Giù il cappello! Con
Geonoveffa ci troviamo davanti al re della canzone umoristica
napoletana: sua altezza il maestro Gigi Pisano! Questi è senza
dubbio il re indiscusso in questo genere canzonettistico anche se i
concorrenti a tale titolo sono mostri sacri dai nomi prestigiosi: F.
Russo, Cinquegrana, Capurro, Califano, Nicolardi, Gill, E. A. Mario,
Totò... tutti, come si vede, autori di primissimo ordine.
Pisano è stato per la
canzone comica quello che Eduardo Scarpetta è stato per il teatro
comico. Se il grande Eduardo ha creato l’erede di Pulcinella, la
mezza maschera Felice Sciosciammocca, protagonista del nuovo
teatro napoletano non più di “maschera” ma di “carattere”, il grande
Gigi ha creato la nuova maschera dell’uomo tradito, calpestato,
ferito, fatto oggetto di scherno: Ciccio Formaggio. Anche
questo infelice indossa una maschera ma questa non gli copre il
volto bensì la testa: è la paglietta con i “pizzi” tagliati,
garanzia di divertimento per gli spettatori ma anche contrassegno
ingiurioso per la sua condizione di vittima. Si può forse dire che
Ciccio Formaggio, nato con il solo scopo di fare spettacolo e
divertire, sia sfuggito di mano al suo autore assumendo una vita
propria e assurgendo a simbolo di vittima senza tempo né sesso. E
così, Gabriella Ferri (una donna per l’appunto), in
un’interpretazione insolita, sofferta e drammatica, stravolgendo lo
spirito umoristico della canzone, può urlare la sua disperazione e
il suo dolore: «si ’na ’nfama!...», «te n’abuse!...»
quasi rivolta alla vita. Mentre, Nino Taranto, il più geniale ed
ispirato interprete di questo personaggio, ammonisce gli spettatori
«Voi ridete? Chissà quanti Ciccio Formaggio ci sono tra voi!». Certo
bisogna riconoscere che la maschera di Ciccio Formaggio non è
figlia del solo Pisano ma anche del felice lavoro del vulcanico
maestro Giuseppe Cioffi e soprattutto dell’impareggiabile Nino
Taranto che l’ha portata in giro e fatta conoscere dappertutto.
L’ingegno creativo di Gigi
Pisano fa sì che le sue canzoni umoristiche diventino una costante
nel repertorio di tutti i macchiettisti tanto da essere esse stesse
accreditate del titolo di “macchiette”. Egli compie, nella esagerata
teatralizzazione della canzone napoletana degli anni Venti-Trenta,
un processo inverso, reinventando a suo modo la macchietta. I suoi
testi non descrivono più esclusivamente tipi particolari, non sono
più caricature di persone, che per essere credibili e suscitare la
risata hanno bisogno che l’interprete si trucchi.
Pisano, che pure viene dal
teatro di varietà, preferisce raccontare storie di ordinarie
disavventure, che possono capitare a tutti, come quella dell’uomo
che, afflitto da un’innamorata nevrotica, decide di “pensare alla
salute” e così «’e solde ca spennevo / p’’e sserenghe di
zampellette / Mo, / me n’accatto carne ’e piecore / e cutalette.»
(Penzammo ’a salute). Egli arricchisce i testi di godibili
giochi di parole «M’hanno fatto surdato artiglieria. /
Artiglieria ’e furtezza... / Ma ’a forza chi m’’a dà?...» (Cuscritto
nnammurato) riproponendo, talvolta, il linguaggio delle antiche
canzoni popolari, ma ironizzando a suo modo, come nella serenata a
dispetto N’accordo in fa «Flippò, flippò, flippò, fiore di
primavera, / la donna tiene i peli sopra il cuore». E se le
macchiette di Maldacea hanno avuto vita breve – anche nella memoria
dei napoletani –, le “macchiette di Pisano&Cioffi” godono ancora di
grande popolarità tanto da essere ancora largamente riproposte. Esse
non sono più «un genere contiguo alla canzone», come aveva scritto
Di Giacomo, ma canzoni e basta, tanto è vero che non è più
necessario indossare qualche costume per interpretarle, e alcune di
esse entrano a far parte del repertorio dei posteggiatori, come non
era accaduto con le macchiette del repertorio di Maldacea.
Genoveffa
è una canzone-macchietta del 1924, su musica di Alfredo Mazzucchi
scritta, quindi, 5 anni prima dell’inizio di quella
collaborazione-simbiosi con il maestro Giuseppe Cioffi che darà vita
ad uno dei binomi artistico-musicali di maggiore prestigio e
prolificità nel panorama mondiale della canzone d’autore. Pisano ha
cominciato a comporre canzoni da appena un anno (ha iniziato con
Tendina rossa musicata dal suo amico Fortezza) e non ha ancora
mostrato una decisa propensione per la canzone umoristica e
soprattutto non ha ancora trovato una collaborazione musicale fissa.
Lavora in quel momento con vari musicisti, i più importanti del
tempo, E.A. Mario, Falvo, Nicola Valente, Lama e... Cioffi. Eccone
il testo.
1.
L’altro giorno sul giornale
il Mezzogiorno
stava scritto: “Matrimonio
conveniente
una bella signorina
possidente
sposerebbe giovanotto
senza niente”.
Sono andato all’indirizzo
e ho trovato una ragazza
ch’’e bruttizze ’a tutte
pizze
troppo brutta a verità!
e si chiama Genoveffa:
che la possino ammazzà!
Genoveffa!
Genoveffa col tuo collo di
giraffa
cu sti piedi fatti a sghiffe
cu stu naso accussì buffo
va a finire che t’arriffo
ma pe’ mo’ t’aggia spusa’!
2.
Quando manca dint’’a sacca
quel metallo
che ti serve per le spese
giornaliere
chella lira e meza ô giorno
p’’o barbiere
chillu paro ’e lire ’a sera
p’’o portiere:
Va a fini’ che t’avvilisce
ti mortifichi, t’accasce
ed allora si capisce
ca ’na cosa le ha truva’
io ho trovato Genoveffa
e la debbo sopportà!
Genoveffa!
Genoveffa cu stu collo di
giraffa
porti pure il pendendiffo
te facesse ’nu sberleffo
te chiavasse tanta buffe
ma pe’ mo’ t’aggia spusa’!
3.
Stamattina sono andato a
visitarla
l’ho trovata: era in
vestaglia color rosa
e mi ha detto: – Non
somiglio a una mimosa?
non ti sembro una fanciulla
deliziosa? –
Tu mi sembri una fanciulla?
Ma che tieni nel cervello
segatura o mozzarella?
Va ffanciulla a parte ’e llà!
certe cose danno ai nervi!
Uno nun se po’ frenà!
Genoveffa!
Genoveffa già che ho fatto
questa gaffa
mo’ me cresco pizzo e baffe
accussì paro cchiù buffo
la giraffa ed il galluffo
sa’ che ferbie c’anna fa’!
La canzone, come si vede, ci
presenta un uomo che, per necessità economiche, è costretto a
fidanzarsi con una signorina “possidente” ma...
spaventosamente brutta sia nell’aspetto che nel nome (Genoveffa è un
nome buffo per molti napoletani). Il protagonista si libererebbe
volentieri e senza troppi rimpianti del “mostro” ma purtroppo dovrà
sposarlo perché gli “manca dint’’a sacca quel metallo che ti
serve per le spese giornaliere”! L’autore, Gigi Pisano, è, come
già detto, agli esordi nel campo della canzone umoristica, ma non
può dirsi uno sprovveduto: sono già 20 anni, infatti, che calca le
scene: prima come “fine dicitore comico”, poi in duo con l’attore
Cesarino Faras, successivamente (e per sette anni) come primo attore
nella compagnia di Raffaele Viviani (insieme al quale scrive anche
un testo reatrale ’O spusalizio) ed infine con una compagnia
tutta sua: la Rosea. Possiede quindi una grande esperienza di
attore-cantante e di comico, esperienza che trasferisce in
Genoveffa e nelle successive sue macchiette. In questa sfrutta
in chiave umoristica la serie di rime-assonanze baciate (Genoveffa-giraffa-sghiffe-buffo-arriffo;
giornaliere-barbiere-portiere; avvilisce-accasce-capisce...)
e inoltre tutti gli epiteti buffi che la bruttezza di Genoveffa gli
suggeriscono. Ne viene fuori un quadro agile, piacevole e divertente
che, tuttavia, non è stato sufficiente per assicurare alla canzone
una fama duratura. Purtroppo di essa non si sono conservate nemmeno
le incisioni d’epoca rimanendo negli archivi solo quella di Pietro
De Vico.
In Genoveffa, come in
molte altre macchiette, Pisano compone in lingua italiana. È però
una lingua infarcita di termini dialettali un po’ come quella
utilizzata da Armando Gill. Rispetto a questo però il Nostro
presenta un panorama di situazioni molto più ampio. Anzitutto il
protagonista non di rado è una donna: una donna che di volta in
volta esibisce aspetti diversi del temperamento femminile ora
prorompente nella sua freschezza (Fresca fresca), ora
dispettosa e pungente verso l’uomo (Fatti i fatti tuoi), a
volte sferzante e velenosa se questo la delude (Rompiamola!)
o se questo si mostra stupido (La psiche della donna) oppure
cafone e villano (Clementina Santafe’) o ancora ignorante,
goffo, brutto (Non mi posso ribassa’). È una donna che mentre
rivendica parità con gli uomini nel concupire l’altro sesso (Lo
penso ma non lo fo) e libertà di farsi corteggiare e ricevere
regali (No tu mi ’a fa’ fa) impreca poi contro il
seduttore-traditore (Mio carissimo Pasquale). In tutti i casi
non rinuncia ad essere civettuola pure se incompresa dal maschio
stupido (Dalle da’!) il quale, invece, dovrebbe, in un
delirio di sensi, strapazzare la brutta (Ah! Non ne posso più)
o, viceversa, controllare la sua eccessiva focosità (M’abbrucia e
me fa male!). Ma tra queste donne c’è anche quella che urla ed
inveisce contro l’uomo infedele che le fa mancare il necessario (Popolo
ascordate).
In campo maschile si
incontrano, spesso, uomini traditi da mogli o fidanzate. E qui le
situazioni sono molto varie: c’è chi si mette a cantare a dispetto (N’accordo
in fa...), chi si consola con pietanze gustose (Penzammo ’a
salute) o con la sicurezza di essere rimpianto (Penserotti),
chi non trova niente di meglio che stringere il cuscino (Abbracciato
col cuscino), chi sostituisce l’amata con due donne (L’hai
volute te!), chi rassegnato rimpiange il passato (Agata!),
chi preso da crisi di nervi minaccia atti inconsulti (Come son
nervoso), chi chiede al rivale la restituzione della sua donna (Datemi
Elisabetta), o almeno di dividersela (Arcangelo Bottiglia),
chi parte per il Cile proponendosi di ritornare per la vendetta (Quagliarulo
se ne va!), chi esige la confessione del tradimento (Rea
confessa), chi scaccia la donna invitandola ad andare
dall’amante (Lauretta Pompapon), chi pensa al suicidio (Egloge!),
chi scappa in campagna (Olga Fornacelli), chi piange l’amore
perduto (Cosima), chi affoga la sua amarezza nel vino (In
vino veritas).
I tipi maschili vanno dallo
spaccone (L’ommo ch’’e denare) al morto di fame (Statte
ste... Statte lu’ statte ni’) allo sfruttatore (Teofilo
Pennacchio) al cascamorto (Aristide Bacchetti) al tipo
surreale convinto che i figli si possano avere su misura (I due
gemelli). La donna per l’uomo è una cosa bella e desiderabile (Baciami
Bice, Donn’Amà, Dopo pranzo, Saporita e
profumata, Signorina Consiglia, Sequenzia di Spezia,
Teresin... Teresin... Teresin...), a volte gustosa come un
articolo di pasticceria (Ciucculatina mia e Fravula fra’!),
ma può anche rivelarsi un’arpia (Primma, siconda e terza,
Concettina Cascia) bugiarda e traditrice (L’ultima chiamata).
L’uomo è spesso inebetito dal gentil sesso (Cuscritto nnammurato,
Comm’’o ffuoco, Tititì–tititì–tititì, Sai perché?,
Bombon). Può finanche litigare con un rivale per una
fanciulla (La nostra amante) e buscarle (Come un topolino)
ma guai se è uno sciocco! (Ah!... Matalena!…, Ciccio
formaggio, Cupido questo ti fa).
La donna è volubile e
capricciosa (Nun ne putevo cchiù), tiene l’uomo sulla corda e
gli chiede regali (Perdincibacco!) oppure lo stordisce con i
suoi baci (Quanno me vase tu), è capace di servirsi dei fiori
come arma di seduzione (La pansé) e perfino di fingersi
sonnambula se ciò le torna utile (’A sonnambula). Ma c’è
anche la nota stonata, qualche signorina che preferisce lo sci al
matrimonio (E non sta bene). L’uomo scapolo, sovente un
bambinone, sogna ad occhi aperti il giorno che sposerà tanta
meraviglia (Nenè e Pepè), si inventa lavori assurdi per farlo
(’O fachiro), estende l’amore per la ragazza all’intera la
sua famiglia (Tutt’’a famiglia), stravede per lei tanto da
volerla maliziosamente fotografare (Fatte fa ’a foto) oppure
dipingere (Fatte pittà), le porta la serenata anche se
raffreddato (Chitarrata accatarrata), ma se una donna non lo
merita si può trovare di meglio (Arrabbiati canaglia) e
comunque è meglio andare via (Alzo il collo e me ne vo’).
L’uomo sposato può trovarsi invece davanti a situazioni meno
idilliache come quella di farsi comprendere da una moglie sorda (Ma
ve pare, ve pare, ve pa’). L’amore può fare impazzire (M’aggia
curà) ma cosa c’è di più bello di scambiarsi i cuori (Pigliatillo...
pigliatillo...)? O di quando una donna ti mette “’nnanz’a
ll’uocchie le pietanze dell’amor” (Unnicemila vase)?
Difficile illustrare le
tecniche umoristiche usate da Pisano perché frequenti sono le
trovate estemporanee e le battute di spirito legate alla situazione
contingente. Per esempio, per rendere comico il protagonista sciocco
di Ah!... Matalena!…, ricorre a idee strampalate (portare nel
corredo ’o mastrillo e ’a grattacasa, prendere nu
zambaglione pe’ fà ’o sposo proprio buono! prepararsi alle nozze
facendo nu bagno cu ’o ssubblimato) ed espressioni ridicole
(la sua Maddalena se ne volò lasciandolo senza nu muorzo
’e moglie). La sua lunga esperienza poi come attore comico lo
induce a recuperare in chiave macchiettistica vecchie situazioni
teatrali. Così in Ma ve pare, ve pare, ve pa’ rispolvera gli
equivoci comici generati dalla sordità mentre in Mazza, pezza e
pizzo mette su una specie di pochade basata sul continuo
pirotecnico cambio di amanti di Rosa Pezza, il tutto supportato da
un abile gioco di parole, di rime e assonanze del tipo _zz_ (Mazza
– Pezza – sollazzo – Pizzo – Milazzo – pazzo – ebbrezza – Cozzi –
Terlizzi – singhiozza – Arezzo – Rizzo - Varazze). Ma anche
frutto della sua esperienza teatrale è il sapiente uso del
meccanismo della “ripetitività”:
– parole ripetute dopo un
certo numero di versi: nfamò; rea confessa...
– esclamazioni ripetute di
seguito: gué-gué; già-già; Embè... Embè... Embè...; Piùu...
Piùu... Piùu..., Essì...Essì..., Va! Va!, Va!, poscia, poscia,
poscia...
– frasi ripetute di seguito:
songo ’mpazzuto, songo ’mpazzuto, songo ’mpazzuto e te; E sai
perché? E sai perché?; non ti voglio, non ti voglio, non ti voglio
più vedere...
nonché la
spettacolarizzazione della miseria:
– elenco di piatti
desiderati: ’nu piatto ’e zeppulelle / ’na frittata ’e muzzarella
/ quatto cozzeche ’a ’mpepatella. / ’Na tiella ’e panzarotte [...]
’na ventina d’ova cotte...
– elenco di vestiti
desiderati: ’Nu vestito, ’na paglietta / ’na pelliccia, sei
cravatte,...
– elenco di regali
appetibili: pranzo [...] dentiera [...] cappotto [...] cinquina
[...] palchi [...] pultrone [...] cazone nbuttunato
In Come son nervoso
Gigi Pisano crea un piccolo gioiello di borbottii e grugniti, un
campionario di esclamazioni sillabe, mugugni che induce un effetto
musicale sincopato così da dare l’illusione sonora di una marcetta.
E questo è il trucco comico più usato da Pisano: il sapiente uso
della parola, le geniali trovate linguistiche. Si tratta di:
– esclamazioni: ah!, eh!,
uh!. toh!, seh!, capperi, dindirindina, per Bacco
– rime baciate (spesso molte
in successione): amabile, toccabile, baciabile, sposabile; Donna
infame ti capisco, / ti capisco e ti conosco, / tu mi hai preso per
mollusco / e mi vuoi tenere al fresco...
– molti verbi o aggettivi di
seguito: Tu mi volevi affliggere, uccidere, distruggere? / Va va.
va. va... Te! / Ah come voglio ridere, beffandoti, schernendoti, /
Te. te. te. te... mbèee. / Sei demente, deficiente, vuo’ fa ’o forte
e nun vaie niente. / Un agnello, un torello, diventare ti farò...
– giochi di parole:
sparo-spero-spiri; capisco-conosco-mollusco-fresco...
– parole che ne richiamano
altre: penserotti-panzarotti; pazzo-[...];
pansé-panzé[lla]; biscia-piscia; angosce-cosce...
– parole storpiate:
cuoro; ascordate!; mongipale; mascarzone; mbicillo...
– parolacce o volgarità
intuibili dalla rima: quanno veco ’o cannone / me faccio int’’o
pensiero; Mi fai parlare solo come un pazzo / tu preferisce
’a neve e no stu... core...
– minacce, epiteti
ingiuriosi, improperi, offese: rocioleo p’’a scalinata; ti
diverti con tua sorella; manderebbe ai Pellegrini; te
voglio fa schiattà; t’aggia fa murì; brutto brù;
puozze schiattà; tiene ’a sguessera di “Totò”...
– nomignoli buffi: sei
squisita come un bombòn, / sei zucosa come un babà [...]
ciucculatina mia; Siete fina, siete bbona... / siete proprio
na pappona... / siete tonda e paffutella, / siete zucchero e
cannella... / siete zuco ’e caramella...
Ma quello che appare
veramente trasversale a quasi tutta la produzione di Pisano sono i
doppi sensi a sfondo sessuale ereditati dalla tradizione della
vecchia macchietta. Anche la “castigata” Ciccio Formaggio ne
aveva uno nella stesura originale; “ncuità” censurato
nell’interpretazione di Nino Taranto e sostituito con “sfruculià”,
mentre La pansé venne addirittura vietata alla radio nella
versione più esplicitamente maliziosa di Beniamino Maggio. Per
quanto non sempre Pisano ricorra all’espediente del doppio senso si
direbbe quasi che questo sia lo scotto da pagare per creare una
macchietta di successo, e quindi appare naturale l’attenzione che
egli pone verso quei termini e quelle situazioni equivoche che
possono ingenerare una doppia chiave di lettura e da qui innescare
la risata. C’è da dire, comunque, che Pisano non trascende mai nello
sboccato e i doppi sensi vengono presentati, se così si può dire,
quasi con buon gusto risultando talmente divertenti da essere
facilmente accettati da tutti. Non dimentichiamoci, inoltre, che
anche il grande Totò non fu esente da questo peccato.
Gigi Pisano non ha avuto
molta fortuna con la critica dalla quale è stato praticamente
ignorato. Forse perché quando si è prodotto in testi impregnati non
è riuscito a creare vera poesia rimanendo ancorato a banalità (rose
che parlano, sirene che cantano, orfanelle che ritrovano i
genitori...), luoghi comuni (Napoli cartolina con sole, luna,
stelle, cielo blu, golfo, Vesuvio, barche, marinai e mille voci che
cantano...), situazioni stereotipate (mamme che piangono, che
muoiono, donne-scellerate che tradiscono, donne-angelo che sedotte
muoiono, donne-capolavoro rapite dal cielo geloso, figli ingrati
ravveduti, carcerati per “onore” che non possono baciare la mamma
morente...), senza riuscire ad esprimere sentimenti profondi e
sinceri. La critica spesso snobba gli umoristi e i comici, ritiene
più meritevole della sua attenzione il genio drammatico (ne sa
qualche cosa il grande Totò!). Ed il povero Gigi in quest’ambito non
ha avuto molto da offrire. Firma sì due grandi classici della
canzone napoletana Na sera ’e maggio e Tutt’’e ssere
ma questi non brillano certo per la qualità del testo! Le cose
migliori le troviamo in ’A Nfrascata e Rosa ’nmiez’’e rose
dove, sul tema dell’idillio amoroso, riesce a creare dei bozzetti
graziosi e freschi pervasi di ottimismo.
Renato Gargiulo
Pubblicazione de Il Portale del Sud, Luglio 2016 |