Le pagine di Napoli


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Napoli

Napoli preellenica

a cura di Alfonso Grasso

 

Le opinioni degli studiosi sulle origini di questa nobilissima ed antichissima città, sicuramente remote, sono molto contrastanti, né si può affermare serenamente che sia stato fatto il punto sull'argomento. Secondo alcuni, Napoli vanterebbe un'antichità di circa ventiseí secoli avanti Cristo, ma prove concrete di una simile asserzione non esistono, in quanto i primi abi,tatori del nostro litorale sarebbero stati dei trogloditi, il cui passaggio non lasciò segni apprezzabili che possano essere letti e decifrati.

Diamo innanzitutto un breve sguardo alla conformazione geografica della città.

La posizione di Napoli è particolarmente favorevole, in quanto la città si trova al centro del Mediterraneo, in un punto di confluenza delle rotte marittime e terrestri, con un clima mite e temperato. Essa si estende lungo un golfo profondo e riparato, che deve alla sua natura vulcanica la sua eccezionale bellezza, in quanto le baie, le conche e le insenature che rendono così piacevole e vario il suo panorama son dovute alle spinte orogenetiche del sottosuolo. L'attività vulcanica flegrea da un lato e quella vesuviana dall'altro hanno determinato la facilità delle vie di comunicazione e la con,figurazione del suolo, che è stata poi ulteriormente modificata nel tempo da fenomeni di abbassamento della costa e di insabbiamento del mare. Il clima di Napoli, tipico per la sua mitezza, è dovuto anch'esso a questi anfiteatri vulcanici la cui orlatura offre un riparo contro l'imperversare dei venti.

All'epoca della fondazione di Neapolis il litorale doveva essere articolato in due insenature divise dal colle di Pizzofalcone […]. La zona immediatamente prossima alla costa era costituita da colline dalle quali l'acqua piovana defluiva lungo torrenti i cui alvei sono divenuti nel tempo le principali vie di comunicazione della città; verso oriente, non riuscendo a raggiungere il mare, l'acqua creava una zona paludosa, mentre quella che scendeva dalla.parte occidentale di Neapolis, […] formava un fiume che avrebbe raggiunto il mare sul fianco orientale di Pizzofalcone, verso l'attuale piazza Municipio.

[…] Sarebbe stato questo, […] il fiume Sebeto dell'antichità, mentre quello che attualmente viene chiamato con questo nome, prima detto «Rubeolo», sarebbe stato cosí denominato dal Boccaccio e nel periodo umanistico napoletano dal Pontano e dal Sannazaro.

La stratificazione sotto il Convento di San Lorenzo Maggiore

Precedentemente all'occupazione da parte di popoli della civiltà ellenica, Rodii, Teleboi, Calcidesi o Cumani, il litorale della città […] era certamente [abitato] […] sin dall'età della pietra […]. Il sottosuolo della nostra città, pur essendo stato sottoposto nel tempo a innumerevoli cataclismi ed esplosioni vulcaniche, ha offerto ai geologi e agli archeologi la possibilità dello studio di cavità naturali molto profonde che ancora esistono nella zona verso il mare, nelle quali si pensa che dovessero trovar ricovero gli antichissimi abitatori del nostro golfo. Queste spelonche si aprivano fra gli scogli del nostro frastagliato litorale, che doveva avere una configurazione molto simile a quella dell'Attica anche nella cerchia di colline che lo contornano. Queste caverne, ampliate e rese abitabili dalla mano dell'uomo, furono scavate dalla naturale erosione ed infiltrazione del mare, che incuneandosi tra le strutture della pietra ne asportava tutta la materia solubile. Il Pontano, che deve essere considerato non solo un grande umanista ma anche lo storico base della nostra città, faceva già questa ipotesi.

Medaglia in bronzo dedicata ad Alcmeone di Crotone (V sec. a.C.) medico e folosofo (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

In queste grotte, dove lo strato di pozzolana originaria non è stato modificato da lavori di epoca romana, si è potuta constatare l'esistenza di piccoli oggetti, come ossa lavorate e frammenti ceramici, che risalgono all'età neolitica. Sono stati trovati poi frammenti di vasi nerastri, anse di ollette di argilla, di vasi corintio,arcaici e quindi preellenici oltre a saggi di bronzi e fittili dell'epoca indigena di Cuma.

È di notevole interesse notare che i Greci sapevano che prima di loro vi erano stati altri abitanti e chiamarono la nostra terra όπιχία e gli abitatori όпιχoί da óπη che significa grotta e oίxεϊν che significa abitare. Questi trogloditi che i Greci chiamarono Opici, probabilmente appartenevano ad una razza venuta nell'età neolitica. La loro esistenza, oggi affermata dai paletnologi, era ammessa dagli stessi Greci, i quali ritenevano che già prima della guerra di Troia questa terra fosse abitata da un popolo appartenente alla razza egeo-pelasgica, che compiva su piccoli scafi e velieri navigazioni avventurose […]. Queste tribù presero il nome di Ausoni sulle coste occidentali del Mediterraneo e quello di Apudi sulla costa orientale del Mar Ionio. Anche Scymno da Chio nel suo Orbis Descriptio tramandò la notizia che questi Ausoni si erano stanziati nell'Italia Meridionale, ed il loro arrivo si fa risalire appunto all'età neolitica. Strabone, poi, aggiunge che questo popolo fu il primo a prendere dimora su questa costa formando un piccolo nucleo abitato presso il luogo dove sorgerà la città.

Gli Ausoni sbarcati sul nostro litorale sarebbero stati Teleboi provenienti dalla Tessaglia, dalle foci dell'Acheloo. Dionigi di Alicarnasso […] riporta che i Pelasgi sarebbero stati espulsi dalla Tessaglia verso la metà del secondo millennio a. C., vale a dire otto secoli prima della istituzione della prima Olimpiade avvenuta nel 776 […], e Strabone conferma che questo storico avvenimento ebbe luogo molto tempo prima della guerra di Troia.

[…] Attingendo a fonti più antiche, Virgilio ci parla di questi Teleboi quando nella sua Eneide accenna alle forze italiche e sostiene che questo popolo si sarebbe stabilito a Capri, notizia convalidata da Tacito. Il vate mantovano dice che i Teleboi di Capri sbarcarono poi sul litorale di Napoli e si stabilirono anche sulla costa del nostro golfo.

La realtà storica della venuta dei Teleboi e della loro occupazione di terre sui nostri lidi fu poi nell'antichità velata e confusa col mito delle tre sirene figlie di Acheloo, una delle quali, Parthenope Acheloias, avrebbe dato il suo nome alla città. Questo popolo, appena sbarcato sul litorale del nostro golfo, si sarebbe fermato sull'isolotto di Megaride, attuale sede di Castel dell'Ovo, e di qui si sarebbe poi spinto sulla vicina collina oggi chiamata di Pizzofalcone fondando un piccolo centro che secondo Cluverio sarebbe stata chiamata Falero: «Neapolis urbs ante Parthenopes dicta est prius Phalerum» [6]. Si sa che il Falero era un porto ateniese il cui nome derivava da quel Falero che nella spedizione argonautica era stato compagno di Giasone; questo mitico eroe sarebbe dunque giunto in Campania e vi avrebbe fondato Napoli. Il poeta calcidese Licofrone nella sua Alessandria accetta questa leggenda dicendo che il corpo della sirena Partenope giunse al nostro lido nei pressi della torre di Falero.

Ecco il racconto di Licofrone: «Poi che Ulisse avrà vinte le sirene, le tre figliuole di Acheloo, Partenope, Leucosia e Ligea, una di esse sbattuta dal mare, accoglieranno la torre di Falero e le rive del Clani, e sul sepolcro che le sarà innalzato dagli abitatori di quelle contrade, le vergini, ogni anno, verranno a libare e a far sacrifici di buoi in onor di Partenope, la Dea-uccello».

Le parole di Cluverio e le poetiche fantasie di Licofrone naturalmente non bastano a confortare gli studiosi […]. Tuttavia anche se la paletnologia non può da sola far risalire all'origine di un popolo, sono di sussidio lo studio glottologico e mitologico e l'osservazione dei culti. Studi ermeneutici sui culti preellenici inoltre hanno reso abbastanza chiaro ciò che sembrava del tutto in ombra, e importanti reperti archeologici ottenuti con scavi effettuati nei pressi di Santa Lucia, frammenti ceramici di tipo orientale premiceneo e miceneo hanno dato una base alle congetture dei nostri studiosi, in quanto questi oggetti sono simili a quelli rinvenuti in Tessaglia, nelle necropoli di Sichnos e di Syros, nella patria dei Teleboi. Furono trovati anche all'entrata dell'antro della Sibilla dei simboli che sono precedenti al culto apollineo e quindi risalgono ad epoca pre-ellenica.

Comunque il fatto che l'insediamento sul monte Echia prima che Partenope fosse chiamata Falero non cambierebbe molto. Ciò che conta è invece giungere alla conclusione che la Partenope greca non fu la prima città sorta sul nostro suolo e ricordare che le lontane origini di Napoli risalgono all'insediamento di un popolo trogloditico di civiltà preellenica.


Note

[1] Nato a Chio tra il III e il II secolo a.C., fu un eminente geografo e compose una Periegesi in vari libri, della quale ci sono giunti soltanto dei frammenti. L'opera era divisa in due parti, una riguardante l'Europa e l'altra l'Asia.

[2] Sgorgante dalle pendici del Pindo in Epiro, era considerato il fiume maggiore della Grecia antica, tanto che il suo nome acquistò il significato di acqua che scorre e servì poi a denominare altri cinque corsi d'acqua. Gli antichi Greci avevano divinizzato Acheloo. Omero lo chiama il «sommo» fiume ed Esiodo dice che esso sarebbe stato il progenitore di migliaia di fiumi.

[3] Storico e geografo, nacque ad Amasia in Grecia intorno al 60 a.C. Fu discepolo del grammatico Aristodemo e, trasferitosi intorno al 44 a Roma, dove visse molti anni, passò nella scuola di Senarco di Seleucia e del grammatico Tirannione di Amiso e abbracciò infine la scuola stoica. Morí probabilmente intorno al zo d.C. nella sua città di origine, ove scrisse la Geografia per la regina del Ponto Pitoride. La lingua usata da Strabone nelle sue opere è il greco comune post-classico e il suo stile si avvicina a quello di Polibio per la sua chiarezza e la sua semplicità.

[4] Lib. VII.

[5] Ann., IV, 67.

[6] VI, 8.


Tratto da Vittorio Gleijeses, la Storia di Napoli dalle origini ai nostri giorni, Società Editrice Napoletana, 3ª edizione, 1978

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