Sulla via di Grammichele
Questo scritto non ha alcuna
pretesa scientifica e tanto meno umanistica, sfiora un certo ambito
esoterico ma solo a “prestito”, tuttavia è frutto di idee sorgive in
me, forse trasmutazioni delle cose anzidette, ispirate di recente da
brevi dialoghi sull'onda di Internet con una cara amica, Maria
Intagliata
che non conosco personalmente, ma solo sul web. Maria ama la poesia
e si è resa nota per un virtuoso poemetto in versi, nientemeno
adattando i versi alle prime 999 cifre del celeberrimo numero
irrazionale e trascendente della matematica, π che si legge Pi
greco. Ma è vero anche che è una docente di matematica di un
istituto superiore di Siracusa e perciò questo non meraviglia.
Vedremo in seguito che il caso ha voluto predisporre la giusta
persona per permettermi di fare questo scritto e incamminarmi verso
Grammichele ove nacque e visse la sua prima giovinezza la mia cara
nonna paterna Luisa Sapio, grazie appunto a Internet oltre che lei.
Internet è un nuovo mondo d'incontro di persone che, il più delle
volte, non si conoscono e restano tali.
Maria Intagliata di Siracusa,
così come è ora per me, somiglia ad una misteriosa musa di questo
nuovo mondo. Ella si è accostata a me lodandomi per uno studio
singolare fatto ultimamente (qualcosa di simile a questo in
esposizione), e incoraggiandomi mi ha condotto, quasi per mano, al
mio paese di origine, Grammichele di Sicilia, non per la mia
nascita, avvenuta paradossalmente all'estremo nord d'Italia, a
Bolzano. Infatti Maria mostra di essere fieramente di stirpe
siracusana, sicuramente messaggera di archimedei ingegni a me tanto
cari, e, dunque, forieri di cose nuove per la mia mente.
Per ora mi giova che Maria
Intagliata sia simile ad un vago pensiero fluttuante e benefico che
mi sfiora, è così che la mia mente si allarga decisamente a
insondati orizzonti sull'onda induttiva del pur estraneo Internet.
La storia degli “uomini della
falce”, i Siculi
[…] Verso il XX secolo prima
dell’èra cristiana, i Siculi, o uomini ramati di falce (in latino
sicula) ramo della grande razza ariana dei Liguri, occuparono
l’Italia centrale dalla foce del Tevere ad Ancona, e dalle bocche
del Po al confine dell’Apulia. Essi estesero la loro dominazione sui
Pelasgi Enotri, iniziandoli alla coltivazione della terra, perché ne
avevano portato seco il segreto.
Nel XIV secolo, vediamo i Siculi,
che gli Egiziani chiamano Shakalash, all’apogeo della loro potenza e
in possesso di una marina, confederarsi con gli altri popoli del
Mediterraneo, e prendere parte agli attacchi che costoro dirigono
contro l’Egitto sotto Menephtah I e Ramesses III. Essi aggiunsero le
loro navi a quelle dei T’ekkaro o Teucri, degli Akaiuash o Achei,
dei Pelesta o Pelasgi di Creta, dei Tursha, cioè Tursani o Pelasgi
Tirreni, degli Uashasha, che sono forse degli Ausoni, e dei Shardana
o genti dell’isola di Sardegna. Essi avevano respinto i Sicani di
origine iberica, costringendoli a rifugiarsi nell’isola di
Thrinacria, che fu più tardi la Sicilia.
Il carattere essenzialmente
agricolo dei Siceli o Siculi si riflette nei nomi di quei loro
principi che si fanno regnare sugli Enotri. A Italo succede Morgete,
«l’uomo dei covoni», (merges); viene in sèguito Sicelo, «l’uomo
della falce», che porta il nome stesso del popolo. Come tutti gli
eroi collocati alle origini delle nazioni, come per il suo
predecessore Italo, la sua storia è un mito complesso, in parte
religioso, in parte storico e mitico. Sicelo è scacciato da Roma e
viene a rifugiarsi presso Morgete; la sua fuga, al pari della sua
origine e del suo nome, l’assimila a Saturno, sempre armato della
falce. E, in effetti, Saturno, sembra che sia stato in origine il
gran dio nazionale dei siculi. Furon essi che ne stabilirono il
culto in Italia; furon essi che dettero alla loro fortezza del
Campidoglio il nome di Saturnia. Sotto la loro dominazione, l’Italia
fu designata col nome generale di Saturnia, che sostituì quello di
Argessa che le davano i Pelasgi Enotri.
«Saturnia è terra dei Siculi»,
diceva un antichissimo oracolo della Zeus di Dodona. D’altra parte,
la fuga di Sicelo è anche in relazione con il fatto storico indubbio
della storia d’Italia, fatto che dovrà avvenire verso il XII secolo
prima dell’era cristiana, cioè la graduale espulsione dei Siculi dal
Lazio e dalla Campania per opera dei popoli Umbro-Latini, Opici o
Ausoni. La Saturnia divenne allora l’Ausonia. Questi popoli, ai
quali si è presa l’abitudine di dare specialmente il nome, ossia mal
giustificato, d’Italioti, discendevano allora, forse sotto la
pressione di una nuova ondata d’immigrazione che veniva dal nord,
quella dei Raseni o Etruschi, dalle grandi pianure del bacino del
Po, ove avevano fatto una lunga dimora, ed ove le terremare
dell’Emilia ci hanno conservato delle vestigia incontestabili del
loro soggiorno e del loro stato di semi-civiltà. I Siculi, del
resto, dovevano essere molto più in parentela con loro di quel che
non ammetta l’opinione comune attuale. Il loro idioma sembrerebbe
che appartenesse decisamente alla famiglia italica; i rari vocaboli
che ci sono stati conservati, sono quasi latini, come gela, «gelata»
(gelu); kybiton, «angolo» (cubitos «gomito»); rogos, «mucchio di
grani» (rogus, «mucchio di legna»); unkia, «oncia» (uncia); litra,
«libbra» (libra).
Sicelo, accolto da Morgete,
dicevano gli storici greci dell’Italia meridionale e della Sicilia,
si creò uno Stato a spese del suo ospite. Più tardi, sentendosi in
angustia in questo stato e premuto dalle popolazioni vicine, passò
con la maggior parte del suo popolo nell’isola, che ricevette da lui
il nome di Sicilia. I Siculi finirono cacciati d’Italia dagli Opici
e dagli Enotri, dice Antioco di Siracusa; dagli Umbri e dai Pelasgi,
dice Filisto della medesima città. Le due maniere di esprimersi sono
esattamente sinonime e bisogna dare un valore di prim’ordine alle
testimonianze dei due scrittori siracusani del V secolo a.C. i quali
avevano avuto agio di consultare le tradizioni nazionali dei Siculi,
che esistevano ancora al grado di popolo indipendente nel grembo
delle montagne della Sicilia. Tucidide, loro contemporaneo, non meno
esatto nella scelta delle sue informazioni, parla anche del
passaggio dei Siculi dal continente all’isola di Trinacria, e lo
pone intorno all’anno 1034. È quindi, manifesto che dopo che grande
potenza dell’impero dei Siculi fu distrutta dall’invasione opica o
ausonica, gli Enotri ripresero la loro indipendenza e li respinsero
nell’estremità meridionale della penisola, donde essi guadagnarono
la Sicilia attraversando lo stretto di Messina. Ma non passarono
tutti in questa patria: i siculi conservarono sul continente il
possesso del paese situato a sud dell’istmo Scilletico, dell’Italia
nel senso speciale e ristretto del nome. È nel loro territorio che
Locri fu fondata, e Teucidide, nel V secolo, li mostra ancora colà
nelle parti più inaccessibili delle montagne.[…].
La storia di Grammichele
|
Illustrazione 2: Grammichele centro |
Grammichele situato su un
altopiano dei monti Caronia, a 521 m. s.l.m., tra Caltagirone,
Licodia E. e Mineo, è sicuramente uno dei più belli e ridenti centri
della Sicilia orientale, in provincia di Catania. Fu fondato nel
1693 dopo il violento terremoto che distrusse molti paesi siciliani.
La pianta è a forma esagonale. Da
ogni lato dell'esagono si diramano le vie principali, che sboccano
nella grandiosa piazza centrale, anch'essa esagonale di oltre
ottomila mtq., centro della vita sociale della città (illustr. 2).
Grammichele fu ideato da Carlo
Maria Carafa principe di Butera, benefattore dei superstiti della
distrutta Occhiolà. La pianta originale che trovasi tutt'ora nello
scalone del Palazzo Comunale fu intagliata su una grande lastra di
lavagna dall'architetto Fra Michele da Ferla, fiduciario del
Principe. La sua forma urbana è conosciuta e studiata in tutte le
facoltà universitarie di architettura del mondo.
Un barocco molto delicato si
trova nelle linee di rara sobrietà della Chiesa Madre, che domina la
piazza; possiede dipinti del '600 e del '700.
Le radici storiche di Grammichele
nascono nell'era neolitica per attraversare l'età del bronzo e le
epoche: sicula, greco-arcaica, romana, bizantina e medievale.
Moltissimi e di grande interesse sono i reperti portati alla luce
nella vicina "Terravecchia", una delle zone archeologiche più
interessanti della Sicilia, che, oltre alla necropoli del "Mulino
della Badia", custodisce i resti della misteriosa città "Eketla" e
della più recente "Occhiolà" completamente distrutta dal terremoto.
é allo studio del Comune la costituzione di un Parco Archeologico
che valorizzi la zona.
Nel progetto di riqualificazione
urbanistica della Piazza C.M. Carafa fu realizzato un grande
orologio solare orizzontale, probabilmente uno dei più grandi al
mondo, in grado di caratterizzare la Piazza attraverso un attento
recupero del passato.
Gli orologi solari misurano il
tempo, ora solare vera del luogo mediante l’ombra d’un asta
opportunamente inclinata, chiamata Gnomone dal greco gnomon:
significa indicatore e da informazioni sulla data e sulle ore del
giorno. Progettato e realizzato dal dott. Giovanni Brich e
completato posteriormente in alcune parti mancanti dai proff. Franco
e Ignazio Grosso.
Il lato sud della Piazza è
arricchito da una scultura bronzea dell’artista Paolo Guarrera che
ritrae il principe Carlo Maria Carafa fondatore della città.
Appassionato cultore di astronomia, matematica, gnomonica e altro,
il principe aveva concepito Grammichele come una città del sole
realizzando nel centro della piazza principale una grande Meridiana
a forma di croce.
|
Illustrazione 3: Grammichele. La Meridiana |
La meridiana rimossa nei primi
decenni dell’800, oggi è sostituita da un’enorme statua monumentale
di bronzo di Murat Cura, parte integrante dell’orologio che regge
un’asta gnomonica ed occupa il centro della piazza raffigurante un
uomo inginocchiato simboleggiante il tempo, avvolto da una serie di
cerchi che richiamano l’antica sfera armillare e lo imprigionano
inevitabilmente, nel suo tempo (illustr. 3). L’orologio solare è
essenzialmente composto da tre parti: lo gnomone, il quadrante e in
insieme di linee che indicano le ore, i solstizi, gli equinozi, lo
zodiaco e nel caso specifico riporta le date di distruzione di
Occhiolà e della fondazione di Grammichele.
Ecco ho mostrato la storia di
Grammichele dalla quale risulta un dato rilevante che è in bella
mostra attraverso la sua pianta a forma esagonale che costituisce la
matrice, secondo la quale il suo ideatore, il principe Carlo Maria
Carafa fondatore della città, pensò di trasmettere taluni principi
cui teneva a cuore. E sappiamo, come già detto, che egli era un gran
cultore di astronomia, matematica, gnomonica e altro che di certo
doveva essere il rispettivo lato esoterico. Ed è proprio su questo
lato che non si conosce di Grammichele che ora mi dilungherò per
sfociare ad una certa matematica onde arrivare a far delineare
quella misteriosa “spada nella roccia” accennata all'inizio.
Dimostrerò che fondare una città,
rispettando una peculiare matrice, non è diverso che costruire una
chiesa.
L'Archeometra
Trovandomi nella Matrice
ho conosciuto tutte le nascite
degli dei.
INNO VEDICO DI VAMADEVA
|
Fig. 4: Immagine tratta dall'Archeometra di R. Guenon. |
[…] Un'opera di René Guènon
,
l'Archeometra – dal greco arkes-metron vale a dire “misura
del Principio” - secondo il grande esoterista francese permette
di ricondurre tutta la manifesta-zione del Verbo al Principio unico
in un progetto di armonia universale.
Il Guènon dà il merito della sua
rivelazione al Maestro Saint-Yves d'Alveydre, secondo il quale la
complessa figura è un codice cosmogonico della tradizione
primordiale, della conoscenza trasmessa dalla Fraternità della luce
agli uomini, che qui è sintetizzata: in esso tutti gli elementi vi
trovano posto in modo rigorosamente matematico.
L'Archeometra presenta al
centro quattro triangoli equilateri intrecciati tra di loro che
simboleggiano i quattro elementi : Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Agli
angoli sono tracciati i segni zodiacali corrispondenti a ciascun
elemento, i cui segni sono il domicilio dei sette pianeti della
Tradizione (Sole, Luna, Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio),
ognuno situato di fronte al segno zodiacale corrispondente.
Se si fanno ruotare gli assi a
croce dei quattro elementi di un quarto di cerchio verso sinistra,
si traccia il cerchio dello zodiaco (illustr. 4).
È dal centro che irradia il
Verbo: appare come un sole raggiante ovvero una ruota con i
raggi, simbolo caro ai maestri comacini e ripetuto nei rosoni delle
chiese romane e gotiche.
Nell'Archeometra si
individua la stella a sei punte, il Sigillo di Salomone e il senario
è il segno della creazione come dice Guènon, che chiama il
triangolo con il vertice in alto “del Verbo e della terra del
Principio”, e quello con il vertice in basso “delle Acque
Vive delle origini: i due principi opposti rendono possibile il
movimento della creazione e, ruotando intorno all'asse centrale
configurano il dodecagono dello zodiaco”.
|
Fig. 5: Archeometra nella Matrix |
Traccio la figura con la stessa
logica della Matrix divina e ottengo la versione circolare della
griglia dell'Archè (illustr. 5).
[…] Aggiunge il Guènon che
l'Archeometra è uno strumento più che umano della Sintesi delle
Organicità e delle Armonicità Universali, riallacciate al Verbo
Creatore […], a cui si può attribuire una antichità di 25.000
o 30.000 anni che ci riporta all'epoca della civiltà degli Atlantidi
[…].
Lo Gnomone
Lo “Gnomone”, preso in
considerazione in un libro di Paolo Zellini libro
,
non è quell'asticciola la cui ombra serve a segnare le ore negli
orologi solari, o meridiane, ma è precisamente una figura
geometrica, piana o solida, che Erone di Alessandria, ad esempio,
definiva, in generale, come ciò che “aggiunto a qualsiasi entità,
numero o figura, rende il tutto simile all'entità a cui è stato
aggiunto.”
Filolao afferma: “Il numero è
la forza sovrana autogenetica, che mantiene l'eterna permanenza
delle cose del cosmo.”
Il concetto pitagorico, relativo
al numero considerato secondo la natura dello gnomone, è ripetuto
più volte nel testo. Nell'antichità, i concetti matematici erano
stati pensati come un “logos divino”, perché il loro potere
di rendere uguale il diverso appariva decisamente straordinario.
Lo Gnomone era uno
strumento matematico usato per la generazione di figure simili. Era
diffusa tale tecnica, che rispondeva “all'esigenza di ingrandire
o rimpicciolire una forma, conservandone l'aspetto.” In questo
modo si poneva “una delle più alte e ardue questioni della
matematica e del pensiero in genere: quella dell'invarianza nel
mutamento.” Tale invarianza nel mutamento rappresenta un tema
centrale degli Sulvasutra (trattati indiani) e dei passi dello
Satapatha Brahmana, che analizzano le misure degli altari, i quali
erano soggetti a successivi ingrandimenti, rimanendo invariata la
forma.
Paolo Zellini analizza la “matematica
antica”, mettendo a confronto le tradizioni mesopota-mica, greca,
egizia, indiana e cinese (trovando evidenti somiglianze), per “attraversare
poi la matematica araba e l'algebra moderna, e sfociare infine in
quel grandioso progetto che, dalla metà del XX secolo, ha visto
entrare in scena la macchina come protagonista del calcolo su larga
scala.”
Il libro rivela l'impegno
dell'autore ad analizzare l'essenza del numero, cercando di
rispondere alla famosa domanda di Didekind (con la quale la Premessa
ha inizio): “Che cosa sono e che cosa vogliono significare i
numeri?”
Detto in sintesi tutto ciò che è
riportato nel libro in causa, appare chiaro che lo Gnomone
non sia altro che la versione profana dell'Archeometra di R.
Guènon trattato precedentemente.
Resta però da capire in che modo
matematico l'Archeometra o lo Gnomone attendono alla
sua funzione in armonia con la Creazione e col Verbo. Ed in
particolare il peculiare ruolo assunto nel passato, quale modulo
per l'edificazione di chiese e altri edifici monumentali e per ciò
che più ci interessa la fondazione di città, come Grammichele di
Sicilia, l'argomento di questo scritto.
Costruire una chiesa: i moduli
costruttivi e la Quadratura del cerchio.
La chiesa rappresenta come
sulla terra sia passato il cielo.
(Simeone di Tessalonica)
Quel che ha compiuto l'Architetto
fissando il suo compasso al centro della traccia e poi ponendo uno
Gnomone sul suolo dell'erigenda costruzione è la reiterazione
di ciò che la Tradizione presenta come l'emersione dalle acque
primordiali della cima del Meru degli Indù, o della “collina
fangosa” dell'antico Egitto: il tempio di Salomone sorgeva sul
monte Moriah, nome simile a Meru ma anche a Maria-Miryam e a Hiram,
il Maestro costruttore del Tempio degli Ebrei, prototipo delle
costruzioni sacre.
Il punto si espande in un cerchio
che è il mondo celesta che si proietta a terra, dove lo Spirito
prende forma divenendo il quadrato della manifestazione intera, ma
anche del mondo terrestre, della materia.
Avviene così la prima
Quadratura del Cerchio in cui il divino si manifesta. Se il
rapporto aureo garantisce l'armonia, la lettera greca π, che appare
come una porta e che individua il rapporto fra una qualsiasi
circonferenza c e il suo diametro d=2r, in termini simbolici è la
chiave della Quadratura del Cerchio, che rappresenta l'azione
suprema della fusione dell'Umanità in Dio, mettendo in rapporto la
linea retta del diametro o del raggio e il cerchio, il quadrato
della manifestazione con il cerchio della Spirito, la terra con il
cielo.
Il π permette di calcolare la
superficie del cerchio A=πr² (dove r è la misura del raggio del
cerchio). È un numero irrazionale e
trascendente pari a 3,14 o più precisamente
3,1415926535897932386426433832279...
La più antica documentazione su
questo rapporto – calcolato con notevole approssimazione a 3,160 – è
il Papiro di Rhind di uno scriba egizio di nome Ahmes vissuto
intorno al 165 a.C., in cui afferma: Togli 1/9 a un diametro e
costruisci un quadrato sulla parte che rimane; questo quadrato ha la
stessa area del cerchio. Siamo di fronte al primo caso
documentato di un primo tentativo di “quadrare il cerchio”.
Anche nella Bibbia (I RE 7,23), a
proposito dell'altare costruito nel Tempio di Salomone, si afferma:
[...] poi fece il mare fuso: dieci cubiti da una sponda all'altra
cioè completamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e la
sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo
circondava intorno. Questo passo (che è quasi identico a 2 CR
4,2) indica che il rapporto tra circonferenza e diametro è 3; fu
scritto probabilmente intorno al VI secolo a.C., ma fa riferimento
alla costruzione del Tempio risalente a X secolo a.C.
|
Fig. 6: Chiesa Santa Croce a Firenze. Pianta in
Matrix |
Nelle costruzioni sacre la
reiterazione della Quadratura del Cerchio equivale a
sottolinearne la funzione di punto di incontro tra cielo e terra,
tra Spirito e materia; la riconquista del Paradiso inizia dalle
giuste proporzioni che attentamente vanno affidate alla pietra che
sfida i millenni. Quel quadrato è il modulo del Maestro
d'Opera, che lo usa secondo le esigenze della costruzione: spesso
cinque quadrati costituiscono la lunghezza della costruzione e tre,
con quello originario centrale con le braccia tese e le gambe
larghe, sì da rappresentare il modello cosmico che abbraccia le
quattro direzioni dello spazio: su di esso, come si è visto, sono
rinvenibili le misure adottate dai Maestri muratori in rapporto
aureo tra di loro. Vediamo il modulo del pentacolo alla base
di piante di straordinaria armonia, come quella di Santa Croce a
Firenze.
(illustr. 6)
Cerchi e quadrati equivalenti
Le indicazioni lasciate sul
Papiro Rhind si possono considerare come il primo tentativo di «quadrare
il cerchio», ovvero di trovare un quadrato di area equivalente a
quella di un cerchio dato.
Il problema della quadratura del
cerchio, intimamente connesso con π, appassionò i matematici antichi
fin dal suo primo apparire in quella che fu la civiltà che, più di
ogni altre, contribuì a definire i contorni della matematica come
luogo privilegiato di esplorazione di idee e di significati: la
civiltà greca. In essa, infatti, la matematica assunse da subito
carattere originale rispetto alle tradizioni precedenti o
contemporanee: non si trattò più di adattare la scienza dei numeri a
esigenze pratiche di agrimensura o di costruzione di edifici, quanto
piuttosto di esplorare questioni puramente teoriche che iniziarono a
far apprezzare la sottile distinzione che intercorre tra
l’accuratezza di un’approssimazione e l’esattezza di un concetto.
Sembra che si debba ad Ippocrate
il primo trattato di geometria della storia matematica, scritto più
di un secolo prima dei celeberrimi Elementi di Euclide, ma nessun
frammento dell’opera è giunto fino a noi. Proprio nell’opera
euclidea vennero formalizzate le due regole che, da quel momento in
poi, consentirono di discriminare tra soluzioni «canoniche» e
soluzioni «illegittime» di un problema geometrico:
• la costruzione delle figure
deve avvenire tramite l’utilizzo esclusivo di riga e compasso;
• deve essere possibile
effettuarla attraverso un numero finito di passi.
Purtroppo questi limiti resero
impossibile il problema della quadratura del cerchio (come
anche quello della duplicazione del cubo o della trisezione
dell’angolo, gli altri due problemi ‘classici’ dell’antichità), ma
ci vollero 2300 anni perché qualcuno riuscisse a dimostrarne
l’impossibilità!
Il genio di Archimede
Dobbiamo a Democrito di Abdera
(460-370 a. C.) il tentativo di analizzare le proprietà dei solidi
non considerandoli nella loro interezza ma come somma di infinite
sezioni. Nello stesso periodo altri due matematici, Antifonte e
Brisone di Eraclea, proposero di trovare l’area del cerchio
attraverso le aree di poligoni regolari inscritti e circoscritti ad
un cerchio, utilizzando un nuovo metodo che venne formalizzato da
Eudosso di Cnido (409-356 a. C. circa) quasi un secolo dopo: il
metodo di esaustione. Una nuova strada era stata aperta
e il primo che la percorse con successo per il calcolo di π fu
Archimede di Siracusa (287-212 a. C. circa).
|
Fig. 7: L’esagono inscritto e quello circoscritto ad
una circonferenza: punto di partenza per la procedura archimedea |
A differenza di Antifonte e di
Brisone, egli non considerò più le aree dei poligoni inscritti e
circoscritti, bensì i loro perimetri, trovando così
un’approssimazione della circonferenza del cerchio. Partendo
dall’esagono regolare inscritto, (illustr. 7) Archimede calcolò i
perimetri dei poligoni ottenuti raddoppiando successivamente il
numero dei lati fino a raggiungerne 96. Il procedimento iterativo si
ricollega a quello che viene talvolta chiamato algoritmo archimedeo:
• si sviluppa la serie Pn, pn,
P2n, p2n, P4n, p4n, ..., dove Pn e pn sono i perimetri dei poligoni
regolari di n lati circoscritti e inscritti alla circonferenza data;
• a partire dal terzo termine, si
calcola il successivo in base ai due termini precedenti alternando
le loro medie armonica e geometrica, ovvero
Il metodo usato da Archimede per
calcolare le radici quadrate, per trovare il perimetro dell’esagono
circoscritto e per calcolare le medie geometriche, era simile a
quello usato dai babilonesi, ma il risultato a cui perveniva era di
gran lunga migliore di tutti quelli determinati fino a quel momento.
Egli pubblicò i suoi lavori nel libro sulla misurazione del cerchio,
dove si legge: La circonferenza di ogni cerchio è tripla del
diametro, più una parte minore di un settimo del diametro e maggiore
di dieci settantunesimi.
Quindi, se si fa una media tra i due
valori si ottiene 3,1419, con un errore di meno dei tre
decimillesimi sul valore reale!
La grandezza di Archimede
consiste proprio nell’aver proposto per primo un metodo che
permettesse di scegliere il grado di precisione da attribuire al
risultato del calcolo, sfruttando quindi al meglio l’intuizione di
Eudosso e la successiva formalizzazione di Euclide.
Concetti come «arbitrariamente
vicino a» oppure «prossimo quanto si vuole» vengono
utilizzati con estremo rigore e maestria: siamo di fronte ad una
delle tante manifestazioni di un’abilità di calcolo straordinaria
del matematico siracusano, ancor più evidente se si pensa che egli
non poteva disporre né di un simbolo per lo zero né di alcuna sorta
di notazione decimale: il pensiero occidentale venne a conoscenza di
tali strumenti matematici solo a partire dal Basso Medioevo
attraverso contatti con pensatori indiani e arabi e grazie all’opera
di matematici del calibro del Fibonacci.
La spada nella roccia di
Grammichele
Ma a noi interessa ora legare il
metodo della Quadratura del cerchio, concepito da Archimede,
che fa capo ad un esagono, alla Matrix analoga di R. Guénon
ed alla matrice, anch'essa dell'esagono, della costruzione di
Grammichele concepita dal suo fondatore, Carlo Maria Carafa principe
di Butera. E a questo punto il lettore domanda: Ma tutto questo a
che scopo, a che fine?
Rispondo sorridendo e con
compiacimento: Ma non si è capito che è la Quadratura del cerchio
ed in particolare Pi greco a costituire la “spada nella
roccia” che è davanti agli occhi di tutti, lì al centro della
piazza centrale di Grammichele?
Già immagino l'esultanza
dell'amica Maria Intagliata, la poetessa di Pi greco al
sentirmi dire queste cose! Tanto più che deve essere stata sua
intenzione, ma “interiore”, di farmi fare indagini proprio sulla
cosa or ora indicata.
Sì è capito ora che si tratta
dell'enorme scultura in bronzo, LA MERIDIANA. Ma ora che tutti
sanno, chi raccoglierà questa mela così alta sul ramo
dell'epigramma iniziale di Saffo? Mi domando. Ed è profetica la
conclusione o forse la contraddice?
Tuttavia è vero anche che alcuni
“raccoglitori” di Grammichele, per ora, hanno scelto un'altra
mela, ma di natura umana, (in realtà di bronzo) staccando, a
fini controversi, un pezzo dell'organo generativo del prigioniero
della meridiana che lo scultore aveva posto in modo abnorme,
e poi perché Pi greco, come Gesù di Galilea, è di un “altro
mondo”. O forse lo era...
E il fine controverso della
mela appena emerso? Un desiderio dell'uomo che si oppone ad un
potere che lo domina, come di un dio fuori dalla sua portata. Forse
fu anche così per l'uomo edenico preso dal desiderio di diventare
divino come il suo creatore. L'evirazione del tale della Meridiana
in questione – mettiamola così – è stato dettato inconsciamente da
un suddetto impulso “vestito” da un desiderio di giustizia di sani
costumi.
|
Illustrazione 8: Meridiana della Scuola Media di
Grammichele |
Resta l'altra questione di Pi
greco di un altro mondo? Anche qui è sempre un velame che
avvolge il presunto vero: crederci o no?
Pi greco sembra che
provenga da una costellazione diversa da quelle zodiacali che sono
dodici. È la costellazione del Serpentario e risulta da una
meridiana che ha fatto scalpore (illustr. 8) e che si trova nella
scuola media di Grammichele.
Per lo meno abbiamo qualcosa che
è sotto questi velami, ma basta un tocco quasi da maghi , meglio da
“geometri”, per mettere a nudo ciò che meraviglia, che stupisce e
che nemmeno si pensava.
Perciò senza indugio mostro,
quasi con orgoglio l'immagine dell'illustr. 10 seguente, la “spada
nella roccia” di Grammichele promessa sin dall'inizio di questo
scritto, che è adombrata nella Meridiana anzidetta.
La “spada”, naturalmente,
è Pi greco che è insita nella Quadratura del cerchio
che si delinea simbolicamente col cerchio esterno, con buona
probabilità, la fascia zodiacale, comunque il mondo sidereo, e con
il quadrato in rosso la terra con meridiani e paralleli, la
supposta prigione del rettore del tempo. Come a unire nella
perfezione il Cielo con la terra, argomentata dalle congetture
esoteriche di R. Guènon dette in questo scritto.
|
Illustrazione 9: La Meridiana di Piazza Carlo Maria
Carafa di Grammichele. La Quadratura del cerchio. |
E se immaginiamo che l'essere
posto all'interno della sfera armillare, la terra, apparentemente
prigioniero (ma non è che per i profani), sia Saturno il dio degli
antenati siculi, gli “uomini della falce” (che è anche la
falce di Saturno), conveniamo, in seguito all'intervento di
alcuni di Grammichele indisposti alla esagerate dimensione del suo
organo virile, che ha subito in una certa misura, l'onta del padre
Urano che, secondo il mito, egli evirò.
Tuttavia l'evirazione è quanto
basta, risultando l'organo nella norma, da far valere virilmente la
forza persuasiva di Pi greco “sceso in terra” per
vivificare Saturno. Questo essere incarna l'essenza terrena
dell'uomo, dunque non è un prigioniero come sembra. Egli anima gli
uomini intesi come terrosità e le cose terrene, attraverso la
immaginaria “spada” matematica, Pi greco.
Un tempo, nei primordi, Saturno
insegnò l'arte di lavorare la terra, giusto l'indirizzo imposto dal
Creatore dell'uomo così come ci viene detto nella Genesi biblica.
Ora è tutto per la scienza perché l'uomo si svincoli dalla sua
atavica inconscia ignoranza e giunga a dar corpo ai suoi
interrogativi sulla vita.
Tutto torna per mostrare di
Saturno il suo legame col cielo, proprio, attraverso la direzione
indicata dallo Gnomone bronzeo della scultura che punta il
sommo della Chiesa Madre di Grammichele lì sullo sfondo in
prospettiva. L'ombra dello Gnomone punta il sagrato di questa
Chiesa perché vi si accosti. Non è così realmente ma l'immagine
appiattita ce lo fa credere ed è ciò che conta per i messaggi che ci
giungono, come quello della musa siracusana Maria Intagliata.
Nell'Appendice che segue mostro tre argomenti con i quali si
capirebbero i possibili legami di Saturno con il cielo metafisico,
quello astrofisico ed una insondata terra metafisica immaginata
dall'autore.
Di seguito mostro letteralmente
Pi greco in persona! Non dico di più.
Appendice
Arcangeli e astri
Una lunga disputa
C'è sempre stata in tutti i tempi
la tendenza di accomunare gli Angeli agli astri, ai Pianeti o alle
Costellazioni. Forse perché l'Angelo, in quanto creatura di luce,
proveniente dalle profondità degli spazi celesti, genera nella mente
umana questo tipo di associazione.
Nella concezione primitiva
dell'universo, nulla potrebbe muoversi di propria volontà se non
spinto o trascinato dalla volontà divina,
pertanto i testi biblici parlano a più riprese del mutuo rapporto
fra Angeli e astri. Sant'Agostino e San Gregorio, hanno addirittura
dichiarato che: “I corpi celesti si possono considerare mossi da
creature spirituali che si chiamano Angeli o intelligenze, o
intelletti separati”.
Anche Paolo V, scrisse nella sua
Bolla: «Non si potrebbe mai esaltare troppo questi Sette Rettori
del mondo, rappresentati dai sette pianeti... È stato di
consolazione e di buon augurio per questo secolo che, con la grazia
di Dio, il culto di queste sette luci ardenti, di queste sette
stelle, sta riguadagnando il suo lustro nel mondo della cristianità».
Forniamo pertanto, facendo
riferimento a varie fonti, il nome degli Arcangeli, il pianeta ed il
giorno della settimana ad essi
correlato.
Michael |
Sole |
Domenica |
Gabriel |
Luna |
Lunedì |
Samael |
Marte |
Martedì |
Rafael |
Mercurio |
Mercoledì |
Sachiel |
Giove |
Giovedì |
Anael |
Venere |
Venerdì |
Cassiel |
Saturno |
Sabato |
Uriel |
Urano |
|
L'Arcangelo Cassiel
Cassiel segue con occhio
amorevole gli anziani, coloro che come lui, hanno portato avanti il
loro compito ed assistono da spettatori e non più da guerrieri, allo
svolgersi degli eventi. Sempre sotto il dominio di
Cassiel, denominato anche “Angelo del Silenzio”, troviamo
tutto quanto è nel sottosuolo, miniere, giacimenti, rocce, argilla,
ecc.
Cassiel sovraintende al
Regno minerale che, silenziosamente ed in tempi lunghissimi, si
evolve nella lunga ed incessante marcia “dalle tenebre alla Luce”,
che del resto è condivisa anche da tutti gli altri Regni, compreso
quello umano.
L'Arcangelo Cassiel è il
dominatore della sfera di Saturno reggente del segno del
Capricorno.
Sulla superficie di Saturno
scoperto un enorme esagono
Gli scienziati americani hanno
scoperto nell'emisfero settentrionale di Saturno un enorme esagono
dal diametro superiore ai 25.000 chilometri.
Le immagini digitali di altissima
qualità che ritraggono il misterioso esagono sono state trasmesse a
terra dalla stazione interplanetaria statunitense “Cassini”,
e di fatto stanno a confermare l'esistenza di questa strana
struttura scoperta per la prima volta 26 anni fa da un'altra
stazione interplanetare, il “Voyager”.
|
Illustrazione 10: L'esagono di Saturno |
Grazie alle nuove immagini, gli
scienziati hanno stabilito che l'enorme esagono si trova a più di
100 chilometri in profondità dell'atmosfera di Saturno. “Si
tratta di una formazione alquanto strana, formata da sei parti
praticamente uguali l'una all'altra”, ha raccontato Kevin
Baines, scienziato del Laboratorio di movimento reattivo a Pasadena,
in California. - “Gli scienziati finora non avevano mai osservato
qualcosa di simile sugli altri pianeti”, ha poi sottolineato
Baines.
La stazione interplanetare “Cassini”
era stata lanciata nello spazio nel 1997, per poi entrare
nell'orbita di Saturno nel dicembre del 2000.
I Segni della Terra
Il paradigma delle surrealtà
della topografia terrestre
Sembrerà incredibile e nuovo da
sentirsi ma la terra non la si conosce abbastanza, se non attraverso
tutto ciò che la scienza ha sondato e studiato a menadito. Ma non è
stato abbastanza da scoprire di lei, con sorpresa, miriade di
configurazioni attraverso la sua topografia. Immaginazioni
suggestive, come quelle dei racconti e delle favole si potrà dire,
ma non tanto da far sorgere in alcuni reali possibilismi di concreti
fondamenti per tenerne da conto. Altri diranno sorridendo che è
magia, come quella dei chiromanti che, al posto di leggere la mano
della gente, legge la terra con le tante sue linee di morte vita e
miracoli. Tuttavia, scherzi a parte, la terra vista così
effettivamente dimostra di essere come viva e, da mirabile ed
impareggiabile artista, dipinge immagini di sé come meglio crede: a
volte allegoricamente, altre in modo che sembra reale. E non
occorrono doti magiche per togliere il velo di Gea, la terra, per
mettere in mostra la sua immaginaria surrealtà imprevedibile. Basta
solo la docile mano di un giovane studente, una matita ed una gomma
ed ecco che da una cartina di un paese
– per esempio
– come quella
accanto (illustr. 11), si presentano alla vista rappresentazioni
coerenti, che fanno pensare.
|
Illustrazione 11: Disegno dell'autore tratto dalla
mappa di Brescia |
Un matematico direbbe che è
topologia bella e buona, la scienza esatta come lui la definisce. La
topologia intuitivamente, in matematica, è lo studio di quelle
proprietà degli enti geometrici, le quali non variano quando questi
vengono sottoposti a una deformazione continua cioè, ad una
trasformazione della figura tale che punti distinti rimangono
distinti, e punti vicini cambino in punti vicini.
Ma il termine di topologia è
usato anche in altri modi: per lo studio del paesaggio dal punto di
vista morfologico; in linguistica per lo studio relativo alla
collocazione delle parole nella frase; ed ancora.
Sembra complesso e astruso
ragionare in topologia, eppure nel caso delle configurazioni in
discussione è come un semplice gioco, simile a quello per bambini
della Settimana Enigmistica, “Che cosa apparira?”, o l’altro,
“La pista cifrata”, solo che qui occorre immaginare i puzzle
da annerire e le cifre da seguire.
Ecco, ora immaginate che la terra
veramente presenta di sé configurazioni che non si contano
– non si potrà
spiegare come –
per dimostrare che essa vive interagendo a tutte le attività di
superficie, soprattutto per opera dell’uomo. Non è poi tanto
fantastica l’idea che gli uomini rivestano, in seno alle
configurazioni i discussione, la funzione più importante della terra
vista in questo modo, quella del cervello. Ragionando in questa
prospettiva si imparerà così a vedere che le costruzioni umane, i
fabbricati, le strade, le grandi vie di comunicazione e ogni altra
cosa sono forze che nascono, crescono e muoiono. E poi, quando tutto
manca per credere in ciò che ho postulato sulla presunta surrealtà
terrestre, ebbene non dispiacerà sentire e vedere un insolito modo
di fare arte, fuori dalle numerose concezioni note. Ed ecco una
spiegazione che si può accettare sul conto di un certo paradigma che
vi può attenere e così impostare un discorso in merito ed affermare
di conseguenza se
cambia il paradigma cambia la società. Giusto anche lo scopo di
tutti i lavori degli antichi alchimisti che operavano nel mistero.
C’è un filo sottile,
praticamente invisibile, che lega ogni forma di cambiamento. Si
produce un vero cambiamento quando si riesce a modificare il
paradigma di base che influenza, controlla e domina lo sviluppo del
pensiero logico-razionale finalizzato ad affrontare i problemi della
vita e dell’esistenza.
«Il paradigma svolge
un ruolo allo stesso tempo sotterraneo e sovrano in ogni teoria,
dottrina o ideologia. Il paradigma è inconscio, ma irriga il
pensiero cosciente, lo controlla e, in questo senso, è anche
sovracosciente. Il paradigma istituisce le relazioni primordiali che
si costituiscono in azioni, determina i concetti, domina i discorsi
e le teorie...». (E. Morin)
Ho
fatto capire come ho potuto eseguire tanti disegni traendoli dalle
mappe di centri urbani, ma anche di aree geografiche, come stati e
continenti, e che ho chiamate
surrealtà mappali,
ma anche
cartografie astrali.
Uno
di questo genere di disegni riguarda Grammichele che, per la
caratteristica forma mappale che somiglia ad un calice esagonale
munito di piedistallo, in atto di far versare il contenuto (sembrano
addirittura che si configurino, in alto le dita di una mano e in
basso il pollice dell'altra mano), l'ho legato alla famosa Coppa del
Graal delle sage arturiane che ebbero inizio con l'episodio centrale
dell'estrazione della “spada
dalla roccia”
accennata all'inizio di questo scritto.
Grammichele e la Coppa del Graal
|
Illustr. 12: Planimetria di Grammichele (Ct) |
Mi
si dirà, a questo punto, che ora sto lavorando di fantasia
nell'esibire delle cose prive di sostegno. Ma in questo scritto mi
sono occupato anche di cose oggetto di ragionamenti metafisici,
riferendomi alla concezioni esoteriche di René Guènon, dunque non
guasta, questa volta che io mi disponga a proseguire su questa
strada con personali concezioni attraverso i tanti miei disegni
tratti dalle città ed altro della superficie terrestre.
Giusto, nel caso del supposto calice intravisto nella planimetria di
Grammichele, peraltro senza che io abbia aggiunto o tolto alcuna sua
linea, per arrivare alla presenza del Santo Graal. Per questo mio
intento mi avvarrò dell'esoterismo dell'Antroposofia di Rudolf
Steiner, in stretta relazione all'arcangelo Michele, presente nella
scienza antroposofica steineriana e come patrono di Grammichele di
Sicilia.
Nel
libretto di Bernard C.J. Lievegoed, «Le
correnti di Misteri in Europa e i nuovi Misteri»,
edito da Antroposofia Milano, il Graal viene presentato come una «cosa»,
appunto, poi una «pietra»
e infine un «calice».
Perciò la «cosa»
risulta collegata al «calice»
che, chiaramente, porta al mistero del sangue di Cristo, lo stesso
calice dell'ultima cena. Ecco il punto di partenza della leggenda
intorno a questo calice che viene portato da Giuseppe d'Arimatea,
dopo avervi raccolto il sangue che fluiva dalle ferite mortali del
Cristo crocifisso, in Europa fino a comparire in Inghilterra. Il
resto ci è pervenuto attraverso la saga leggendaria di re Artù e dei
cavalieri della Tavola rotonda.
Non
escluso, di conseguenza, un tutto frammischiato nelle concezioni
locali legate a magici fatti in cui troneggia il noto mago Merlino e
la fata Morgana. Ma senza farci deviare da tutto ciò, quel che vale
è risalire all'argomentata «cosa-pietra-calice-graal»
sede di uno fuoco vitale alla base, appunto, della vita sulla terra:
la «Fenice
risorgente dalle fiamme»
in continua evoluzione.
Ecco che si illumina la mente nel capire che con Artù, che in
irlandese si dice Earth, dal significato di roccia o terra e che i
greci intravedevano nella dea Gea e i romani in Tellus la dea
analoga della fertilità. Naturalmente l'uomo del tempo antico aveva
bisogno di antropomorfizzare simili divinità ed ecco un vero Artù,
personaggio storico capace di assomigliare al “domatore” della forza
attiva riposta nella terra, un certo drago da uccidere ed incarnarne
i poteri. Perciò l'estrazione della leggendaria «spada»
dalla roccia a questa concezione porta. Ma è vero anche che si
tratta di un potere, come di un fiore (l'emblema della rosa dei
Rosacruciani per esempio), che è potuto spuntare in diverse altre
parti della terra.
Ed
ecco che si fanno strada storie e leggende come quelle che
coinvolgono la Sicilia quale fantastico luogo d'arrivo del migrare
delle cose graaliche legate al «calice»
del sangue di Cristo che in prima istanza lo vedono posto presso il
pozzo, cosiddetto sul posto «Chalice
Well»,
adiacente all'Abbazia di Glastonbury non tanto distante dalla
capitale d'Inghilterra, Londra.
Si
suppone persino che sia opera dei Normanni questo misterioso
trasbordo, confermato anche da una nobile leggenda sul conto di
Ruggero il Normanno che liberò la Sicilia dalla dominazione araba.
Di conseguenza non poteva mancare in Sicilia lo scenario legato al
re Artù “visto”
ai “piedi
dell'Etna”,
non senza quello della fata Morgana sempre premurosa per il fratello
e amante Artù ferito mortalmente in uno scontro con il figlio
Moldred nato dall'unione incestuosa con lei.
Non
fanno meraviglia queste fantastiche concezioni perché ricorrono nei
fatti saturni ossia tellurici, come quella del mito greco latino
relativo a Era, Saturno e Giove. E così la famosa collina di
Glastonbury, ove sembra fosse stato posta la tomba di re Artù,
diventa il focoso Etna come a far delineare una corrente d'un fiume
che riceve un affluente ingrossandosi.
La
leggenda, poi, perfeziona ogni cosa con Morgana che si insedia nei
paraggi, tra l'Etna e lo stretto di Messina, nel mare, il suo
elemento congeniale, e naturalmente non manca di costruirsi un bel
palazzo di cristallo.
Morgana troneggia così in questo tratto di mare che diventa infido a
causa sua. In modo leggendario viene dipinta così la sua arte
ammaliatrice. Ella esce dall'acqua con un cocchio tirato da sette
cavalli e dovuto alla rifrazione dei vari strati di aria del posto.
Gettando nell'acqua tre sassi, fa diventare il mare come un
cristallo capace di riflettere immagini di città distorgendo la
realtà.
E
così, grazie alle sue abilità, la fata Morgana riesce a fuorviare il
navigante che, ingannato dall'illusione prodotta dal movimento di
immagini inesistenti in quel punto visivo, crede di approdare a
Messina o a Reggio, ma in realtà naufraga nelle di lei braccia.
Sappiamo oggi che si tratta di un fenomeno ottico che si ammira
spesso nello stretto di Messina e nell'isola di Favignana a causa di
particolari condizioni atmosferiche. Infatti desta la curiosità
turistica il fatto di guardare da Messina verso la Calabria e vedere
come sospesa nell'aria l'immagine di Messina e, viceversa, guardando
da Reggio Calabria verso Capo Peloro, si vede nello stretto Reggio.
E' un fenomeno della fisica ottica che a scuola si impara a capirlo
ed è chiamato appunto «fata
morgana».
Ora
mi preme riallacciarmi al pensiero steineriano, lasciato in sospeso,
che non ho espresso bene per spiegare il suddetto supposto
trasmigrare del Graal in Sicilia che io localizzo a Grammichele.
Sempre attraverso quel libretto, dell'Antroposofia di Milano sopra
menzionato, nell'introduzione si parla delle correnti dei misteri e
per quel riguarda il nostro caso, limitando la cosa, sono messe in
risalto le correnti, cosiddette orientali precristiane portatrici
della saggezza, che dopo il mistero del Golgota con l'elevazione del
Santo Graal, poterono collegarsi con le correnti occidentali della
chiesa iro-scozzese. Questo avvenne nell'anno 869 grazie all'azione
di Parsifal divenuto re del Graal quale cavaliere di Artù.
«Da
allora
- si legge testualmente -
questa fusione di
Parsifal col Graal attende di collegarsi con gli altri misteri. Gli
uomini che erano inseriti in queste correnti si sono preparati
insieme anche ad altri nella sfera solare durante il periodo fra
morte e nuova nascita sotto la guida di Michele, l'arcangelo solare.».
Detto questo, mancherebbe ora il filo conduttore per cominciare a
prendere sul serio la concezione suddetta dell'incontro della
corrente orientale e occidentale con quella italica di marca romana.
Mi giova esaminare un lato interessante del Movimento dei Druidi in
Inghilterra che tiene in gran conto la storia graalica legata
particolarmente a Glastonbury di cui si è parlato in precedenza. Si
tratta del fatto di averle concepite attraverso la madre terra con
configurazioni intravisibili attraverso la topografia locale.
Questo, come si vedrà, giustificherebbe la mia stessa e più
approfondita visione del mondo astrale secondo la concezione
esoterica che io ho preferito definire della «surrealtà».
Ma non manca, del passato della nostra Italia, una concezione
analoga. Scavando nel passato emerge la storia di Opicino de
Canistris, un prelato di Pavia nato il 24 dicembre 1296 a Lomellina
(PV). Fu attivo presso la corte papale di Avignone. Di lui si sa che
si distinse come cartografo, ma soprattutto come cultore di
astrologia e studioso delle tradizioni popolari delle sua natia
Lomellina. Disegnò un gran numero di carte antropomorfizzate e
generalmente intese in senso “morale”. Attratto dalle credenze della
mitologia celtica si divertì a tradurle in latino insieme alle
storie longobarde.
I due Leoni cibernetici
L'alfa e l'omega, pi greco e la
sezione aurea, di una matematica ignota
Aver intravisto il segno di Pi
greco nella scultura di piazza Carlo Maria Caraffa di
Grammichele, la Meridiana, non è aver visto di persona questo
numero, “fantasma dell'opera” in seno alla Matematica la
scienza dei numeri e linee, se se ne accetta la traslazione. Tant'è
che occorrerebbe sapere con precisione le misure del cerchione di
bronzo relativa alla geometria della Quadratura del cerchio,
per avere, in un certo qual modo, la prova di una buona
approssimazione al valore giusto della relativa geometria esibita da
me. E così accettare la spiegazione che è stato il “caso” (e non un
incredibile scherzo) ad aver predisposto lo scultore (che non ha
detto nulla della supposta Quadratura del cerchio, quindi non
ne sa nulla) a concepire ogni cosa.
Tanto meno valgono tutti i “segni”
del cielo mistico (l'arcangelo Cassiel relativo a Saturno),
di quello sidereo (l'esagono del pianeta di Saturno) ed
infine della superficie terrestre, le mie cartografie mappali
terrestri che ho chiamato surrealtà.
Insomma diremo in coro che tutto
ciò è indubbiamente attrattivo ma è solo un insieme di prove
aleatorie, per ammettere la venuta a Grammichele di Sicilia di un
certo “messia” ma di natura matematica, giusto peraltro
l'accostamento con il Cavaliere dell'Apocalisse con “scettro
di ferro”. Senza contare l'amica Maria Intagliata prof. di
matematica della Siracusa di Archimede che, dal canto suo mi dice: «Chissà
che non ci ritrovi ancora il Pi greco nella “scultura in ferro” di
questa piazza di Grammichele! Scusami per lo scherzo»,
mostrandomela ma con la visione di una panchina di ferro davanti
alla Chiesa Madre.
Come a invitarmi a sedermici e dispormi a meditare sulla scultura in
questione, la Meridiana, lì non tanto distante. In apparenza come “a
menar il can per l'aia”, però non sappiamo quali sono i giochi
nel mondo del mistero.
Ma ho già detto nel presentare
gli argomenti di appendice:
«Di seguito mostro letteralmente
Pi greco in persona! Non dico di più.»
Ma è da tempo che Pi greco
“in persona” mi è familiare per aver scritto un libro su di lui e
dato alle stampe a fine 2008, in edizione E-Book. Si intitola I DUE
LEONI CIBERNETICI con questo sottotitolo: L'alfa e l'omega di una
matematica ignota, pi greco e la sezione aurea.
Questa di seguito è una
recensione del libro tratta dal web:
Cosa sono i due Leoni Cibernetici
citati nel titolo di questo libro? Sono il Leone Verde e il Leone
Rosso che ogni studioso di alchimia conosce; il Leone Verde è il
solvente universale, l’Alkaest, termine usato per la prima volta da
Paracelso, probabilmente derivante dal tedesco All Geist
(spirito universale), una sostanza che aiuta il processo di
dissoluzione della materia, il passaggio tra solve e coagula per il
compimento della Grande Opera.
Però il Leone Verde è verde non
per il suo colore, ma per essere ancora un frutto “verde e acerbo, paragonato al
frutto rosso e maturo. E’ la giovinezza metallica, sulla quale non
ha ancora agito l’Evoluzione, ma che contiene in sé il germe latente
di una energia reale, che più tardi sarà destinata a svilupparsi” e diventerà oro alchemico, il
Leone Rosso.
Che cosa c’entrano queste fasi
del processo alchemico con la matematica di cui il libro tratta?
C’entrano, perché Gaetano Barbella, con un arditissimo collegamento,
li accosta a due concetti matematici: il pi greco e la
sezione aurea.
Il pi greco è un numero
che tutti conosciamo dalle scuole medie: il 3,14 che ci permette di
calcolare la superficie e la circonferenza di un cerchio. L’altra,
la sezione aurea, è più complessa: indica il rapporto fra due
diverse misura, in cui la maggiore è medio proporzionale tra la
minore e la loro somma. La sezione aurea è ben conosciuta nel
campo delle arti, perché viene considerata la divina proporzione,
una misura ideale di bellezza e armonia. Gli artisti si sono
uniformati a questo canone in pittura, scultura, architettura e
musica e questo permette il passaggio verso la geometria sacra. E di
geometria sacra, non di semplice matematica, ci parla l’autore che
tenta di avvicinare il sapere esoterico antico alla scienza moderna.
Ecco che compaiono i due leoni cibernetici, rivisitati e corretti
secondo canoni matematici.
Chi legge questo libro viene
letteralmente travolto da una serie di operazioni matematiche (non
temete, sono spiegate passo per passo in maniera tanto facile da
essere comprensibili perfino a chi ben poco se ne intende), fino
all’imprevedibile conclusione. Imprevedibile solo per chi fosse
abbarbicato a vecchi concetti, ma perfettamente lineare per chi
seguirà il ragionamento: dopotutto, la matematica non è un’opinione.
Ma non aspettatevi pagine e
pagine di assurde speculazioni metafisiche: questo è un libro di
matematica, tanto rigoroso da accontentare il più fanaticamente
purista degli accademici.
Nonostante la sua ortodossia,
però, per chi si interessa di esoterismo è troppo ghiotto il boccone
dell’accostamento con le nozze alchemiche dei due Leoni e non ci
vorrà molto a vedere nelle “sfere impacchettate” un campo di energie
misteriose che, forse, sarà possibile studiare e controllare. E
qualcuno potrebbe andare oltre e ricordare che Pitagora considerava
la matematica una scienza universale, che si esprimeva nella
geometria, nell'astronomia, nella musica e nella cosmologia,
riportando tutto al numero, il numero all’armonia universale. Che
Abellio dava valore esoterico alle ventidue lettere dell’alfabeto
ebraico ottenendolo dal numero di lati del poligono che a ciascuna
corrispondeva. E che per Spinoza l’intuizione della proporzione
geometrica era sub specie aeternitatis.
Il libro è presentato nel mio
sito e il link è questo:
www.webalice.it/gbarbella/
Ma è presente anche sul web un
po' diffusamente.
Un
velato appoggio dell'Accademia
Resta la lezione derivante
dall'epigramma iniziale, che non è tanto rivolta a Grammichele,
anche se ne ho fatto cenno, potrebbe rientrare e me lo auguro tanto,
ma per i matematici dell'Accademia.
E se dico così è perché mi sono
dato da fare per avere appoggi di amici accademici della matematica
in relazione al libro suddetto, ma senza alcun risultato
soddisfacente.
Tuttavia, se è vero che il
ricercato appoggio da parte dell'accademia non ha avuto esito
positivo, una cosa buona si è rivelata perché, nel sondaggio, è
rimasto impigliato a mio favore un velato O.K. appena, appena
concepibile.
Per dimostrarlo esibisco di
seguito la corrispondenza di posta elettronica per una verifica del
libro con un amico matematico, il prof. B., docente di matematica
presso alcune Università italiane. Per discrezione ometto l'identità
e vale perciò la mia parola.
31.10.07
(B. a T. e a Me) Caro T.,
da diversi anni sono in contatto
con un autore di interessanti cose matematiche, non accademico, ma
assai esperto, Gaetano Barbella. Qualche tempo fa mi ha inviato il
suo ultimo lavoro (“I due leoni cibernetici di sphere packing”
)
ma, a causa dei miei viaggi prima in Colombia ed ora in Brasile, che
tu sai bene, contrariamente al mio solito ci ho messo un bel po' a
leggerlo; anche perché è di lettura non agevole data la densità
degli argomenti trattati. Il fatto che non sia di professione
matematico, fa sì che il linguaggio di Gaetano, affascinante e
chiarissimo, sia però da interpretare a volte, il che certo ad un
lettore esperto non dà affatto fastidio.
Vengo al punto, caro T..
Non mi sento certo di poter
esprimere un giudizio, soprattutto perché Gaetano affronta temi di
"Matematiche elementari" (la disciplina il cui nome è legato al
grande Felix Klein che di “elementare” ha solo il titolo; dico a
Gaetano, se per caso non conoscesse questa dizione, che significa
solo che non sono usati, nelle presentazioni, di solito, strumenti
aventi a che fare con il calcolo differenziale) a me poco noti; o,
meglio: li conosco come li può conoscere un matematico non
specialista in queste cose. Ho dunque il terrore di non riuscire a
cogliere la vera portata del lavoro di Gaetano, essendo poco ferrato
nei campi che lui tratta con tanta perizia. Gli ho dunque chiesto il
permesso di poter coinvolgere in questa lettura anche te che,
invece, sei assai più esperto di me; e Gaetano mi ha dato parere
favorevole.
Ordunque: io ti invito, nei
limiti del poco tempo che hai, lo so bene, a voler dare un'attenta
lettura a questo testo, per aiutare me soprattutto, e Gaetano poi, a
verificare i suoi risultati ed a valutarne l'importanza. Ti posso
passare il testo che ho già in mano io, venerdì, quando ci vediamo
al convegno; oppure, se preferisci e se Gaetano è d'accordo, lui ti
può mandare il testo completo, così poi ne possiamo discutere a
distanza, avendolo sott'occhio entrambi. Naturalmente, se non hai
tempo, dicci pure di no e noi ti capiremo.
Un caro saluto con un arrivederci
a dopodomani,
B.
ed un saluto caro a Gaetano.
(B. a T.) [...] Ti
posso passare il testo che ho già in mano io, venerdì,
quando ci vediamo al convegno; oppure, se preferisci e
se Gaetano è d'accordo, lui ti può mandare il testo
completo, così poi ne possiamo discutere a distanza,
avendolo sott'occhio entrambi. Anch'io, come tutti, ho i
miei limiti: e non solo di tempo. Ne riparliamo a C..
A presto, T.
(B. a T.) OK, allora
io porto comunque la mia copia al convegno e, almeno, te
lo mostro.
B.
(B.) OK, caro
Gaetano; se T. ce la fa, è una bella sicurezza!
Caro Gaetano,
ho passato la copia del tuo
interessante lavoro al collega prof. C. (T.) P. il quale lo leggerà
per poterne poi discutere insieme.
I saluti più affettuosi.
Ciao B.
(Me) Caro B.,
non hai espresso l'opinione ma
l'hai fatta capire anche se incerta. Altrimenti non avresti
coinvolto il prof. C., per quanto tanto amico.
Debbo pensare che il mio lavoro
ha gli ingredienti, per qualcosa di veramente serio. O no?
Ricambio i saluti affettuosi,
Gaetano
(B. a Me) Esatto, solo che io non
ho gli strumenti per darti soddisfazione; e invece voglio che tu ce
l'abbia. Se coinvolgo anche lui e si convince, vedremo poi.
Un caro abbraccio
B.
(Me) Caro B.,
ti sembrerò petulante e mi scuso,
ma puoi capire la mia impazienza poiché vedo volare il tempo senza
barlumi sul mio libro in cerca di editore. Sono sulle spine e mi
solleverebbe sapere qualcosa di nuovo e promettente in merito.
Cordialità, Gaetano
(B.) Caro Gaetano, lo so, lo so
benissimo; ma il mio collega, dopo una frase generica: “Ci ho visto
cose interessanti”, ha ahimè aggiunto: “Ma devo trovare il tempo per
guardarci bene”. Io posso spingere un po', ma potrebbe essere
controproducente. Un mio libro è dall'editore da maggio; ho chiesto
come va, e mi ha risposto: “Figurati, non l'ho ancora aperto”.
Siamo nelle stessa barca!
B.
(Me) Caro B.,
mi stavo apprestando a
risponderti ma improvvisamente il computer è andato in tilt. Ho
temuto per il peggio ma sembra che si sia compromesso solo
l'alimentatore. Ora uso il computer dei miei ragazzi.
Non te la prendere per il
contrattempo del tuo amico e collega. Se non altro ora sappiamo per
bocca di un esperto, come dici tu, che le mie teorie sono
“interessanti”. È già qualcosa! E non mi meraviglia che per questo
genere di cose il tempo non è per niente favorevole. In fondo le mie
teorie al vaglio sono veramente molto fuori dall'ordinario.
Ciao Gaetano.
Gaetano Barbella
Brescia, 1°luglio 2010
Note
[3] Francesco
Lenormant, La Magna Grecia, vol. I, capit. V., Ediz.
Frama Sud S.p.A. (CZ).
[9]
Paolo Zellini, GNOMON (Una
indagine sul numero), Ed. Adelphi Milano, 1999
[19] Jennifer
Westwood,
Atlante dei luoghi misteriosi,
ediz.Euroclub
[20] www.liutprand.it/capro.htm
[23] I
due leoni cibernetici di sphere packing,
era il primo titolo poi semplificato in I due leoni
cibernetici, più il sottotitolo.
|