Pensiero Meridiano

L’accidia, il peccato del silenzio

di Nicola Lo Bianco

“Accidia”, uno dei sette “vizi”, anche se poco conosciuto e riconosciuto, definiti capitali, perché spesso contribuisce non poco all’affermazione e al permanere di mali inaccettabili. Potremmo definire l’accidia, come anche l’ignavia, il “peccato del silenzio”: silenzio interiore e silenzio diffuso che occulta il male e perciò lo rende possibile e gli consente di radicarsi.

La parola viene dal greco “akedìa” che propriamente significa “negligenza”, termine che riassume tutti i possibili risvolti negativi di un determinato atteggiamento intellettuale e morale: disinteresse, indifferenza, trascuratezza, indolenza, pigrizia, ecc.

Un’inerzia spirituale accompagnata da incredulità e scetticismo.

Dante definisce gli accidiosi anime “tristi”(Inf. c. VII), chiuse cioè nello squallore del loro animo fiacco, e ce le mostra immerse nelle acque torbide e fangose del fiume infernale Stige.

Affine all’accidia è l’ignavia, una distratta apatia di fronte al bene come di fronte al male, come un’assenza di coscienza che fa dire al Poeta “questi sciagurati che mai non fur vivi”. (Inf, c. III)

Nell’antica Grecia gli accidiosi passerebbero per “idioti”, individui cioè che vivono distaccati dalla comunità, che non hanno il senso della societas, ignoranti e inetti a partecipare alla cosa pubblica.

E invero anche questo “vizio” capitale, come del resto tutti gli altri, nasce da una concezione radicalmente individualista, che, nella vita pratica ai livelli più bassi, si traduce in menefreghismo.

L’accidioso si preoccupa solo delle sue faccende personali, volta le spalle a tutto ciò che è di interesse pubblico, ha scarso senso del dovere civico, e, nell’ambito lavorativo, tende a trascurare anche quei piccoli impegni che risultano utili agli altri. La cosa pubblica la prende in considerazione solo se in relazione diretta e concreta con il suo privato tornaconto.

Dalle mie parti c’è un modo di dire che riassume compiutamente il comportamento dell’accidioso: la prima domanda che gli sale alla mente è: ”è cosa mia?” , se non è “cosa mia” può andare tranquillamente alla malora.

Dante, della folla immensa degli ignavi, dice che “non avrei mai creduto/che morte tanta n’avesse disfatta”(Inf. c. III), a sottolineare quanto grande è la moltitudine di coloro che “per sé fuoro”, di coloro cioè che non partecipano in alcun modo al bene, che è sempre bene pubblico, cioè un ben fare verso gli altri.

Il ben fare, la partecipazione al bene comune, può essere, si capisce, anche il rispetto puntuale delle buone regole della convivenza civile. Intendendo per “convivenza civile”, tutto ciò che non solo non arreca danno, materiale e morale, ma anche contribuisce alla salvaguardia del bene comune.

Le parole di Dante sembrano confermare l’idea che accidia e ignavia sono “peccati”, diciamo così, “di massa”, nel senso che sono i più diffusi ed i meno avvertiti. Ma anche, in una società di massa, i più pericolosi, perché portano ad adeguarsi acriticamente alla situazione di fatto qualunque essa sia.

Nella mente dell’accidioso bene e male sono principi trascurabili e perciò in genere sottovaluta o non prende in alcuna considerazione il male che si annida tra le pieghe di un potere che per sua natura, quando può, tende a violare i fondamenti della democrazia, se non anche i diritti inviolabili dell’uomo.

I regimi totalitari hanno potuto e possono compiere le loro nefandezze perché troppi furono e sono gli indifferenti, o troppo pochi quelli che fecero o fanno sentire la loro voce di opposizione morale ancor prima che politica.

Vien da pensare al silenzio riguardo ai campi di concentramento: l’accidia come l’ignavia, questo comportamento amorale, al di qua del bene e del male, ha certamente avuto la sua parte.

La fiacchezza morale quasi naturalmente si sottomette agli idoli dominanti e a questi delega orientamenti e principi.

Per non dire dei demagoghi che facilmente si accaparrano la credulità e la fiducia di quella massa di individui che non ha altra morale se non quella di salvaguardare a oltranza i propri interessi a discapito del bene comune.

Quando questi interessi, di potere, di privilegio, minacciano di servirsi della violenza, della sopraffazione, o anche della guerra, solo la rivolta morale senza compromessi, alta e diffusa, può in qualche modo frenare questa corsa alla distruzione.

Non a caso, papa Francesco condanna e mette in guardia contro la guerra, alla quale troppo spesso e facilmente ricorrono le cosiddette “grandi potenze”: è, a ben vedere, un avvertimento contro l’ “accidia”, un appello a tutti quanti gli uomini di stare all’erta, e di far emergere con passione l’etica dell’indignazione di fronte alla sopraffazione.

D’altronde, è forse il caso di ricordare che il Vangelo è tutto un canto elevato di contro all’ ”accidia”, contro la “negligenza” morale, che Gesù riassume nella radicalità dell’amore: <ama il prossimo tuo come te stesso>.

Che Pasolini, come si sa, traduce nella radicalità del suo contrario: <odio gli indifferenti>.

Nicola Lo Bianco


Testo trasmesso dall'autore, dicembre 2013

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