per
mare e per terra
Mitchell James Kaplan
(Titolo originale By Fire, by Water, 2010)
Traduzione di Chiara Brovelli, Neri Pozza Editore,
Vicenza, collana I narratori delle tavole, Aprile 2011, pp. 320, €.17,00
Nel XV secolo, durante il regno di Isabella di
Castiglia e Ferdinando di Aragona, la Spagna vive uno dei periodi più
drammatici della sua storia. Il domenicano Tomàs de Torquemada,
capo della cosiddetta Nuova Inquisizione muove una persecuzione
durissima contro i Conversos (o Anusim, cioè costretti, o
Cristianos nuevos), gli Ebrei convertiti, per paura o
convenienza, al Cattolicesimo. Essi vengono sottoposti a stretto
controllo, perché costantemente in odore di accusa di praticare in
segreto la religione degli antenati.
Luis de Santàngel
-personaggio storico, cancelliere e sovrintendente della famiglia reale,
uomo di notevole fascino e cultura, vedovo da alcuni anni, con un figlio
adolescente (l’amatissimo Gabriel)- gode della fiducia dei sovrani, ma
vive un’esistenza caratterizzata da costante preoccupazione.
Infatti egli proviene da una famiglia di Anusim,
la cui conversione è fresca di sole tre generazioni, mentre, per
ritenersi al sicuro, occorre aver raggiunto il numero di sette, secondo
i cosiddetti “Statuti della limpieza del sangre”. Tace quindi a
tutti le proprie origini; così come non confida a nessuno lo studio,
intrapreso da qualche tempo, di antichi testi ebraici che, nel corso dei
secoli, hanno causato agli Ebrei odio e tormenti senza limiti.
In particolare oggetto del suo interesse sono misteriosi
manoscritti, giuntigli grazie a un capitano di vascello nativo di
Genova, il quale, nel 1481, aveva accompagnato lo stesso Luis a Roma in
un infruttuoso viaggio volto a convincere il Papa affinché intervenisse
presso Torquemada per attenuarne la terribile condotta. Il navigatore si
chiama Cristoforo Colombo e coltiva il grande sogno di
raggiungere un giorno via mare le Indie, per maggior gloria del regno (e
magari propria).
Quei manoscritti erano stati consegnati, qualche tempo
addietro, a Colombo da un cartografo di Lisbona con la precisazione che,
tra essi, era compresa una pergamena di incalcolabile valore, chiamata
Toledòt Yeshu, già nota nel secondo secolo della nostra era.
Ritornato nella sua Saragozza, Luis cede alla tentazione
di approfondire la fede degli antenati con l’aiuto dello scrivano ebreo
Abram Serero. In questi incontri, ovviamente segreti, partecipano anche
l’assistente e uomo di fiducia di Luis, Felipe de Almazon, e il
sacerdote Diaz de Càceres. Santangel, pur consapevole del pericolo
mortale che corre avendo in sue mani simili documenti, scopre un mondo a
lui pressoché sconosciuto, fondato su una rigorosa, ma libera, ricerca.
Questo clima di fervida discussione è interrotto da un grave fatto di
sangue: l’uccisione, nel 1485, all’interno della Cattedrale di Saragozza
di Pedro de Arbués, il locale inquisitore, canonico agostiniano,
distintosi nella persecuzione contro i Conversos. La situazione
precipita: poiché ritiene che Santangel sia coinvolto nell’assassinio
Torquemada fa catturare il fratello minore di quest’ultimo, Estefan -che
sarà ucciso sul rogo, non senza aver riscoperto la fede avita- e
organizza il rapimento del giovanissimo Gabriel, cui, con opportuno
lavaggio del cervello, vengono fatti rinnegare il padre e le sue radici,
rinchiudendolo poi in un convento ad Avila. Il nostro protagonista trova
rifugio nel regno di Granada, ultima roccaforte musulmana dopo la
Reconquista; luogo, per varie motivazioni, più tollerante nei
confronti degli Ebrei. Qui incontra un’affascinante argentiera ebrea,
Judith Migdal, la quale, dopo l’uccisione misteriosa di Yossi e
Naomi, rispettivamente suoi fratello e cognata, si prende cura del
figlio della coppia (Levi) e dell’anziano padre di Naomi, Baba Shlomo,
uomo colto e di profonda fede. Tra Judith e Luis nasce un amore tanto
intenso, quanto impossibile a realizzarsi. Ma anche nell’isola
relativamente felice della città andalusa giungono le truppe dei “Re
cattolici”. Il 2 gennaio 1492 Isabella e Ferdinando
entrano in città vestiti in abiti cerimoniali arabi.
Proprio dalla stupenda fortezza dell’Alhambra (il
Castello Rosso), già centro del potere musulmano, viene
proclamato, il 31 marzo 1492, l’Editto di Espulsione, la cacciata
degli Ebrei dalla Spagna, fortemente voluta dall’Inquisitore generale
Torquemada. Non c’erano solo motivazioni economiche alla base di tale
decisione; era necessario troncare le radici dell’albero: allontanare i
Cristianos Nuevos dagli Ebrei, recidere quel legame, ritenuto
pericoloso, che in tanti (troppi!) resisteva, al di là dei massacri, dei
roghi e delle persecuzioni. Il primo maggio 1492 inizia il periodo di
tre mesi, concesso alle 50.000 famiglie ebraiche spagnole (circa 250.000
persone), per abbandonare il Paese nel quale avevano vissuto per secoli,
dando un formidabile contributo in ogni ramo del sapere. Il breve
termine lasciato loro costringe gli Ebrei a liquidare a prezzi assai
vili beni ed attività. Decine di migliaia di persone muoiono nel
tentativo di raggiungere la sicurezza.
A seguito di questi tragici eventi Luis de Santangel si
ritrova solo -per qualche tempo addirittura finisce in prigione su
ordine dell’Inquisitore generale, ma sarà liberato grazie alla propria
abilità e all’intervento del re-, abbandonato da tutti, compresa Judith,
convinta che egli l’abbia tradita, poiché ad un certo punto, era
scomparso nel nulla. La donna, disperata, costretta ad andarsene dalla
Spagna perché non vuole rinnegare il suo mondo, si sposa con un amico
medico che non ama, Isaac Azoulay, da sempre innamorato di lei.
Questi è uomo sincero e sensibile, in grado di essere un buon padre per
il bambino in procinto di nascere, concepito dall’amore tra Judith e
Luis. Essi partono alla volta del Marocco per iniziare una nuova, più
serena, esistenza. Ma anche per il cancelliere sorge qualche speranza:
l’abile capitano, genovese di nascita, Cristoforo Colombo, impegnato nel
progetto di raggiungere per mare le Indie, cerca sostenitori per la
grande impresa, che a molti appare irrealizzabile.
E sarà proprio Santangel, ritornato persona influente a
corte, ad offrirsi di finanziare in notevole misura il viaggio lasciando
tutti i benefici alle Corone.
Mitchell James Kaplan,
laureato a Yale, ha vissuto e lavorato a Parigi e Los Angeles, come
traduttore di classici (soprattutto della letteratura francese),
sceneggiatore e consulente editoriale.
Per mare e per terra
è il suo primo romanzo. Uscito in Patria nel 2010 col titolo di By
fire and by water, è stato tradotto in diversi Paesi, tra i
quali la Spagna -particolare di rilievo- e l’Italia. Ha ricevuto
numerosi riconoscimenti e recensioni positive, sia in Patria che
all’estero, Israele compreso. Il titolo -quello originale, tal quale
riprodotto nell’edizione spagnola, è assai più perspicuo- è tratto da un
piyyut (pl. piyyutim), poesia liturgica ebraica,
nel nostro caso si tratta di una meditazione sul destino e sulla morte,
recitata in occasione delle feste più solenni, come Rosh Hashanà
e Yom Kippur: “Chi vivrà e chi morirà….chi per il fuoco e chi per
l’acqua….”.
Nelle riflessioni poste in calce al libro l’Autore
confessa che l’idea di scrivere il romanzo gli venne anni fa riflettendo
sui rapporti esistenti tra quattro eventi di rilievo che, alla fine del
1400, avrebbero cambiato il mondo: 1) L’istituzione della Nuova
Inquisizione nei regni di Castiglia e di Aragona; 2) La riconquista di
Granada a inizio gennaio 1492; 3) L’espulsione degli Ebrei dalla Spagna,
a seguito del famigerato editto; 4) La scoperta dell’emisfero
occidentale da parte di Cristoforo Colombo.
Questi fatti, scrive in modo chiaro Kaplan: “costituirono
un vero e proprio cataclisma, che presagì il crollo del sistema
economico, governativo e religioso dell’età medievale e la nascita del
moderno stato-nazione” Il romanzo, basato su accurate ricerche, sa
mescolare con sapienza realtà storica e fantasia: chi conosce la Spagna
sefardita, non può che apprezzarne l’impianto raffinato, simile ai
preziosi oggetti d’argento usciti dalle mani abili e dalla sensibilità
di Judith Migdal.
Tante sono le tematiche incontrate. La vita difficile, e
sovente tragica, dei Cristianos nuevos, molti dei quali
mantengono in segreto le loro abitudini ebraiche: come la famiglia di
origine di Luis o quella del suo principale collaboratore, Felipe de
Almazon, ucciso dall’Inquisizione. L’opera dell’Inquisizione, disumana
oltre ogni malata fantasia, si avvale di abili meccanismi psicologici
per distruggere la resistenza dell’accusato e fargli confessare colpe
mai commesse, confessione che peraltro non ne salverà la vita (pensiamo
ai trucemente celebri autodafé). Inquisizione che sa agire con
eccezionale efficacia sulla personalità acerba e plasmabile di un
bambino per distruggerne la volontà e i riferimenti affettivi, come
vediamo riesce in modo egregio a Torquemada col giovanissimo Gabriel de
Santangel.
Bellissimi i quadri d’ambiente. Come la descrizione di
Granada (“Il Melograno” per antonomasia) e del suo quartiere ebraico
o le pagine dedicate agli Ebrei costretti, in ottemperanza dell’Editto,
a lasciare la Spagna verso un avvenire carico d’incertezze. Altro
aspetto, collegato a quanto sopra, sul quale Kaplan si sofferma nelle
serate di studio tra Luis, Felipe, Serero e Càceres, è pure la precaria
situazione degli Ebrei, privi di una loro Patria, la Terra di
appartenenza nella quale stabilirsi per libera scelta, ma pure
rifugiarsi nei momenti duri della Storia. “In esilio, sì, ma non per
sempre…..Questo popolo [paragonato a una cerva che anela ai corsi
d’acqua] sta urlando di dolore. Come una femmina che sta partorendo. Che
cosa sta partorendo? chiese Felipe. Stiamo parlando, disse Serero, delle
doglie dell’era messianica. L’era in cui Israele tornerà dall’esilio e
tutte le nazioni vivranno in pace”.
Una stupenda sintesi tra tristezza, dolore, speranza;
sogni d’amore e drammatica realtà; ansia di riscatto della Terra
Promessa mai dimenticata. E orizzonti infiniti che ancora non si
conoscono bene, ma che si riescono ad intuire, al di là del vasto
oceano.
Da
www.angolodimara.com (26
maggio 2012) |