Le pagine della cultura


Grammichele

La Spada nella Roccia

A cura di Gaetano Barbella

Illustrazione 1: Scultura dell'autore

Qual dolce mela che rosseggia alta su un

ramo, se ne stava sola, alta fra le più alte:

la dimenticarono i raccoglitori? No,

non la dimenticarono. Solo, non

riuscivano a raggiungerla...

Saffo, Frammenti

Sulla via di Grammichele

Questo scritto non ha alcuna pretesa scientifica e tanto meno umanistica, sfiora un certo ambito esoterico ma solo a “prestito”, tuttavia è frutto di idee sorgive in me, forse trasmutazioni delle cose anzidette, ispirate di recente da brevi dialoghi sull'onda di Internet con una cara amica, Maria Intagliata[1] che non conosco personalmente, ma solo sul web. Maria ama la poesia e si è resa nota per un virtuoso poemetto in versi, nientemeno adattando i versi alle prime 999 cifre del celeberrimo numero irrazionale e trascendente della matematica, π che si legge Pi greco. Ma è vero anche che è una docente di matematica di un istituto superiore di Siracusa e perciò questo non meraviglia.[2] Vedremo in seguito che il caso ha voluto predisporre la giusta persona per permettermi di fare questo scritto e incamminarmi verso Grammichele ove nacque e visse la sua prima giovinezza la mia cara nonna paterna Luisa Sapio, grazie appunto a Internet oltre che lei. Internet è un nuovo mondo d'incontro di persone che, il più delle volte, non si conoscono e restano tali.

Maria Intagliata di Siracusa, così come è ora per me, somiglia ad una misteriosa musa di questo nuovo mondo. Ella si è accostata a me lodandomi per uno studio singolare fatto ultimamente (qualcosa di simile a questo in esposizione), e incoraggiandomi mi ha condotto, quasi per mano, al mio paese di origine, Grammichele di Sicilia, non per la mia nascita, avvenuta paradossalmente all'estremo nord d'Italia, a Bolzano. Infatti Maria mostra di essere fieramente di stirpe siracusana, sicuramente messaggera di archimedei ingegni a me tanto cari, e, dunque, forieri di cose nuove per la mia mente.

Per ora mi giova che Maria Intagliata sia simile ad un vago pensiero fluttuante e benefico che mi sfiora, è così che la mia mente si allarga decisamente a insondati orizzonti sull'onda induttiva del pur estraneo Internet.

La storia degli “uomini della falce”, i Siculi

[…] Verso il XX secolo prima dell’èra cristiana, i Siculi, o uomini ramati di falce (in latino sicula) ramo della grande razza ariana dei Liguri, occuparono l’Italia centrale dalla foce del Tevere ad Ancona, e dalle bocche del Po al confine dell’Apulia. Essi estesero la loro dominazione sui Pelasgi Enotri, iniziandoli alla coltivazione della terra, perché ne avevano portato seco il segreto.

Nel XIV secolo, vediamo i Siculi, che gli Egiziani chiamano Shakalash, all’apogeo della loro potenza e in possesso di una marina, confederarsi con gli altri popoli del Mediterraneo, e prendere parte agli attacchi che costoro dirigono contro l’Egitto sotto Menephtah I e Ramesses III. Essi aggiunsero le loro navi a quelle dei T’ekkaro o Teucri, degli Akaiuash o Achei, dei Pelesta o Pelasgi di Creta, dei Tursha, cioè Tursani o Pelasgi Tirreni, degli Uashasha, che sono forse degli Ausoni, e dei Shardana o genti dell’isola di Sardegna. Essi avevano respinto i Sicani di origine iberica, costringendoli a rifugiarsi nell’isola di Thrinacria, che fu più tardi la Sicilia.

Il carattere essenzialmente agricolo dei Siceli o Siculi si riflette nei nomi di quei loro principi che si fanno regnare sugli Enotri. A Italo succede Morgete, «l’uomo dei covoni», (merges); viene in sèguito Sicelo, «l’uomo della falce», che porta il nome stesso del popolo. Come tutti gli eroi collocati alle origini delle nazioni, come per il suo predecessore Italo, la sua storia è un mito complesso, in parte religioso, in parte storico e mitico. Sicelo è scacciato da Roma e viene a rifugiarsi presso Morgete; la sua fuga, al pari della sua origine e del suo nome, l’assimila a Saturno, sempre armato della falce. E, in effetti, Saturno, sembra che sia stato in origine il gran dio nazionale dei siculi. Furon essi che ne stabilirono il culto in Italia; furon essi che dettero alla loro fortezza del Campidoglio il nome di Saturnia. Sotto la loro dominazione, l’Italia fu designata col nome generale di Saturnia, che sostituì quello di Argessa che le davano i Pelasgi Enotri.

«Saturnia è terra dei Siculi», diceva un antichissimo oracolo della Zeus di Dodona. D’altra parte, la fuga di Sicelo è anche in relazione con il fatto storico indubbio della storia d’Italia, fatto che dovrà avvenire verso il XII secolo prima dell’era cristiana, cioè la graduale espulsione dei Siculi dal Lazio e dalla Campania per opera dei popoli Umbro-Latini, Opici o Ausoni. La Saturnia divenne allora l’Ausonia. Questi popoli, ai quali si è presa l’abitudine di dare specialmente il nome, ossia mal giustificato, d’Italioti, discendevano allora, forse sotto la pressione di una nuova ondata d’immigrazione che veniva dal nord, quella dei Raseni o Etruschi, dalle grandi pianure del bacino del Po, ove avevano fatto una lunga dimora, ed ove le terremare dell’Emilia ci hanno conservato delle vestigia incontestabili del loro soggiorno e del loro stato di semi-civiltà. I Siculi, del resto, dovevano essere molto più in parentela con loro di quel che non ammetta l’opinione comune attuale. Il loro idioma sembrerebbe che appartenesse decisamente alla famiglia italica; i rari vocaboli che ci sono stati conservati, sono quasi latini, come gela, «gelata» (gelu); kybiton, «angolo» (cubitos «gomito»); rogos, «mucchio di grani» (rogus, «mucchio di legna»); unkia, «oncia» (uncia); litra, «libbra» (libra).

Sicelo, accolto da Morgete, dicevano gli storici greci dell’Italia meridionale e della Sicilia, si creò uno Stato a spese del suo ospite. Più tardi, sentendosi in angustia in questo stato e premuto dalle popolazioni vicine, passò con la maggior parte del suo popolo nell’isola, che ricevette da lui il nome di Sicilia. I Siculi finirono cacciati d’Italia dagli Opici e dagli Enotri, dice Antioco di Siracusa; dagli Umbri e dai Pelasgi, dice Filisto della medesima città. Le due maniere di esprimersi sono esattamente sinonime e bisogna dare un valore di prim’ordine alle testimonianze dei due scrittori siracusani del V secolo a.C. i quali avevano avuto agio di consultare le tradizioni nazionali dei Siculi, che esistevano ancora al grado di popolo indipendente nel grembo delle montagne della Sicilia. Tucidide, loro contemporaneo, non meno esatto nella scelta delle sue informazioni, parla anche del passaggio dei Siculi dal continente all’isola di Trinacria, e lo pone intorno all’anno 1034. È quindi, manifesto che dopo che grande potenza dell’impero dei Siculi fu distrutta dall’invasione opica o ausonica, gli Enotri ripresero la loro indipendenza e li respinsero nell’estremità meridionale della penisola, donde essi guadagnarono la Sicilia attraversando lo stretto di Messina. Ma non passarono tutti in questa patria: i siculi conservarono sul continente il possesso del paese situato a sud dell’istmo Scilletico, dell’Italia nel senso speciale e ristretto del nome. È nel loro territorio che Locri fu fondata, e Teucidide, nel V secolo, li mostra ancora colà nelle parti più inaccessibili delle montagne.[…].[3]

La storia di Grammichele

Illustrazione 2: Grammichele centro

Grammichele situato su un altopiano dei monti Caronia, a 521 m. s.l.m., tra Caltagirone, Licodia E. e Mineo, è sicuramente uno dei più belli e ridenti centri della Sicilia orientale, in provincia di Catania. Fu fondato nel 1693 dopo il violento terremoto che distrusse molti paesi siciliani.

La pianta è a forma esagonale. Da ogni lato dell'esagono si diramano le vie principali, che sboccano nella grandiosa piazza centrale, anch'essa esagonale di oltre ottomila mtq., centro della vita sociale della città (illustr. 2).

Grammichele fu ideato da Carlo Maria Carafa principe di Butera, benefattore dei superstiti della distrutta Occhiolà. La pianta originale che trovasi tutt'ora nello scalone del Palazzo Comunale fu intagliata su una grande lastra di lavagna dall'architetto Fra Michele da Ferla, fiduciario del Principe. La sua forma urbana è conosciuta e studiata in tutte le facoltà universitarie di architettura del mondo.

Un barocco molto delicato si trova nelle linee di rara sobrietà della Chiesa Madre, che domina la piazza; possiede dipinti del '600 e del '700.

Le radici storiche di Grammichele nascono nell'era neolitica per attraversare l'età del bronzo e le epoche: sicula, greco-arcaica, romana, bizantina e medievale. Moltissimi e di grande interesse sono i reperti portati alla luce nella vicina "Terravecchia", una delle zone archeologiche più interessanti della Sicilia, che, oltre alla necropoli del "Mulino della Badia", custodisce i resti della misteriosa città "Eketla" e della più recente "Occhiolà" completamente distrutta dal terremoto. é allo studio del Comune la costituzione di un Parco Archeologico che valorizzi la zona. [4]

Nel progetto di riqualificazione urbanistica della Piazza C.M. Carafa fu realizzato un grande orologio solare orizzontale, probabilmente uno dei più grandi al mondo, in grado di caratterizzare la Piazza attraverso un attento recupero del passato.

Gli orologi solari misurano il tempo, ora solare vera del luogo mediante l’ombra d’un asta opportunamente inclinata, chiamata Gnomone dal greco gnomon: significa indicatore e da informazioni sulla data e sulle ore del giorno. Progettato e realizzato dal dott. Giovanni Brich e completato posteriormente in alcune parti mancanti dai proff. Franco e Ignazio Grosso.

Il lato sud della Piazza è arricchito da una scultura bronzea dell’artista Paolo Guarrera che ritrae il principe Carlo Maria Carafa fondatore della città. Appassionato cultore di astronomia, matematica, gnomonica e altro, il principe aveva concepito Grammichele come una città del sole realizzando nel centro della piazza principale una grande Meridiana a forma di croce.

Illustrazione 3: Grammichele. La Meridiana

La meridiana rimossa nei primi decenni dell’800, oggi è sostituita da un’enorme statua monumentale di bronzo di Murat Cura, parte integrante dell’orologio che regge un’asta gnomonica ed occupa il centro della piazza raffigurante un uomo inginocchiato simboleggiante il tempo, avvolto da una serie di cerchi che richiamano l’antica sfera armillare e lo imprigionano inevitabilmente, nel suo tempo (illustr. 3). L’orologio solare è essenzialmente composto da tre parti: lo gnomone, il quadrante e in insieme di linee che indicano le ore, i solstizi, gli equinozi, lo zodiaco e nel caso specifico riporta le date di distruzione di Occhiolà e della fondazione di Grammichele.[5]

Ecco ho mostrato la storia di Grammichele dalla quale risulta un dato rilevante che è in bella mostra attraverso la sua pianta a forma esagonale che costituisce la matrice, secondo la quale il suo ideatore, il principe Carlo Maria Carafa fondatore della città, pensò di trasmettere taluni principi cui teneva a cuore. E sappiamo, come già detto, che egli era un gran cultore di astronomia, matematica, gnomonica e altro che di certo doveva essere il rispettivo lato esoterico. Ed è proprio su questo lato che non si conosce di Grammichele che ora mi dilungherò per sfociare ad una certa matematica onde arrivare a far delineare quella misteriosa “spada nella roccia” accennata all'inizio.

Dimostrerò che fondare una città, rispettando una peculiare matrice, non è diverso che costruire una chiesa.

L'Archeometra [6]

Trovandomi nella Matrice

ho conosciuto tutte le nascite degli dei.

INNO VEDICO DI VAMADEVA [7]

Fig. 4: Immagine tratta dall'Archeometra di R. Guenon.

[…] Un'opera di René Guènon [8], l'Archeometra – dal greco arkes-metron vale a dire “misura del Principio” - secondo il grande esoterista francese permette di ricondurre tutta la manifesta-zione del Verbo al Principio unico in un progetto di armonia universale.

Il Guènon dà il merito della sua rivelazione al Maestro Saint-Yves d'Alveydre, secondo il quale la complessa figura è un codice cosmogonico della tradizione primordiale, della conoscenza trasmessa dalla Fraternità della luce agli uomini, che qui è sintetizzata: in esso tutti gli elementi vi trovano posto in modo rigorosamente matematico.

L'Archeometra presenta al centro quattro triangoli equilateri intrecciati tra di loro che simboleggiano i quattro elementi : Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Agli angoli sono tracciati i segni zodiacali corrispondenti a ciascun elemento, i cui segni sono il domicilio dei sette pianeti della Tradizione (Sole, Luna, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio), ognuno situato di fronte al segno zodiacale corrispondente.

Se si fanno ruotare gli assi a croce dei quattro elementi di un quarto di cerchio verso sinistra, si traccia il cerchio dello zodiaco (illustr. 4).

È dal centro che irradia il Verbo: appare come un sole raggiante ovvero una ruota con i raggi, simbolo caro ai maestri comacini e ripetuto nei rosoni delle chiese romane e gotiche.

Nell'Archeometra si individua la stella a sei punte, il Sigillo di Salomone e il senario è il segno della creazione come dice Guènon, che chiama il triangolo con il vertice in alto “del Verbo e della terra del Principio”, e quello con il vertice in basso “delle Acque Vive delle origini: i due principi opposti rendono possibile il movimento della creazione e, ruotando intorno all'asse centrale configurano il dodecagono dello zodiaco”.

Fig. 5: Archeometra nella Matrix

Traccio la figura con la stessa logica della Matrix divina e ottengo la versione circolare della griglia dell'Archè (illustr. 5).

[…] Aggiunge il Guènon che l'Archeometra è uno strumento più che umano della Sintesi delle Organicità e delle Armonicità Universali, riallacciate al Verbo Creatore […], a cui si può attribuire una antichità di 25.000 o 30.000 anni che ci riporta all'epoca della civiltà degli Atlantidi […].

Lo Gnomone

Lo “Gnomone”, preso in considerazione in un libro di Paolo Zellini libro [9], non è quell'asticciola la cui ombra serve a segnare le ore negli orologi solari, o meridiane, ma è precisamente una figura geometrica, piana o solida, che Erone di Alessandria, ad esempio, definiva, in generale, come ciò che “aggiunto a qualsiasi entità, numero o figura, rende il tutto simile all'entità a cui è stato aggiunto.

Filolao afferma: “Il numero è la forza sovrana autogenetica, che mantiene l'eterna permanenza delle cose del cosmo.”

Il concetto pitagorico, relativo al numero considerato secondo la natura dello gnomone, è ripetuto più volte nel testo. Nell'antichità, i concetti matematici erano stati pensati come un “logos divino”, perché il loro potere di rendere uguale il diverso appariva decisamente straordinario.

Lo Gnomone era uno strumento matematico usato per la generazione di figure simili. Era diffusa tale tecnica, che rispondeva “all'esigenza di ingrandire o rimpicciolire una forma, conservandone l'aspetto.” In questo modo si poneva “una delle più alte e ardue questioni della matematica e del pensiero in genere: quella dell'invarianza nel mutamento.” Tale invarianza nel mutamento rappresenta un tema centrale degli Sulvasutra (trattati indiani) e dei passi dello Satapatha Brahmana, che analizzano le misure degli altari, i quali erano soggetti a successivi ingrandimenti, rimanendo invariata la forma.

Paolo Zellini analizza la “matematica antica”, mettendo a confronto le tradizioni mesopota-mica, greca, egizia, indiana e cinese (trovando evidenti somiglianze), per “attraversare poi la matematica araba e l'algebra moderna, e sfociare infine in quel grandioso progetto che, dalla metà del XX secolo, ha visto entrare in scena la macchina come protagonista del calcolo su larga scala.”

Il libro rivela l'impegno dell'autore ad analizzare l'essenza del numero, cercando di rispondere alla famosa domanda di Didekind (con la quale la Premessa ha inizio): “Che cosa sono e che cosa vogliono significare i numeri?” [10]

Detto in sintesi tutto ciò che è riportato nel libro in causa, appare chiaro che lo Gnomone non sia altro che la versione profana dell'Archeometra di R. Guènon trattato precedentemente.

Resta però da capire in che modo matematico l'Archeometra o lo Gnomone attendono alla sua funzione in armonia con la Creazione e col Verbo. Ed in particolare il peculiare ruolo assunto nel passato, quale modulo per l'edificazione di chiese e altri edifici monumentali e per ciò che più ci interessa la fondazione di città, come Grammichele di Sicilia, l'argomento di questo scritto.

Costruire una chiesa: i moduli costruttivi e la Quadratura del cerchio.

La chiesa rappresenta come sulla terra sia passato il cielo.

(Simeone di Tessalonica)

Quel che ha compiuto l'Architetto fissando il suo compasso al centro della traccia e poi ponendo uno Gnomone sul suolo dell'erigenda costruzione è la reiterazione di ciò che la Tradizione presenta come l'emersione dalle acque primordiali della cima del Meru degli Indù, o della “collina fangosa” dell'antico Egitto: il tempio di Salomone sorgeva sul monte Moriah, nome simile a Meru ma anche a Maria-Miryam e a Hiram, il Maestro costruttore del Tempio degli Ebrei, prototipo delle costruzioni sacre.

Il punto si espande in un cerchio che è il mondo celesta che si proietta a terra, dove lo Spirito prende forma divenendo il quadrato della manifestazione intera, ma anche del mondo terrestre, della materia.

Avviene così la prima Quadratura del Cerchio in cui il divino si manifesta. Se il rapporto aureo garantisce l'armonia, la lettera greca π, che appare come una porta e che individua il rapporto fra una qualsiasi circonferenza c e il suo diametro d=2r, in termini simbolici è la chiave della Quadratura del Cerchio, che rappresenta l'azione suprema della fusione dell'Umanità in Dio, mettendo in rapporto la linea retta del diametro o del raggio e il cerchio, il quadrato della manifestazione con il cerchio della Spirito, la terra con il cielo.

Il π permette di calcolare la superficie del cerchio A=πr² (dove r è la misura del raggio del cerchio). È un numero irrazionale e trascendente pari a 3,14 o più precisamente 3,1415926535897932386426433832279...

La più antica documentazione su questo rapporto – calcolato con notevole approssimazione a 3,160 – è il Papiro di Rhind di uno scriba egizio di nome Ahmes vissuto intorno al 165 a.C., in cui afferma: Togli 1/9 a un diametro e costruisci un quadrato sulla parte che rimane; questo quadrato ha la stessa area del cerchio. Siamo di fronte al primo caso documentato di un primo tentativo di “quadrare il cerchio”.

Anche nella Bibbia (I RE 7,23), a proposito dell'altare costruito nel Tempio di Salomone, si afferma: [...] poi fece il mare fuso: dieci cubiti da una sponda all'altra cioè completamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo circondava intorno. Questo passo (che è quasi identico a 2 CR 4,2) indica che il rapporto tra circonferenza e diametro è 3; fu scritto probabilmente intorno al VI secolo a.C., ma fa riferimento alla costruzione del Tempio risalente a X secolo a.C.

Fig. 6: Chiesa Santa Croce a Firenze. Pianta in Matrix

Nelle costruzioni sacre la reiterazione della Quadratura del Cerchio equivale a sottolinearne la funzione di punto di incontro tra cielo e terra, tra Spirito e materia; la riconquista del Paradiso inizia dalle giuste proporzioni che attentamente vanno affidate alla pietra che sfida i millenni. Quel quadrato è il modulo del Maestro d'Opera, che lo usa secondo le esigenze della costruzione: spesso cinque quadrati costituiscono la lunghezza della costruzione e tre, con quello originario centrale con le braccia tese e le gambe larghe, sì da rappresentare il modello cosmico che abbraccia le quattro direzioni dello spazio: su di esso, come si è visto, sono rinvenibili le misure adottate dai Maestri muratori in rapporto aureo tra di loro. Vediamo il modulo del pentacolo alla base di piante di straordinaria armonia, come quella di Santa Croce a Firenze.[11] (illustr. 6)

Cerchi e quadrati equivalenti

Le indicazioni lasciate sul Papiro Rhind si possono considerare come il primo tentativo di «quadrare il cerchio», ovvero di trovare un quadrato di area equivalente a quella di un cerchio dato.

Il problema della quadratura del cerchio, intimamente connesso con π, appassionò i matematici antichi fin dal suo primo apparire in quella che fu la civiltà che, più di ogni altre, contribuì a definire i contorni della matematica come luogo privilegiato di esplorazione di idee e di significati: la civiltà greca. In essa, infatti, la matematica assunse da subito carattere originale rispetto alle tradizioni precedenti o contemporanee: non si trattò più di adattare la scienza dei numeri a esigenze pratiche di agrimensura o di costruzione di edifici, quanto piuttosto di esplorare questioni puramente teoriche che iniziarono a far apprezzare la sottile distinzione che intercorre tra l’accuratezza di un’approssimazione e l’esattezza di un concetto.

Sembra che si debba ad Ippocrate il primo trattato di geometria della storia matematica, scritto più di un secolo prima dei celeberrimi Elementi di Euclide, ma nessun frammento dell’opera è giunto fino a noi. Proprio nell’opera euclidea vennero formalizzate le due regole che, da quel momento in poi, consentirono di discriminare tra soluzioni «canoniche» e soluzioni «illegittime» di un problema geometrico:

• la costruzione delle figure deve avvenire tramite l’utilizzo esclusivo di riga e compasso;

• deve essere possibile effettuarla attraverso un numero finito di passi.

Purtroppo questi limiti resero impossibile il problema della quadratura del cerchio (come anche quello della duplicazione del cubo o della trisezione dell’angolo, gli altri due problemi ‘classici’ dell’antichità), ma ci vollero 2300 anni perché qualcuno riuscisse a dimostrarne l’impossibilità!

Il genio di Archimede

Dobbiamo a Democrito di Abdera (460-370 a. C.) il tentativo di analizzare le proprietà dei solidi non considerandoli nella loro interezza ma come somma di infinite sezioni. Nello stesso periodo altri due matematici, Antifonte e Brisone di Eraclea, proposero di trovare l’area del cerchio attraverso le aree di poligoni regolari inscritti e circoscritti ad un cerchio, utilizzando un nuovo metodo che venne formalizzato da Eudosso di Cnido (409-356 a. C. circa) quasi un secolo dopo: il metodo di esaustione. Una nuova strada era stata aperta e il primo che la percorse con successo per il calcolo di π fu Archimede di Siracusa (287-212 a. C. circa).

Fig. 7: L’esagono inscritto e quello circoscritto ad una circonferenza: punto di partenza per la procedura archimedea

A differenza di Antifonte e di Brisone, egli non considerò più le aree dei poligoni inscritti e circoscritti, bensì i loro perimetri, trovando così un’approssimazione della circonferenza del cerchio. Partendo dall’esagono regolare inscritto, (illustr. 7) Archimede calcolò i perimetri dei poligoni ottenuti raddoppiando successivamente il numero dei lati fino a raggiungerne 96. Il procedimento iterativo si ricollega a quello che viene talvolta chiamato algoritmo archimedeo:

• si sviluppa la serie Pn, pn, P2n, p2n, P4n, p4n, ..., dove Pn e pn sono i perimetri dei poligoni regolari di n lati circoscritti e inscritti alla circonferenza data;

• a partire dal terzo termine, si calcola il successivo in base ai due termini precedenti alternando le loro medie armonica e geometrica, ovvero

Il metodo usato da Archimede per calcolare le radici quadrate, per trovare il perimetro dell’esagono circoscritto e per calcolare le medie geometriche, era simile a quello usato dai babilonesi, ma il risultato a cui perveniva era di gran lunga migliore di tutti quelli determinati fino a quel momento. Egli pubblicò i suoi lavori nel libro sulla misurazione del cerchio, dove si legge: La circonferenza di ogni cerchio è tripla del diametro, più una parte minore di un settimo del diametro e maggiore di dieci settantunesimi.

Quindi, se si fa una media tra i due valori si ottiene 3,1419, con un errore di meno dei tre decimillesimi sul valore reale![12]

La grandezza di Archimede consiste proprio nell’aver proposto per primo un metodo che permettesse di scegliere il grado di precisione da attribuire al risultato del calcolo, sfruttando quindi al meglio l’intuizione di Eudosso e la successiva formalizzazione di Euclide.

Concetti come «arbitrariamente vicino a» oppure «prossimo quanto si vuole» vengono utilizzati con estremo rigore e maestria: siamo di fronte ad una delle tante manifestazioni di un’abilità di calcolo straordinaria del matematico siracusano, ancor più evidente se si pensa che egli non poteva disporre né di un simbolo per lo zero né di alcuna sorta di notazione decimale: il pensiero occidentale venne a conoscenza di tali strumenti matematici solo a partire dal Basso Medioevo attraverso contatti con pensatori indiani e arabi e grazie all’opera di matematici del calibro del Fibonacci.[13]

La spada nella roccia di Grammichele

Ma a noi interessa ora legare il metodo della Quadratura del cerchio, concepito da Archimede, che fa capo ad un esagono, alla Matrix analoga di R. Guénon ed alla matrice, anch'essa dell'esagono, della costruzione di Grammichele concepita dal suo fondatore, Carlo Maria Carafa principe di Butera. E a questo punto il lettore domanda: Ma tutto questo a che scopo, a che fine?

Rispondo sorridendo e con compiacimento: Ma non si è capito che è la Quadratura del cerchio ed in particolare Pi greco a costituire la “spada nella roccia” che è davanti agli occhi di tutti, lì al centro della piazza centrale di Grammichele?

Già immagino l'esultanza dell'amica Maria Intagliata, la poetessa di Pi greco al sentirmi dire queste cose! Tanto più che deve essere stata sua intenzione, ma “interiore”, di farmi fare indagini proprio sulla cosa or ora indicata.

Sì è capito ora che si tratta dell'enorme scultura in bronzo, LA MERIDIANA. Ma ora che tutti sanno, chi raccoglierà questa mela così alta sul ramo dell'epigramma iniziale di Saffo? Mi domando. Ed è profetica la conclusione o forse la contraddice?

Tuttavia è vero anche che alcuni “raccoglitori” di Grammichele, per ora, hanno scelto un'altra mela, ma di natura umana, (in realtà di bronzo) staccando, a fini controversi, un pezzo dell'organo generativo del prigioniero della meridiana che lo scultore aveva posto in modo abnorme,[14] e poi perché Pi greco, come Gesù di Galilea, è di un “altro mondo”. O forse lo era...

E il fine controverso della mela appena emerso? Un desiderio dell'uomo che si oppone ad un potere che lo domina, come di un dio fuori dalla sua portata. Forse fu anche così per l'uomo edenico preso dal desiderio di diventare divino come il suo creatore. L'evirazione del tale della Meridiana in questione – mettiamola così – è stato dettato inconsciamente da un suddetto impulso “vestito” da un desiderio di giustizia di sani costumi.

Illustrazione 8: Meridiana della Scuola Media di Grammichele

Resta l'altra questione di Pi greco di un altro mondo? Anche qui è sempre un velame che avvolge il presunto vero: crederci o no?

Pi greco sembra che provenga da una costellazione diversa da quelle zodiacali che sono dodici. È la costellazione del Serpentario e risulta da una meridiana che ha fatto scalpore (illustr. 8) e che si trova nella scuola media di Grammichele[15].

Per lo meno abbiamo qualcosa che è sotto questi velami, ma basta un tocco quasi da maghi , meglio da “geometri”, per mettere a nudo ciò che meraviglia, che stupisce e che nemmeno si pensava.

Perciò senza indugio mostro, quasi con orgoglio l'immagine dell'illustr. 10 seguente, la “spada nella roccia” di Grammichele promessa sin dall'inizio di questo scritto, che è adombrata nella Meridiana anzidetta.

La “spada”, naturalmente, è Pi greco che è insita nella Quadratura del cerchio che si delinea simbolicamente col cerchio esterno, con buona probabilità, la fascia zodiacale, comunque il mondo sidereo, e con il quadrato in rosso la terra con meridiani e paralleli, la supposta prigione del rettore del tempo. Come a unire nella perfezione il Cielo con la terra, argomentata dalle congetture esoteriche di R. Guènon dette in questo scritto.

Illustrazione 9: La Meridiana di Piazza Carlo Maria Carafa di Grammichele. La Quadratura del cerchio.

E se immaginiamo che l'essere posto all'interno della sfera armillare, la terra, apparentemente prigioniero (ma non è che per i profani), sia Saturno il dio degli antenati siculi, gli “uomini della falce” (che è anche la falce di Saturno), conveniamo, in seguito all'intervento di alcuni di Grammichele indisposti alla esagerate dimensione del suo organo virile, che ha subito in una certa misura, l'onta del padre Urano che, secondo il mito, egli evirò.

Tuttavia l'evirazione è quanto basta, risultando l'organo nella norma, da far valere virilmente la forza persuasiva di Pi grecosceso in terra” per vivificare Saturno. Questo essere incarna l'essenza terrena dell'uomo, dunque non è un prigioniero come sembra. Egli anima gli uomini intesi come terrosità e le cose terrene, attraverso la immaginaria “spada” matematica, Pi greco.

Un tempo, nei primordi, Saturno insegnò l'arte di lavorare la terra, giusto l'indirizzo imposto dal Creatore dell'uomo così come ci viene detto nella Genesi biblica. Ora è tutto per la scienza perché l'uomo si svincoli dalla sua atavica inconscia ignoranza e giunga a dar corpo ai suoi interrogativi sulla vita.

Tutto torna per mostrare di Saturno il suo legame col cielo, proprio, attraverso la direzione indicata dallo Gnomone bronzeo della scultura che punta il sommo della Chiesa Madre di Grammichele lì sullo sfondo in prospettiva. L'ombra dello Gnomone punta il sagrato di questa Chiesa perché vi si accosti. Non è così realmente ma l'immagine appiattita ce lo fa credere ed è ciò che conta per i messaggi che ci giungono, come quello della musa siracusana Maria Intagliata. Nell'Appendice che segue mostro tre argomenti con i quali si capirebbero i possibili legami di Saturno con il cielo metafisico, quello astrofisico ed una insondata terra metafisica immaginata dall'autore.

Di seguito mostro letteralmente Pi greco in persona! Non dico di più.

Appendice

Arcangeli e astri

Una lunga disputa

C'è sempre stata in tutti i tempi la tendenza di accomunare gli Angeli agli astri, ai Pianeti o alle Costellazioni. Forse perché l'Angelo, in quanto creatura di luce, proveniente dalle profondità degli spazi celesti, genera nella mente umana questo tipo di associazione.

Nella concezione primitiva dell'universo, nulla potrebbe muoversi di propria volontà se non spinto o trascinato dalla volontà divina, pertanto i testi biblici parlano a più riprese del mutuo rapporto fra Angeli e astri. Sant'Agostino e San Gregorio, hanno addirittura dichiarato che: “I corpi celesti si possono considerare mossi da creature spirituali che si chiamano Angeli o intelligenze, o intelletti separati”.

Anche Paolo V, scrisse nella sua Bolla: «Non si potrebbe mai esaltare troppo questi Sette Rettori del mondo, rappresentati dai sette pianeti... È stato di consolazione e di buon augurio per questo secolo che, con la grazia di Dio, il culto di queste sette luci ardenti, di queste sette stelle, sta riguadagnando il suo lustro nel mondo della cristianità».

Forniamo pertanto, facendo riferimento a varie fonti, il nome degli Arcangeli, il pianeta ed il giorno della settimana ad essi correlato.

Michael

Sole

Domenica

Gabriel

Luna

Lunedì

Samael

Marte

Martedì

Rafael

Mercurio

Mercoledì

Sachiel

Giove

Giovedì

Anael

Venere

Venerdì

Cassiel

Saturno

Sabato

Uriel

Urano

 

L'Arcangelo Cassiel

Cassiel segue con occhio amorevole gli anziani, coloro che come lui, hanno portato avanti il loro compito ed assistono da spettatori e non più da guerrieri, allo svolgersi degli eventi. Sempre sotto il dominio di Cassiel, denominato anche “Angelo del Silenzio”, troviamo tutto quanto è nel sottosuolo, miniere, giacimenti, rocce, argilla, ecc.

Cassiel sovraintende al Regno minerale che, silenziosamente ed in tempi lunghissimi, si evolve nella lunga ed incessante marcia “dalle tenebre alla Luce”, che del resto è condivisa anche da tutti gli altri Regni, compreso quello umano.

L'Arcangelo Cassiel è il dominatore della sfera di Saturno reggente del segno del Capricorno.[16]

Sulla superficie di Saturno scoperto un enorme esagono

Gli scienziati americani hanno scoperto nell'emisfero settentrionale di Saturno un enorme esagono dal diametro superiore ai 25.000 chilometri.

Le immagini digitali di altissima qualità che ritraggono il misterioso esagono sono state trasmesse a terra dalla stazione interplanetaria statunitense “Cassini”, e di fatto stanno a confermare l'esistenza di questa strana struttura scoperta per la prima volta 26 anni fa da un'altra stazione interplanetare, il “Voyager”.

Illustrazione 10: L'esagono di Saturno

Grazie alle nuove immagini, gli scienziati hanno stabilito che l'enorme esagono si trova a più di 100 chilometri in profondità dell'atmosfera di Saturno. “Si tratta di una formazione alquanto strana, formata da sei parti praticamente uguali l'una all'altra”, ha raccontato Kevin Baines, scienziato del Laboratorio di movimento reattivo a Pasadena, in California. - “Gli scienziati finora non avevano mai osservato qualcosa di simile sugli altri pianeti”, ha poi sottolineato Baines.

La stazione interplanetare “Cassini” era stata lanciata nello spazio nel 1997, per poi entrare nell'orbita di Saturno nel dicembre del 2000.[17]

I Segni della Terra

Il paradigma delle surrealtà della topografia terrestre

Sembrerà incredibile e nuovo da sentirsi ma la terra non la si conosce abbastanza, se non attraverso tutto ciò che la scienza ha sondato e studiato a menadito. Ma non è stato abbastanza da scoprire di lei, con sorpresa, miriade di configurazioni attraverso la sua topografia. Immaginazioni suggestive, come quelle dei racconti e delle favole si potrà dire, ma non tanto da far sorgere in alcuni reali possibilismi di concreti fondamenti per tenerne da conto. Altri diranno sorridendo che è magia, come quella dei chiromanti che, al posto di leggere la mano della gente, legge la terra con le tante sue linee di morte vita e miracoli. Tuttavia, scherzi a parte, la terra vista così effettivamente dimostra di essere come viva e, da mirabile ed impareggiabile artista, dipinge immagini di sé come meglio crede: a volte allegoricamente, altre in modo che sembra reale. E non occorrono doti magiche per togliere il velo di Gea, la terra, per mettere in mostra la sua immaginaria surrealtà imprevedibile. Basta solo la docile mano di un giovane studente, una matita ed una gomma ed ecco che da una cartina di un paese per esempio come quella accanto (illustr. 11), si presentano alla vista rappresentazioni coerenti, che fanno pensare.

Illustrazione 11: Disegno dell'autore tratto dalla mappa di Brescia

Un matematico direbbe che è topologia bella e buona, la scienza esatta come lui la definisce. La topologia intuitivamente, in matematica, è lo studio di quelle proprietà degli enti geometrici, le quali non variano quando questi vengono sottoposti a una deformazione continua cioè, ad una trasformazione della figura tale che punti distinti rimangono distinti, e punti vicini cambino in punti vicini.

Ma il termine di topologia è usato anche in altri modi: per lo studio del paesaggio dal punto di vista morfologico; in linguistica per lo studio relativo alla collocazione delle parole nella frase; ed ancora.

Sembra complesso e astruso ragionare in topologia, eppure nel caso delle configurazioni in discussione è come un semplice gioco, simile a quello per bambini della Settimana Enigmistica, “Che cosa apparira?”, o l’altro, “La pista cifrata”, solo che qui occorre immaginare i puzzle da annerire e le cifre da seguire.

Ecco, ora immaginate che la terra veramente presenta di sé configurazioni che non si contano non si potrà spiegare come per dimostrare che essa vive interagendo a tutte le attività di superficie, soprattutto per opera dell’uomo. Non è poi tanto fantastica l’idea che gli uomini rivestano, in seno alle configurazioni i discussione, la funzione più importante della terra vista in questo modo, quella del cervello. Ragionando in questa prospettiva si imparerà così a vedere che le costruzioni umane, i fabbricati, le strade, le grandi vie di comunicazione e ogni altra cosa sono forze che nascono, crescono e muoiono. E poi, quando tutto manca per credere in ciò che ho postulato sulla presunta surrealtà terrestre, ebbene non dispiacerà sentire e vedere un insolito modo di fare arte, fuori dalle numerose concezioni note. Ed ecco una spiegazione che si può accettare sul conto di un certo paradigma che vi può attenere e così impostare un discorso in merito ed affermare di conseguenza se cambia il paradigma cambia la società. Giusto anche lo scopo di tutti i lavori degli antichi alchimisti che operavano nel mistero.

C’è un filo sottile, praticamente invisibile, che lega ogni forma di cambiamento. Si produce un vero cambiamento quando si riesce a modificare il paradigma di base che influenza, controlla e domina lo sviluppo del pensiero logico-razionale finalizzato ad affrontare i problemi della vita e dell’esistenza.[18]

«Il paradigma svolge un ruolo allo stesso tempo sotterraneo e sovrano in ogni teoria, dottrina o ideologia. Il paradigma è inconscio, ma irriga il pensiero cosciente, lo controlla e, in questo senso, è anche sovracosciente. Il paradigma istituisce le relazioni primordiali che si costituiscono in azioni, determina i concetti, domina i discorsi e le teorie...». (E. Morin)

Ho fatto capire come ho potuto eseguire tanti disegni traendoli dalle mappe di centri urbani, ma anche di aree geografiche, come stati e continenti, e che ho chiamate surrealtà mappali, ma anche cartografie astrali.

Uno di questo genere di disegni riguarda Grammichele che, per la caratteristica forma mappale che somiglia ad un calice esagonale munito di piedistallo, in atto di far versare il contenuto (sembrano addirittura che si configurino, in alto le dita di una mano e in basso il pollice dell'altra mano), l'ho legato alla famosa Coppa del Graal delle sage arturiane che ebbero inizio con l'episodio centrale dell'estrazione della “spada dalla roccia” accennata all'inizio di questo scritto.

Grammichele e la Coppa del Graal

Illustr. 12: Planimetria di Grammichele (Ct)

Mi si dirà, a questo punto, che ora sto lavorando di fantasia nell'esibire delle cose prive di sostegno. Ma in questo scritto mi sono occupato anche di cose oggetto di ragionamenti metafisici, riferendomi alla concezioni esoteriche di René Guènon, dunque non guasta, questa volta che io mi disponga a proseguire su questa strada con personali concezioni attraverso i tanti miei disegni tratti dalle città ed altro della superficie terrestre.

Giusto, nel caso del supposto calice intravisto nella planimetria di Grammichele, peraltro senza che io abbia aggiunto o tolto alcuna sua linea, per arrivare alla presenza del Santo Graal. Per questo mio intento mi avvarrò dell'esoterismo dell'Antroposofia di Rudolf Steiner, in stretta relazione all'arcangelo Michele, presente nella scienza antroposofica steineriana e come patrono di Grammichele di Sicilia.

Nel libretto di Bernard C.J. Lievegoed, «Le correnti di Misteri in Europa e i nuovi Misteri», edito da Antroposofia Milano, il Graal viene presentato come una «cosa», appunto, poi una «pietra» e infine un «calice». Perciò la «cosa» risulta collegata al «calice» che, chiaramente, porta al mistero del sangue di Cristo, lo stesso calice dell'ultima cena. Ecco il punto di partenza della leggenda intorno a questo calice che viene portato da Giuseppe d'Arimatea, dopo avervi raccolto il sangue che fluiva dalle ferite mortali del Cristo crocifisso, in Europa fino a comparire in Inghilterra. Il resto ci è pervenuto attraverso la saga leggendaria di re Artù e dei cavalieri della Tavola rotonda.

Non escluso, di conseguenza, un tutto frammischiato nelle concezioni locali legate a magici fatti in cui troneggia il noto mago Merlino e la fata Morgana. Ma senza farci deviare da tutto ciò, quel che vale è risalire all'argomentata «cosa-pietra-calice-graal» sede di uno fuoco vitale alla base, appunto, della vita sulla terra: la «Fenice risorgente dalle fiamme» in continua evoluzione.

Ecco che si illumina la mente nel capire che con Artù, che in irlandese si dice Earth, dal significato di roccia o terra e che i greci intravedevano nella dea Gea e i romani in Tellus la dea analoga della fertilità. Naturalmente l'uomo del tempo antico aveva bisogno di antropomorfizzare simili divinità ed ecco un vero Artù, personaggio storico capace di assomigliare al “domatore” della forza attiva riposta nella terra, un certo drago da uccidere ed incarnarne i poteri. Perciò l'estrazione della leggendaria «spada» dalla roccia a questa concezione porta. Ma è vero anche che si tratta di un potere, come di un fiore (l'emblema della rosa dei Rosacruciani per esempio), che è potuto spuntare in diverse altre parti della terra.

Ed ecco che si fanno strada storie e leggende come quelle che coinvolgono la Sicilia quale fantastico luogo d'arrivo del migrare delle cose graaliche legate al «calice» del sangue di Cristo che in prima istanza lo vedono posto presso il pozzo, cosiddetto sul posto «Chalice Well», adiacente all'Abbazia di Glastonbury non tanto distante dalla capitale d'Inghilterra, Londra.

Si suppone persino che sia opera dei Normanni questo misterioso trasbordo, confermato anche da una nobile leggenda sul conto di Ruggero il Normanno che liberò la Sicilia dalla dominazione araba. Di conseguenza non poteva mancare in Sicilia lo scenario legato al re Artù “visto” ai “piedi dell'Etna”, non senza quello della fata Morgana sempre premurosa per il fratello e amante Artù ferito mortalmente in uno scontro con il figlio Moldred nato dall'unione incestuosa con lei.

Non fanno meraviglia queste fantastiche concezioni perché ricorrono nei fatti saturni ossia tellurici, come quella del mito greco latino relativo a Era, Saturno e Giove. E così la famosa collina di Glastonbury, ove sembra fosse stato posta la tomba di re Artù, diventa il focoso Etna come a far delineare una corrente d'un fiume che riceve un affluente ingrossandosi.

La leggenda, poi, perfeziona ogni cosa con Morgana che si insedia nei paraggi, tra l'Etna e lo stretto di Messina, nel mare, il suo elemento congeniale, e naturalmente non manca di costruirsi un bel palazzo di cristallo.

Morgana troneggia così in questo tratto di mare che diventa infido a causa sua. In modo leggendario viene dipinta così la sua arte ammaliatrice. Ella esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette cavalli e dovuto alla rifrazione dei vari strati di aria del posto. Gettando nell'acqua tre sassi, fa diventare il mare come un cristallo capace di riflettere immagini di città distorgendo la realtà.

E così, grazie alle sue abilità, la fata Morgana riesce a fuorviare il navigante che, ingannato dall'illusione prodotta dal movimento di immagini inesistenti in quel punto visivo, crede di approdare a Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle di lei braccia.

Sappiamo oggi che si tratta di un fenomeno ottico che si ammira spesso nello stretto di Messina e nell'isola di Favignana a causa di particolari condizioni atmosferiche. Infatti desta la curiosità turistica il fatto di guardare da Messina verso la Calabria e vedere come sospesa nell'aria l'immagine di Messina e, viceversa, guardando da Reggio Calabria verso Capo Peloro, si vede nello stretto Reggio. E' un fenomeno della fisica ottica che a scuola si impara a capirlo ed è chiamato appunto «fata morgana».

Ora mi preme riallacciarmi al pensiero steineriano, lasciato in sospeso, che non ho espresso bene per spiegare il suddetto supposto trasmigrare del Graal in Sicilia che io localizzo a Grammichele. Sempre attraverso quel libretto, dell'Antroposofia di Milano sopra menzionato, nell'introduzione si parla delle correnti dei misteri e per quel riguarda il nostro caso, limitando la cosa, sono messe in risalto le correnti, cosiddette orientali precristiane portatrici della saggezza, che dopo il mistero del Golgota con l'elevazione del Santo Graal, poterono collegarsi con le correnti occidentali della chiesa iro-scozzese. Questo avvenne nell'anno 869 grazie all'azione di Parsifal divenuto re del Graal quale cavaliere di Artù.

«Da allora - si legge testualmente - questa fusione di Parsifal col Graal attende di collegarsi con gli altri misteri. Gli uomini che erano inseriti in queste correnti si sono preparati insieme anche ad altri nella sfera solare durante il periodo fra morte e nuova nascita sotto la guida di Michele, l'arcangelo solare.». Detto questo, mancherebbe ora il filo conduttore per cominciare a prendere sul serio la concezione suddetta dell'incontro della corrente orientale e occidentale con quella italica di marca romana. Mi giova esaminare un lato interessante del Movimento dei Druidi in Inghilterra che tiene in gran conto la storia graalica legata particolarmente a Glastonbury di cui si è parlato in precedenza. Si tratta del fatto di averle concepite attraverso la madre terra con configurazioni intravisibili attraverso la topografia locale.[19] Questo, come si vedrà, giustificherebbe la mia stessa e più approfondita visione del mondo astrale secondo la concezione esoterica che io ho preferito definire della «surrealtà». Ma non manca, del passato della nostra Italia, una concezione analoga. Scavando nel passato emerge la storia di Opicino de Canistris, un prelato di Pavia nato il 24 dicembre 1296 a Lomellina (PV). Fu attivo presso la corte papale di Avignone. Di lui si sa che si distinse come cartografo, ma soprattutto come cultore di astrologia e studioso delle tradizioni popolari delle sua natia Lomellina. Disegnò un gran numero di carte antropomorfizzate e generalmente intese in senso “morale”. Attratto dalle credenze della mitologia celtica si divertì a tradurle in latino insieme alle storie longobarde.[20]

I due Leoni cibernetici

L'alfa e l'omega, pi greco e la sezione aurea, di una matematica ignota

Aver intravisto il segno di Pi greco nella scultura di piazza Carlo Maria Caraffa di Grammichele, la Meridiana, non è aver visto di persona questo numero, “fantasma dell'opera” in seno alla Matematica la scienza dei numeri e linee, se se ne accetta la traslazione. Tant'è che occorrerebbe sapere con precisione le misure del cerchione di bronzo relativa alla geometria della Quadratura del cerchio, per avere, in un certo qual modo, la prova di una buona approssimazione al valore giusto della relativa geometria esibita da me. E così accettare la spiegazione che è stato il “caso” (e non un incredibile scherzo) ad aver predisposto lo scultore (che non ha detto nulla della supposta Quadratura del cerchio, quindi non ne sa nulla) a concepire ogni cosa.

Tanto meno valgono tutti i “segni” del cielo mistico (l'arcangelo Cassiel relativo a Saturno), di quello sidereo (l'esagono del pianeta di Saturno) ed infine della superficie terrestre, le mie cartografie mappali terrestri che ho chiamato surrealtà.

Insomma diremo in coro che tutto ciò è indubbiamente attrattivo ma è solo un insieme di prove aleatorie, per ammettere la venuta a Grammichele di Sicilia di un certo “messia” ma di natura matematica, giusto peraltro l'accostamento con il Cavaliere dell'Apocalisse con “scettro di ferro”. Senza contare l'amica Maria Intagliata prof. di matematica della Siracusa di Archimede che, dal canto suo mi dice: «Chissà che non ci ritrovi ancora il Pi greco nella “scultura in ferro” di questa piazza di Grammichele! Scusami per lo scherzo», mostrandomela ma con la visione di una panchina di ferro davanti alla Chiesa Madre[21]. Come a invitarmi a sedermici e dispormi a meditare sulla scultura in questione, la Meridiana, lì non tanto distante. In apparenza come “a menar il can per l'aia”, però non sappiamo quali sono i giochi nel mondo del mistero.

Ma ho già detto nel presentare gli argomenti di appendice:

«Di seguito mostro letteralmente Pi greco in persona! Non dico di più.»

Ma è da tempo che Pi greco “in persona” mi è familiare per aver scritto un libro su di lui e dato alle stampe a fine 2008, in edizione E-Book. Si intitola I DUE LEONI CIBERNETICI con questo sottotitolo: L'alfa e l'omega di una matematica ignota, pi greco e la sezione aurea.

Questa di seguito è una recensione del libro tratta dal web:

Cosa sono i due Leoni Cibernetici citati nel titolo di questo libro? Sono il Leone Verde e il Leone Rosso che ogni studioso di alchimia conosce; il Leone Verde è il solvente universale, l’Alkaest, termine usato per la prima volta da Paracelso, probabilmente derivante dal tedesco All Geist (spirito universale), una sostanza che aiuta il processo di dissoluzione della materia, il passaggio tra solve e coagula per il compimento della Grande Opera.

Però il Leone Verde è verde non per il suo colore, ma per essere ancora un frutto “verde e acerbo, paragonato al frutto rosso e maturo. E’ la giovinezza metallica, sulla quale non ha ancora agito l’Evoluzione, ma che contiene in sé il germe latente di una energia reale, che più tardi sarà destinata a svilupparsi” e diventerà oro alchemico, il Leone Rosso.

Che cosa c’entrano queste fasi del processo alchemico con la matematica di cui il libro tratta? C’entrano, perché Gaetano Barbella, con un arditissimo collegamento, li accosta a due concetti matematici: il pi greco e la sezione aurea.

Il pi greco è un numero che tutti conosciamo dalle scuole medie: il 3,14 che ci permette di calcolare la superficie e la circonferenza di un cerchio. L’altra, la sezione aurea, è più complessa: indica il rapporto fra due diverse misura, in cui la maggiore è medio proporzionale tra la minore e la loro somma. La sezione aurea è ben conosciuta nel campo delle arti, perché viene considerata la divina proporzione, una misura ideale di bellezza e armonia. Gli artisti si sono uniformati a questo canone in pittura, scultura, architettura e musica e questo permette il passaggio verso la geometria sacra. E di geometria sacra, non di semplice matematica, ci parla l’autore che tenta di avvicinare il sapere esoterico antico alla scienza moderna. Ecco che compaiono i due leoni cibernetici, rivisitati e corretti secondo canoni matematici.

Chi legge questo libro viene letteralmente travolto da una serie di operazioni matematiche (non temete, sono spiegate passo per passo in maniera tanto facile da essere comprensibili perfino a chi ben poco se ne intende), fino all’imprevedibile conclusione. Imprevedibile solo per chi fosse abbarbicato a vecchi concetti, ma perfettamente lineare per chi seguirà il ragionamento: dopotutto, la matematica non è un’opinione.

Ma non aspettatevi pagine e pagine di assurde speculazioni metafisiche: questo è un libro di matematica, tanto rigoroso da accontentare il più fanaticamente purista degli accademici.

Nonostante la sua ortodossia, però, per chi si interessa di esoterismo è troppo ghiotto il boccone dell’accostamento con le nozze alchemiche dei due Leoni e non ci vorrà molto a vedere nelle “sfere impacchettate” un campo di energie misteriose che, forse, sarà possibile studiare e controllare. E qualcuno potrebbe andare oltre e ricordare che Pitagora considerava la matematica una scienza universale, che si esprimeva nella geometria, nell'astronomia, nella musica e nella cosmologia, riportando tutto al numero, il numero all’armonia universale. Che Abellio dava valore esoterico alle ventidue lettere dell’alfabeto ebraico ottenendolo dal numero di lati del poligono che a ciascuna corrispondeva. E che per Spinoza l’intuizione della proporzione geometrica era sub specie aeternitatis.[22]

Il libro è presentato nel mio sito e il link è questo: www.webalice.it/gbarbella/

Ma è presente anche sul web un po' diffusamente.


Un velato appoggio dell'Accademia

Resta la lezione derivante dall'epigramma iniziale, che non è tanto rivolta a Grammichele, anche se ne ho fatto cenno, potrebbe rientrare e me lo auguro tanto, ma per i matematici dell'Accademia.

E se dico così è perché mi sono dato da fare per avere appoggi di amici accademici della matematica in relazione al libro suddetto, ma senza alcun risultato soddisfacente.

Tuttavia, se è vero che il ricercato appoggio da parte dell'accademia non ha avuto esito positivo, una cosa buona si è rivelata perché, nel sondaggio, è rimasto impigliato a mio favore un velato O.K. appena, appena concepibile.

Per dimostrarlo esibisco di seguito la corrispondenza di posta elettronica per una verifica del libro con un amico matematico, il prof. B., docente di matematica presso alcune Università italiane. Per discrezione ometto l'identità e vale perciò la mia parola.

31.10.07

(B. a T. e a Me) Caro T.,

da diversi anni sono in contatto con un autore di interessanti cose matematiche, non accademico, ma assai esperto, Gaetano Barbella. Qualche tempo fa mi ha inviato il suo ultimo lavoro (“I due leoni cibernetici di sphere packing” [23]) ma, a causa dei miei viaggi prima in Colombia ed ora in Brasile, che tu sai bene, contrariamente al mio solito ci ho messo un bel po' a leggerlo; anche perché è di lettura non agevole data la densità degli argomenti trattati. Il fatto che non sia di professione matematico, fa sì che il linguaggio di Gaetano, affascinante e chiarissimo, sia però da interpretare a volte, il che certo ad un lettore esperto non dà affatto fastidio.

Vengo al punto, caro T..

Non mi sento certo di poter esprimere un giudizio, soprattutto perché Gaetano affronta temi di "Matematiche elementari" (la disciplina il cui nome è legato al grande Felix Klein che di “elementare” ha solo il titolo; dico a Gaetano, se per caso non conoscesse questa dizione, che significa solo che non sono usati, nelle presentazioni, di solito, strumenti aventi a che fare con il calcolo differenziale) a me poco noti; o, meglio: li conosco come li può conoscere un matematico non specialista in queste cose. Ho dunque il terrore di non riuscire a cogliere la vera portata del lavoro di Gaetano, essendo poco ferrato nei campi che lui tratta con tanta perizia. Gli ho dunque chiesto il permesso di poter coinvolgere in questa lettura anche te che, invece, sei assai più esperto di me; e Gaetano mi ha dato parere favorevole.

Ordunque: io ti invito, nei limiti del poco tempo che hai, lo so bene, a voler dare un'attenta lettura a questo testo, per aiutare me soprattutto, e Gaetano poi, a verificare i suoi risultati ed a valutarne l'importanza. Ti posso passare il testo che ho già in mano io, venerdì, quando ci vediamo al convegno; oppure, se preferisci e se Gaetano è d'accordo, lui ti può mandare il testo completo, così poi ne possiamo discutere a distanza, avendolo sott'occhio entrambi. Naturalmente, se non hai tempo, dicci pure di no e noi ti capiremo.

Un caro saluto con un arrivederci a dopodomani,

B.

ed un saluto caro a Gaetano.


(B. a T.) [...] Ti posso passare il testo che ho già in mano io, venerdì, quando ci vediamo al convegno; oppure, se preferisci e se Gaetano è d'accordo, lui ti può mandare il testo completo, così poi ne possiamo discutere a distanza, avendolo sott'occhio entrambi. Anch'io, come tutti, ho i miei limiti: e non solo di tempo. Ne riparliamo a C..

A presto, T.


(B. a T.) OK, allora io porto comunque la mia copia al convegno e, almeno, te lo mostro.

B.


(B.) OK, caro Gaetano; se T. ce la fa, è una bella sicurezza!


Caro Gaetano,

ho passato la copia del tuo interessante lavoro al collega prof. C. (T.) P. il quale lo leggerà per poterne poi discutere insieme.

I saluti più affettuosi.

Ciao B.


(Me) Caro B.,

non hai espresso l'opinione ma l'hai fatta capire anche se incerta. Altrimenti non avresti coinvolto il prof. C., per quanto tanto amico.

Debbo pensare che il mio lavoro ha gli ingredienti, per qualcosa di veramente serio. O no?

Ricambio i saluti affettuosi,

Gaetano

(B. a Me) Esatto, solo che io non ho gli strumenti per darti soddisfazione; e invece voglio che tu ce l'abbia. Se coinvolgo anche lui e si convince, vedremo poi.

Un caro abbraccio

B.


(Me) Caro B.,

ti sembrerò petulante e mi scuso, ma puoi capire la mia impazienza poiché vedo volare il tempo senza barlumi sul mio libro in cerca di editore. Sono sulle spine e mi solleverebbe sapere qualcosa di nuovo e promettente in merito.

Cordialità, Gaetano

(B.) Caro Gaetano, lo so, lo so benissimo; ma il mio collega, dopo una frase generica: “Ci ho visto cose interessanti”, ha ahimè aggiunto: “Ma devo trovare il tempo per guardarci bene”. Io posso spingere un po', ma potrebbe essere controproducente. Un mio libro è dall'editore da maggio; ho chiesto come va, e mi ha risposto: “Figurati, non l'ho ancora aperto”.

Siamo nelle stessa barca!

B.


(Me) Caro B.,

mi stavo apprestando a risponderti ma improvvisamente il computer è andato in tilt. Ho temuto per il peggio ma sembra che si sia compromesso solo l'alimentatore. Ora uso il computer dei miei ragazzi.

Non te la prendere per il contrattempo del tuo amico e collega. Se non altro ora sappiamo per bocca di un esperto, come dici tu, che le mie teorie sono “interessanti”. È già qualcosa! E non mi meraviglia che per questo genere di cose il tempo non è per niente favorevole. In fondo le mie teorie al vaglio sono veramente molto fuori dall'ordinario.

Ciao Gaetano.


Gaetano Barbella

Brescia, 1°luglio 2010


Note

[3] Francesco Lenormant, La Magna Grecia, vol. I, capit. V., Ediz. Frama Sud S.p.A. (CZ).

[5] http://80.21.201.219/grammichele/...

[6] Maria Grazia Lopardi, Architettura Sacra medievale- Mito e geometria degli Archetipi. Edizione Mediterranee. Roma

[7] M. Eliade, Miti, sogni e misteri, Rusconi, Milano.

[8] R. Guènon, L'Archeometra, Atanor, Roma.

[9] Paolo Zellini, GNOMON (Una indagine sul numero), Ed. Adelphi Milano, 1999

[11] Maria Grazia Lopardi, Architettura Sacra medievale- Mito e geometria degli Archetipi. Edizione Mediterranee. Roma

[12] http://areeweb.polito.it/...

[13] Alessandra Del Piccolo, STORIA DI PI GRECO, Istituto Magistrale Statale "Domenico Berti", Torino

[16] Dr. Mario Rizzi, Gli Angeli, conoscerli, amarli e seguirli, Prima edizione, Natale 1999.

       www.viveremeglio.org/0_volumi/religione/angeli.pdf

[18] Tratto dal saggio dell’autore “I segni della Terra nella visione di Nostradamus” (Vedi: www.stilepisano.it/...

[19] Jennifer Westwood, Atlante dei luoghi misteriosi, ediz.Euroclub

[20] www.liutprand.it/capro.htm

[23] I due leoni cibernetici di sphere packing, era il primo titolo poi semplificato in I due leoni cibernetici, più il sottotitolo.

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