Le Pagine di Storia

Manifatture tessili in Sicilia in epoca normanna

di Astrid Filangieri

 

Alessandro, abate di S. Salvatore di Telese, racconta così dell’incoronazione di Ruggero II:

«…Fu tale la pompa che parve che tutte le ricchezze e le magnificenze del mondo si fossero riunite a Palermo. Le sale della reggia erano ricoperte di preziose tappezzerie, i pavimenti di tappeti di squisita fattura. Il nuovo re uscì preceduto da tutti i baroni e cavalieri del regno che incedevano a coppie, montati su superbi cavalli dai finimenti d'oro e d'argento; seguivano il monarca, i più autorevoli personaggi anch'essi riccamente vestiti e su cavalli magnificamente bardati. Giunto al duomo, Ruggero fu consacrato dagli arcivescovi di Benevento, di Capua, di Salerno e di Palermo e ricevette la corona dalle mani del principe di Capua. Alla cerimonia seguirono sontuosi banchetti in cui non fu usato altro vasellame che d'oro e d'argento; gli scalchi, i paggi, i donzelli e perfino i valletti che servivano le mense erano vestiti di tuniche di seta…».

Perfino i valletti erano vestiti di seta: questa frase sottolinea più delle altre la ricchezza e lo sfarzo che caratterizzarono l’avvenimento. Perché la seta era il tessuto più prezioso che esistesse.

Manto da cerimonia di Ruggero II d'Altavilla [1]

Bisanzio, grande produttrice di sete pregiate, limitava le esportazioni di questo prezioso tessuto, per tenerne alta la richiesta ed i prezzi. Le più pregiate, e su cui più stretto era il limite d’esportazione, erano le sete color porpora, colore simbolo dell’Imperatore d’Oriente. La tecnica e la decorazione dei tessuti ebbero origine dai tessuti sassanidi, copti e bizantini. Bisanzio era il centro di produzione di numerosi materiali pregiati le cui decorazioni erano caratterizzate soprattutto da soggetti religiosi. Inizialmente, tra il IV e il VI secolo, i tessuti furono prevalentemente importati da Damasco, Antiochia, Tiro e Sidone; successivamente la città si sottrasse al monopolio persiano e l’industria tessile ebbe un grande sviluppo. La produzione bizantina si fa risalire al VII secolo quando, secondo la leggenda, due monaci persiani, che erano riusciti a trafugare dei bachi dalla Cina, ne avevano fatto dono all'Imperatore Giustiniano. Dalla Grecia e dal Medio Oriente la seta giunse sino in Italia meridionale, in Sicilia e in Spagna, per mezzo dei traffici marittimi. Il vescovo di Cremona, Liutprando, in missione presso la corte imperiale di Bisanzio nel 968, disse che gli Amalfitani, che avevano botteghe e vere e proprie colonie nei Paesi del Mediterraneo e un po’ in tutta la penisola, avevano diffuso in tutta Italia i più preziosi drappi di porpora (prerogativa della corte imperiale), delle manifatture bizantine.

Camaleuco di Costanza d'Aragona [2]

In seguito iniziò la lavorazione della seta anche in Italia meridionale.

In Calabria sappiamo che divenne intensa la coltivazione del gelso e degli allevamenti di bachi da seta grazie all’apporto dei monaci basiliani. Anche in Sicilia il baco da seta era probabilmente già stato importato dai bizantini. E’ certo che la produzione tessile di vari materiali fosse notevole nel Meridione. Scrittori arabi del IX sec. affermano che a Messina, Girgenti, Palermo, Piazza ed altri luoghi erano in opera lanifici. Ibn-‘Awwan riferisce che Ibn- Fassal parla dei metodi praticati dai siciliani per la coltivazione del cotone su terreni aridi; e che gli stessi metodi erano stati adottati poi con successo sulle coste della Spagna.

Nel 975 l’emiro Albumumenin scrive all’emiro siciliano Chbir «… sul bastimento predato … si trovavano molti drappi assai più vaghi di quelli che si lavorano in Sicilia, giacché erano travagliati con maggiore esattezza, perché l’oro era più delicatamente filato, più lustro e più colorato di quello che si lavora in Sicilia» Il che ci indica che in Sicilia si era già raggiunta una lavorazione di tipo pregiato e tale da essere presa come termine di paragone.

Tra i tesori di Abda (X-XI sec.), figlia del califfo Moezz, vi erano numerosi drappi serici di Sicilia. Nel periodo di dominazione islamica erano attive officine, in particolare quella di Palermo, in cui si producevano tessuti di alta qualità. Infatti durante il dominio musulmano le stoffe di Palermo facevano bella mostra di sé nei mercati di Alessandria d'Egitto, di Napoli, di Amalfi e di Salerno, fin dal secolo IX. Ed è questa officina, che in arabo era chiamata Tiraz, in greco Ergasterion, in latino Nobiles Officinae, che i Normanni trovarono impiantata e che vollero mantenere in funzione, anzi ne potenziarono in vari modi la produttività e il prestigio. In essa si producevano tessuti, tappeti, oreficeria ed altri oggetti di pregio destinati all’uso della famiglia reale, dei notabili, come doni di ambascerie, ed in parte per l’esportazione in altri paesi. Si sa che il laboratorio di Palermo era annesso alla reggia, sebbene sia difficile stabilire oggi quale fosse la sua precisa collocazione nell’ambito dei vari settori che costituivano il complesso del Palazzo Reale.

Ottone di Frisinga racconta che nel 1147 la flotta siciliana al comando di Giorgio d'Antiochia approfittò della seconda crociata in Terra Santa per saccheggiare le città di Atene, Tebe, Corinto e la regione dell'Eubea. Furono trafugati ingenti quantitativi di preziosi manufatti e furono imprigionati un gran numero di artigiani della seta e di donne operaie esperte nella bachicoltura che furono deportati in Sicilia. “Ruggero li conduce a Palermo, capitale della Sicilia, e comanda che insegnino l’arte tessile ai suoi; così quell’arte esercitata, fra popoli cristiani, solo dai Greci, cominciò a prodursi anche fra gli indigeni latini”. Che all’arte fossero ormai addestrati non solo le maestranze arabe ce lo conferma Ibn Gubayr che dice di aver saputo in confidenza da un valletto del Tiraz che le giovani musulmane dell’opificio attraevano all’Islam i giovani compagni di nazione franca.

alba di Guglielmo II d'Altavilla

L’importanza di queste manifatture è costituita, oltre che dalla sterminata produzione, dalla creazione di un repertorio di caratteri grafici e di stili che risentirono di un patrimonio d’immagini confluite dall’Oriente e dal Medio Oriente e che s’intrecciarono con quelle cristiane. Gli stili si fusero, i motivi, come in altri rami dell’arte, risentirono delle culture di altri paesi. Il tramite per l’acquisizione dei motivi ornamentali furono gli stessi tessuti, e tutti gli altri oggetti di lusso importati, dall’avorio, ai metalli, ai rilievi marmorei. La persistenza dei tipi in aree così vaste e l’imitazione da parte dei primi produttori europei, costituisce oggi una delle ragioni della difficoltà di individuazione delle aree geografiche di produzione e dell’incertezza nelle datazioni oscillanti nell’arco di qualche secolo.

Nel periodo dei re normanni, la produzione raggiunse punte di vera eccellenza. Il tessuto non veniva solo operato, ma ornato e ricamato con l’ausilio dell’arte orafa. Dalla Sicilia, la grande tradizione della seteria palermitana si diffuse in molte località dell'Italia meridionale, in modo particolare a Napoli quando Federico II nel 1226 vi trasferì, per un periodo, la propria corte. Un laboratorio tessile era attivo anche nella colonia musulmana che Federico impiantò a Lucera.

Ugo Falcando in Storia della Sicilia, redatta prima del 1190, scriveva:

"Né conviene tacere delle nobili officine attigue al Palazzo, ove il filo serico colorito in matasse di vario colore viene poi impiegato nelle molteplici specie del tessere. Vi puoi infatti vedere come vengono eseguite con minor perizia e minor costo amita, dimita e trimita; ma anche le examita, che richiedono un maggior impiego di materia prima. Il diarhodon riverbera nel viso il fulgore del fuoco. Il diapiston, di color verdolino, blandisce gli occhi di chi guarda con la sua grata apparenza. Qui si producono gli exarentasmata, resi insigni dalla varietà dei cerchi, che richiedono agli artefici una maggiore industria e un più largo impiego di materiali, e che perciò meritano un maggior prezzo. Vi si vedono ancora molte altre cose di vario colore e ornati di vario genere, in cui l'oro si intesse con la seta, e la varietà di pitture multiformi viene posta in risalto da gemme lucenti; le perle vengono raccolte dentro ciste d'oro, o perforate e connesse con l'esile filo. L'elegante arte nel disporle accresce la bellezza dell' opera dipinta".

Astrid Filangieri

gennaio 2007


Note

[1] Questo manto da cerimonia fu indossato anche dai successivi Re normanni. L’iscrizione a caratteri cufici sul bordo del mantello - custodito al Kunsthistoriches Museum di Vienna - dedicata a Ruggero, dice: “Lavoro eseguito nella fiorente officina reale, con felicità e onore, impegno e perfezione, possanza ed efficienza, gradimento e buona sorte, generosità e sublimità, gloria e bellezza, compimento di desideri e speranze, giorni e notti propizie, senza cessazione né rimozione, con onore e cura, vigilanza e difesa, prosperità e integrità, trionfo e capacità, nella Capitale di Sicilia, l’anno 528 [del calendario arabo, corrispondente al 1134, N.d.R.]” (trad. Fr. Gabrieli).

[2] Il diadema detto di Costanza: il kamelaukion era un copricapo tipicamente maschile, il che ha posto alcuni interrogativi sul perché fosse nel sarcofago di Costanza d’Aragona. La tesi più comune è che fosse stato indossato dalla Regina di Sicilia per l’incoronazione ad Imperatrice. La fattura fa pensare che, come altri oggetti, provenisse dalle officine reali di Palermo, probabilmente faceva parte del corredo da cerimonia per l' incoronazione di Ruggero II.


Link per approfondimento


Bibliografia

  • Giuseppe Gargano; Clamide e broccato abbigliamento e stoffe in Amalfi medievale; De Luca Salerno

  • Cavallo; L’uomo bizantino; Edizioni Laterza

  • Storia dell’Arte;  Electa

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