita, il desiderio di penitenza, l’ardore di carità e una inesauribile dedizione alla preghiera, egli adornò, con questo insieme di virtù, a tal punto il suo animo celeste che, finché visse tra gli uomini, portò in sé un’immagine totalmente divina. Perciò sempre più copiosamente cominciarono a fluire in lui i doni di Dio, grazie ai quali poteva vedere le cose ben lontane da noi, prevedere il futuro e infine compiere prodigi e miracoli. In verità mancano nei nostri manoscritti le opere singolari di quest’uomo, dalle quali potessero trasparire la sua illustre vita e la sua santità, che sia per l’ingiuria dei tempi sia per l’incuria degli scrittori sono state dimenticate. Tuttavia vengono tramandati moltissimi miracoli compiuti da quest’uomo, che non sarebbe affatto giusto passare sotto silenzio. Tra questi: Francesco Antonio da Eboli, affetto da dolore in tutto il corpo per un flusso catarrale, dopo che da Antonio fu benedetto con il segno della Croce, eliminata la causa del catarro, venne guarito dal dolore. Proprio alla vista di questo segno della Croce, la croce di legno che Antonio portava con sé, furono guariti Geronima Giuliana, moglie di Francesco Antonio, da una palpitazione di cuore e suo figlio da un duplice ascesso da cui era gravemente afflitto. L’ebolitana Geronima Gentiliora, quando soffriva di morbo epilettico, benedetta da Antonio con il segno della croce e fatta recitare per lei ai presenti una sola volta l’antifona Salve Regina, fu guarita da quel morbo così che in seguito non ne fu più afflitta. Nell’anno 1602: ad Antonia Cerona, considerata a parere dei medici prossima a morire, avendo ormai perduto l’uso della lingua, dopo che Antonio ebbe pregato alquanto per lei, fu restituita la parola e dopo l’ottavo giorno fu ridata intera l’incolumità. Nell’anno 1605: Giulia Paganeta, ebolitana, afflitta per tutto il corpo da fortissimi dolori, dopo che ebbe sfiorato le membra doloranti con la croce di legno che aveva ricevuto da Antonio, in un momento ne fu liberata. Nell’anno 1607: Claudia Maffa, ebolitana, ferita gravemente alla testa dalla caduta di un legno, avendo chiesto ad Antonio il segno della croce e avendolo ricevuto, si riprese subito dal dolore e poco dopo dalla ferita. Nel medesimo anno vengono immediatamente guariti Vittoria Roana, ebolitana, da una persistente cefalea e il nipote di lei, Pietro Giovanni, da una odontalgia che lo faceva impazzire, dopo che fu avvicinata da Antonio la Croce lignea a lei sul capo e a lui ai denti. Anno 1608: Tommaso Manfredi, un giovane di 15 anni, precipitato al suolo da un’alta torre campanaria, a tal punto si era ferito nel capo e in quasi in tutto il corpo che i medici non avevano per lui alcuna speranza di vita; ma, dopo che Antonio gli ebbe segnato con la sua croce di legno due tre volte il capo e le membra, subito cominciò a ristabilirsi e, in breve tempo, acquistò interamente la salute. Nello stesso anno Ippolita Vitolia, afflitta da un forte dolore alle spalle, non potendo essere curata con alcun rimedio dei medici, fu da Antonio liberata dal dolore, avendole questi avvicinata la Croce alle spalle. Antonio Scio, ebolitano, sofferente per una febbre acuta quasi a morirne, privato ormai dell’aiuto dei medici, dopo che, ormai moribondo, fu segnato da Antonio con la medesima croce, riprende vita e salute. Nella città di Campagna, il figlio di Alessandro Mascrutto, un fanciullo di quattro anni, caduto dall’alto, si credeva che sarebbe in breve tempo spirato, quando Antonio, presolo tra le mani, lo segna con la croce di legno e lo restituisce guarito al padre. Lo stesso Antonio libera immediatamente dalla sofferenza l’ebolitano Decio Corcione, gravemente tormentato da un dolore alla spalla, dopo avergli posta sopra la croce di legno. Ancora in Eboli, egli guarisce da una dolorosa angina Antonia Arminia con il solo contatto della sua croce. Sempre lì, un certo Antonio Papatatta, fanciullo di nove anni, cieco di entrambi gli occhi, aveva perduto ogni speranza di vedere, quando Antonio, invocato il nome di Gesù, di Maria e del Beato Padre Francesco, dopo avere segnato entrambi gli occhi del fanciullo con quel vivificante segno, gli restituì immediatamente la vista. Giulia Sorrentina, ebolitana, costretta dal flusso del catarro a tenere il collo curvo tanto da non potere in nessun modo sollevarlo, ricevuto da Antonio il segno della croce, viene subito guarita dal flusso catarrale. Sono tramandati molti altri miracoli di tal natura compiuti da questo servo di Dio, che per amore di brevità tralascio, per riferire anche alcuni esempi dello spirito profetico che abbondantemente gli fu donato da Dio. In primo luogo, egli preannunzia alla madre che il figlio Ferrante Landolfo, barone del Cilento, accusato di omicidio e tenuto in prigione a Napoli, dopo breve tempo sarebbe uscito libero dal carcere. Nell’anno 1608 essendo scoppiata tra i fratelli di Ippolita Vitolia e il Capo della cavalleria una capitale inimicizia, tanto da minacciarsi reciproca strage, Ippolita prega in lacrime Antonio affinché con la sua parola li riporti alla concordia: Antonio, allora, incarica la figlia di Ippolita, ancora fanciulla, di pregare per nove giorni devotamente davanti all’immagine della Beata Vergine e, avendo quella fatto ciò, egli all’ora sesta del giorno successivo preannunzia che, stabilita la pace tra i fratelli e il Capo della cavalleria, doveva porsi fine a tutti gli odi e le inimicizie. L’esito confermò la previsione. Nella città che è comunemente chiamata Rocca d’Aspide, essendo Laura, moglie di Orazio, da tempo tormentata da malessere, Orazio, sospettando un avvelenamento, si rivolge ad Antonio riferendo il malessere della moglie ed anche il sospetto di veneficio. Entrambi erano sconosciuti ad Antonio: e questi rivolgendo per lei preghiere a Dio apprende per rivelazione divina che cosa si dovesse pensare della infermità di Laura e quale ne fosse la causa. Perciò egli riferisce ad Orazio che la causa della lunga malattia non è l’avvelenamento, ma un senso di vergogna della moglie non chiaramente manifestata a lui: infatti, avendo lui un fratello germano che conduceva da tempo vita turpe, ella tanto fortemente aborriva la cosa da odiare anche il marito, fratello di lui. Quindi Antonio esorta Orazio ad ammonire la moglie ad astenersi dall’odio nei confronti del fratello e promette una vita più lunga di quanto pensasse. In seguito, dopo la morte di Laura, rivela a Giovanni Angelo, fratello di Orazio, il vero motivo della sua guarigione. A un Giovanni Felice, bottegaio di Eboli, tormentato da un dolore colico tanto gravemente che dai medici gli furono date appena due ore di vita, Antonio, dopo avere per un po’ di tempo pregato per lui il Signore, predisse con spirito profetico che in breve tempo sarebbe guarito. Nell’anno 1608: Deianira, figlia di Lucrezia Corcione, soffriva a causa della febbre e un gonfiore per tutto il corpo tanto che secondo i medici la sua vita propendeva più alla disperazione che alla speranza; a lei, dopo averla segnata con la croce, Antonio predice che da Dio avrebbe ottenuto ancora una vita assai lunga. Tutte queste cose, come il santo uomo aveva predetto, si avverarono. Poi, questo fedele servo di Dio, avvicinandosi al termine della vita, dieci giorni prima della morte, in Eboli camminando per la città, preannunzia a Giulia Clara che di lì a dieci giorni egli sarebbe migrato a Dio. Dopo di ciò è preso da dolori di stomaco; essendogli quindi sopraggiunta una pleurite, nel giorno che egli aveva preannunziato chiuse in Eboli il corso della sua vita mortale per iniziare quella immortale presso Dio, lasciando dietro di sé illustri esempi di pazienza e un grande odore di santità. Poi, diffusasi per la città la notizia della sua morte, fu vista una grande moltitudine di entrambi i sessi, di uomini e di donne, affluire al suo funerale; e tanta devozione di popolo si accese verso il servo di Dio che grande parte del suo abito fu tagliata a pezzi e i più illustri uomini di quella città, saccheggiata la Cappella, portarono via i sandali, la cintura, le immagini papiracee, libretti manoscritti, piccole corone, e tutte le cose che un tempo erano servite alle sue necessità e le conservarono come reliquie. E non invano: infatti con esse furono curati molti malati e le donne furono liberate dai dolori del parto. Dopo la morte di questo santo uomo, Frate Bonaventura da Melfi, chierico, avendo pregato Dio per due giorni affinché si manifestasse a lui lo spirito di Antonio, vide Frate Antonio coperto da una candida stola tra due angeli e udì un altro frate cappuccino che gli diceva queste parole: “O Bonaventura, questi che vedi tra gli angeli è Frate Antonio circonfuso di gloria celeste. Il Santo uomo morì nell’anno 1609.

Mariano Pastore

Traduzione di Carlo Manzione. Eboli, 2-5-2005.


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Pubblicazione Internet de Il Portale del Sud, agosto 2013

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