Sud Illustre

 

Mario Nardone

di Fara Misuraca e Alfonso Grasso

 

Mario Nardone nacque l’8 maggio 1915 a Dentecane, frazione di Pietradefusi, un piccolo paese irpino che originò la famiglia da cui sarebbe provenuto Mario Puzo, l'autore del "Padrino". Dopo la laurea, Nardone divenne poliziotto “perché il padre lo era”, come egli stesso soleva dire. A motivarlo c’era il “desiderio di prendere le parti di chi è più debole“, come ebbe a dichiarare in un’intervista di Enzo Biagi.

Dopo aver fatto esperienza nelle questure di Parma, Pesaro e Monza, alla fine del 1946 fu trasferito a Milano: un provvedimento dovuto ai forti contrasti con i superiori provocati dalle ingiustizie che Nardone riscontrava anche all’interno del corpo di Polizia. Nel capoluogo lombardo, Nardone darà vita, per la prima volta, alla Squadra mobile e al centralino telefonico per le chiamate d'emergenza.

A Milano il commissario Nardone rappresentò l’uomo della legge, nemico inesorabile della criminalità. Quando arriva nel capoluogo lombardo, entra in contatto con un’Italia completamente diversa da quella che lo ha visto nascere e crescere. Freddo, nebbia e la difficoltà di trovare un caffè decente anche a pagarlo a peso d’oro. Seguiranno poi gli anni del boom, quando Milano, vogliosa di rinascita e di riscatto, si apre al mondo, tra fabbriche e cultura: qui tutti possono avere l’opportunità di cambiare vita, di realizzarsi, e Nardone impara presto ad amare la città.

Arguto, ironico, dotato di una grande intelligenza investigativa e senso dell’umanità e della giustizia, Nardone era anche scrupolosissimo e pretendeva il massimo impegno da parte dei suoi collaboratori: così ben presto Muraro, Rizzo, Spitz e Suderghi diverranno grandi poliziotti. Nardone con loro diede vita a quella che sarebbe divenuta la Squadra mobile.

Furono quelli gli anni del “noir”, degli omicidi passionali, delle rapine eclatanti, delle bande e delle risse. Nardone comprese che per vincere la malavita bisognava pensare come loro, vivere come loro e combatterli con l’arma più micidiale: la conoscenza. Per averla però non c’è altro modo che scendere per strada, vivere la realtà di tutti i giorni, dimenticandosi le comodità della scrivania. per combattere la malavita dall’interno occorrevano informatori ed infiltrati, piuttosto delle pistole. Furono questi i pilastri su cui si basava il lavoro del commissario che, a Milano, mise le basi per la nuova Polizia. Affinché i poliziotti fossero sempre sul posto, dove serve, vennero divisi in reparti e con ognuno la sua specialità: così riuscì a creare la Squadra Mobile, dove fu prima Aggiunto e poi capo, fino a diventare Questore. Creò il primo numero di emergenza a cui la cittadinanza può rivolgersi in caso di bisogno, il 777, antesignano dell’attuale 113. Significativa del suo modo di indagare fu l'amicizia con la prostituta Flò, donna di intrigante bellezza, che introdusse Nardone nei lati oscuri e negli intrighi di Milano. Flò stringerà con Nardone un rapporto insolito ma molto sincero e si rivelerà utilissima nelle indagini.

Il commissario Nardone risolse casi tra i più celebri, ancora oggi ricordati. Milano di quegli anni, oltre che di speranza, era piena anche di criminali: oltre ai piccoli furti a cui è costretta la gente comune per mera sopravvivenza o per pagarsi farmaci e alimenti, trova terreno fertile la malavita capeggiata da Bosso, killer abile e spietato, che diventerà il nemico numero uno del commissario Nardone. Troviamo interessante questa quasi omonimia tra Bossi leghista e Bosso malavitoso, legati oltre dall’assonanza anche dalla fedina penale sporca!

Appena giunto, al commissario  toccò il caso di Rina Fort, che uccise moglie e tre figli del suo amante. E poi la banda di Pierrot Le Fou, che ammazzò un tabaccaio e un suo amico. Quindi la rapina di via Osoppo, bottino da seicento milioni di lire. Poi i bravi ragazzi di Angera, che colpivano solo di lunedì. la banda Cavallero, la "banda della morte". Per i cronisti era il Maigret di via Fatebenefratelli: paragone certo suggestivo, ma sostanzialmente infondato. Tanto l'uno era letterariamente grosso e imponente, quanto Nardone piccolo e dal viso scavato alla Eduardo, con dei baffetti stesi sulla bocca sottile. Maigret era taciturno, discreto; l'altro facondo, esplosivo, così profondamente meridionale da non perdere mai l'accento napoletano.

Milano fu il palcoscenico di Nardone, con le sue strade, i suoi locali, la sua vita notturna, fervida quanto la diurna così operosa. E poi l'ufficio pieno di telefoni, e soprattutto la sua squadra mobile, che lui creò, e i suoi ragazzi, così devoti. A Milano Nardone trovò anche l'amore: Eliana, ragazza indipendente e determinata, amministratrice di una ditta di distribuzione di farmaci, instaura con il commissario una relazione profonda ed alla vita coniugale.

Mario Nardone morì a Milano, il 1° luglio 1986. Di lui rimane la leggenda di un uomo del Sud che ha amato la città meneghina e la Polizia, usando l’intelligenza invece delle pistole. Le gesta di Nardone e della sua squadra sono immortalate da Trapani, fotoreporter de La Notte, tramite tra la squadra di polizia e l'opinione pubblica, e via via sempre più amico dello stesso Nardone. la storia del commissario è stata immortalata in una serie televisiva, in cui Nardone è interpretato da Sergio Assisi.

Bibliografia internet

  • http://www.fattidicronaca.it

  • http://it.wikipedia.org/


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