Pensiero Meridiano

Rileggere Raffaele La Capria

(Pensieri Meridiani)

di Gherardo Mengoni

Nel mese di agosto 2014, la città di Positano ha conferito la “cittadinanza onoraria” a Raffaele La Capria. “Finalmente!” diranno alcuni di Voi.

Infatti si tratta di un riconoscimento tardivo considerata la notorietà, la visibilità che il famoso scrittore ha contribuito a generare nei confronti della bella cittadina della Costiera Amalfitana.

Sono trascorsi oltre cinquanta anni da quando a fine primavera del 1961 il Premio Strega venne assegnato a Raffaele La Capria, un napoletano doc emigrato a Roma presso la RAI, per il suo romanzo “Ferito a morte”. Un tema complesso e affascinante; un registro sintattico nuovo che superava a piedi uniti il cliché del vecchio romanzo naturalista o neorealista. L’audacia di certe “verità” riportate senza mascheramenti, contribuirono a creare un fascino particolare che fece del libro quasi un oggetto di culto.

Fu davvero un evento letterario, un testo determinante per la svolta della Letteratura Italiana del ‘900; un ponte ideale verso la cultura europea. Non va dimenticato che una decina di mesi prima, nell’autunno del 1960, era comparso in libreria la traduzione italiana di ”Ulisse” di James Joyce, il cui stile innovativo e la arditezza di certe pagine, al limite dello scandaloso, avevano suscitato grande fermento e molta incomprensione tra i lettori ed i critici. “Ferito a morte” si trovò sulla scia aperta dall’Ulisse e sbaragliò il campo dei concorrenti al premio Strega ideato dalla famiglia Alberti e, allora come oggi, riconoscimento letterario prestigioso.

Dopo un anno circa dalla uscita del libro Vittorio Caprioli diresse il film “Leoni al Sole” ispirato al romanzo, anzi quasi trasposizione di parte del testo in una sceneggiatura firmata dallo stesso Caprioli e da Raffaele la Capria. Film di notevole successo che dette ulteriore notorietà a Positano, peraltro già meta di personaggi internazionali famosi, di artisti, di scrittori e di sfasolati viveurs oltre che di affezionati villeggianti, “patiti” per la Costiera. Tutti insieme protagonisti di notti insonni fra artisti, belle donne, musica, avventure e mondanità tout court.

Sembrava di scoprire un’oasi di spensierata allegria, di strafottente sussiego verso i valori ordinari di vita.

In verità non era così. Nel rileggere pagine del testo e nel rivedere immagini del film si ricava un impietoso dossier sulla condizione giovanile dell’epoca. La idea che ci si fa oggi è quella di un mondo vuoto, privo di stimoli morali, un mondo quasi assopito nel sogno di una eterna giovinezza. Il contrasto tra la figura dell’autore che è costretto per lavoro a lasciare la città che ama, strappato da quel tratto di Posillipo che sente come suo, e le figure dei personaggi primari descritti che vivono un presente fatto di artifici, di sfottò, di raggiri per conquistare donne e cene, senza alcuna remora, è fonte oggi come allora di acuta riflessione. Che cosa è stata la nostra gioventù, viene da chiedersi al paragone con quelle figure debosciate e forse disperate?

È un fatto che coloro che si avvicinano o superano i settanta anni possono essere ascritti come giovani protagonisti di quel periodo, apparentemente tranquillo e tuttavia singolare, tra il 1958 e il 1968. E dunque il nostro comportamento umile, costruttivo, proiettato verso la conquista della solidità economica e del successo professionale, risulterebbe ridicolizzato se al fine risultassero vincenti gli sfasolati di La Capria!

Ma questo non accadde, anzi capitò di peggio! Gli sfasolati play boy di provincia, con la loro ironia dissacrante, non ebbero più spazi e scomparvero quasi del tutto mentre noi borghesi normali fummo travolti dall’onda sessantottina che tutto tentò di mutare, incidendo pesantemente sulle nostre coscienze e sulla nostra ricerca di identità.

La stagione delle rivendicazioni giovanili, sulla scia del maggio parigino del’68, dilagò nel Paese colpendo in pieno le istituzioni universitarie dove, specie in alcune Facoltà si vissero, trasformazioni profonde e vicende amare. Le conseguenze sono tuttora misurabili nella valutazione del livello medio di istruzione superiore dei nostri giovani al paragone con quello riscontrabile altrove, specie fra le Nazioni Europee con le quali, sul piano dell’impegno intellettuale, dobbiamo oggi misurarci.

Quando si discute sul lavoro precario o inesistente e si cristallizza il discorso sulla occupazione dei nostri giovani (44% senza uno stipendio mensile); quando si teorizza sul PIL e sulle carenze strutturali ci vien da pensare a questo Tzunami, non più recente, che ancora condiziona la crisi culturale del Paese.

L’abbattimento di ogni ideale, la segregazione della “Ragione”, il congelamento di idee nella passiva omologazione di una religione del “giovanilismo”, innestata sul mito dell'eterna giovinezza. Il condizionamento più che il desiderio di sentirsi giovani, a discapito della figura dell'anziano. La morte della Storia e il disdegno aprioristico verso tutto ciò che è passato. Tutto questo riuscì a interrompere l’ascesa economica e sociale del nostro Paese in maniera molto più incisiva di quanto accadde in Francia dove pure sorse, in quel maggio del ’68, il movimento che si propagò in tutta Europa. Si paralizzò la Ricerca; la Meritocrazia non fu più considerato un valore. I vecchi solo ingombranti Matusa (i vecchiacci da abbattere!).

Dopo oltre 45 anni sembra quasi una forzatura attribuire a quella lunga vicenda che sconvolse le regole di convivenza, una qualche responsabilità nella dinamica della crisi odierna.

Ebbene osservo che da quel deleterio e vuoto giovanilismo si passò alla stagione della presunzione. Alcuni, provenienti da quelle fila di teorici del maggio ’68, ritennero di sovvertire lo Stato compiendo stragi di innocenti, rapine, ricatti e violenze inaudite, creando un’atmosfera di terrore durata anni. Poi, sotto l’egida esterna di un Regime Reaganiano influente, si profilò una stagione di efficienza relativa con riequilibri e qualche fattore positivo. Si parlò dei “favolosi Anni ‘80”. Niente faceva presumere che qualche tempo dopo la “discesa in campo” del nano di Arcore avrebbe restituito piena forza ad un settarismo di parte, peggiore della tessera del PCI d’un tempo; latore di un messaggio disfattista rivolto alla morale comune; di un asservimento edonistico di menti volte solo al “profitto” e pronte a nefandezze e soprusi, in barba ad un sistema giudiziario costantemente ed ingiustamente vilipeso.

Ed oggi? Oggi che la crisi economica attanaglia il Paese, oggi che senza l’ausilio delle pensioni degli anziani il sostentamento dei giovani non può essere assicurato così ché la figura dei vecchiacci viene riabilitata in parte per evidenti fattori strumentali, non si può non considerare quanto tempo abbiamo sprecato, quante ricchezze abbiamo disperso in maniera irrecuperabile, vittime consenzienti di un sistema politico “mutante” come un alieno e non indirizzato al benessere del Paese ma al potere ed al privilegio di una incolta oligarchia. Quella, per capirci, che dice che “con la Cultura non si mangia”!

Tornando alla Positano del ’61 ed ai personaggi di La Capria, confrontando la loro discutibile condotta di vita con i sacrifici, le attese, i patimenti da noi affrontati per ascendere ad una posizione di tranquillità e benessere, oggi illusoria e compromessa dai lacciuoli di questa lunga crisi, ebbene lo sberleffo e gli sfottò rivolti a chi si dava da fare, la strafottenza sibarita espressa in ogni atto da quegli sfasolati viveurs, vanno riletti con maggior acutezza scoprendo in essi l’impronta di una antica saggezza mediterranea che sta dentro di noi e che andrebbe, seppur corretta, ampiamente rivalutata.

Gherardo Mengoni


Testo trasmesso dall'autore il 05/10/2014

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