Giuseppe
Beccadelli di Bologna,
marchese della Sambuca
Un punto a favore di Maria Carolina ma certamente un punto a sfavore
della precaria stabilità del regno meridionale!
Non furono infatti (volutamente?) valutate o comprese le conseguenze
di un cambiamento di alleanze sul piano internazionale. Il sistema
duale istaurato nel regno delle Sicilie aveva come modello quello
della Spagna che reggeva un impero fondato su questi principi, cioè
la decentralizzazione del potere
.
L’impero asburgico invece si reggeva sulla centralità del potere e
combatteva ogni tendenza autonomista: Vienna non avrebbe mai
tollerato l’autonomia della Sicilia da Napoli così come non
tollerava l’autonomismo lombardo da Vienna.
Tuttavia lo stato siculo-partenopeo, interamente circondato dal mare
non si sentiva molto a suo agio in questo rapporto con l’Austria,
una potenza continentale con forti interessi nel controllo della
politica italiana. Fu importante pertanto, per non essere soffocati,
impostare una politica estera di tipo marittimo e pertanto cercare
un avvicinamento con la Gran Bretagna nella persona di John Acton
,
inizialmente chiamato per organizzare e rafforzare la flotta.
Durante i dieci anni del suo “premierato”, il Sambuca non espresse
una grande politica né grandi progetti atti a rafforzare e
migliorare l’ancora fragile regno. Pur non di meno è bene ricordare
nel bene e nel male, alcune delle sue iniziative.
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Palazzo Reale o dei Normanni
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Una delle più importanti e certamente la più dannosa fu di carattere
economico sociale. Si iniziò infatti la privatizzazione dei beni
della Chiesa, sia quelli del disciolto ordine gesuitico che quelli
di regio patronato.
Mentre il Tanucci aveva salvato i beni confiscati ai gesuiti dalle
mire dei privati, il Sambuca riuscì a privatizzare tutto il
possibile e soprattutto i beni della Chiesa impiegati al servizio
dello stato.
Egli stesso concorse alle aste per accaparrarsi i migliori feudi e
costruirsi un’immensa fortuna ottenendo da
re Ferdinando
il mero e misto imperio con licentia populandi sui
alcuni dei feudi acquistati (diploma del 30 agosto 1779)[4].
Dopo aver sciolto l’Azienda gesuitica, l’ente statale preposto alla
gestione dei beni confiscati sia scolastici che agricoli, gli ex
beni gesuitici furono messi in alienazione, o forse sarebbe meglio
dire saccheggiati e, non sazi, furono pure alienati parte dei beni
appartenenti ad arcivescovadi e chiese abbaziali “statali”. Insomma
nulla di nuovo sotto il sole, beni dello stato o gestiti dallo stato
trasferiti per pochi ducati o onze nelle mani di privati con la
formazione di enormi patrimoni.
Le procedure di alienazione di questi beni furono talmente
scandalose che il Sambuca venne accusato di approfittare della sua
carica (di “conflitto d’interessi” si direbbe oggi) e trascinato in
tribunale. Al processo però il Sambuca fu assolto e l’accusatore fu
condannato per scorrettezze commesse durante il dibattimento.
Nonostante l’assoluzione la vendita ad amici e parenti del Sambuca
divenne così vergognosa che nel 1782 re Ferdinando ritenne
necessario emanare una legge che bloccava tali “affari”. Ma il danno
era già fatto!
Danno che si ripercorse sugli
enfiteuti
che erano stati beneficiati dalla “onesta” gestione del Tanucci.
Teoricamente gli enfiteuti non avrebbero dovuto subire alcun danno
ma in realtà la “Giunta d’educazione” che sostituì l’Azienda
gesuitica di stato non stanziò più i fondi da anticipare per
l’acquisto delle sementi né per i soccorsi per l’alimentazione umana
ed animale nei periodi non produttivi dell’anno. Molti enfiteuti
pertanto, indebitatisi, dovettero abbandonare le terre ed a chi
rifiutava di andarsene furono pignorate le masserizie e in alcuni
casi inviati i soldati per scacciarli.
In pratica si era tornati alla situazione precedente la riforma
tanucciana, con il più bieco sfruttamento dei contadini, ridotti
alla fame e trattati come servi della gleba. Solo alcuni, i più
fortunati, rimasero come enfiteuti dei nuovi proprietari, quelli
meno avidi.
Un’altra iniziativa, in parte positiva , fu quella riguardante la
riforma delle Università degli studi di Napoli e di Catania e
l’istituzione della Regia Accademia degli Studi a Palermo
.
Ciò segnò l’inizio di un movimento culturale e scientifico non più
legato al dogmatismo ecclesiastico ma aperto alle novità che
giungevano dal resto d’Europa pur se molto edulcorate in quanto la
maggior parte dei docenti erano “uomini di chiesa”.
Cominciarono ad emergere studiosi come il pedagogo De Cosmi (che,
ricordiamo, ai tempi del Tanucci, non era stato assunto a Catania,
pur se vincitore di concorso, in quanto canonico), lo storico
Gregorio, il giurista Balsamo, il poeta dialettale Meli e si
formarono nuovi storici come Domenico Cinà.
Non si tenne in molto conto però l’organizzazione della
programmazione didattica che avrebbe dovuto essere unitaria sia in
territorio partenopeo che siciliano. Come giustamente fa notare il
Renda “… ci fu una differente scuola di Diritto pubblico al di
qua e al di là del Faro. Per Napoli il Regnum non aveva il
suo confine sulle sponde peninsulari dello stretto, e sebbene non
detto in modo esplicito, il Faro prima o poi era destinato a non
esser più il confine tra i due regni, onde il richiamo al Codice del
Regno di Sicilia del 1232 promulgato a Melfi da Federico II non
aveva solo valore storico ma anche rilevanza pragmatica.”
[7]
Palazzo dei Normanni, particolare della sala di Ruggero
II (XII sec.) |
In verità da parte napoletana si guardava ai sistemi a dispotismo
illuminato di tipo europeo mentre da parte siciliana si sottovalutò,
o non si volle o non si fu capaci di affrontare, il problema
d’ammodernamento del parlamento feudale.
Carlo III aveva intuito l’importanza della
questione e, forse inconsciamente o forse no, si era ispirato al moderno
sistema che stava attuandosi in America dove le ex colonie inglesi,
pur mantenendo la loro autonomia avevano dato vita alla
Confederazione degli Stati Uniti
.
Ma non servono i se e i ma! Torniamo al Sambuca. Da ascrivere al suo
operato è anche l’avvio per le pratiche di abolizione del Sant’Offizio
dell’inquisizione di Sicilia portate brillantemente e platealmente a
termine durante il vicereame di Caracciolo
.
Insomma l’operato del Sambuca non brilla certo per iniziative
rivoluzionarie e riformiste, anzi distrusse in buona parte ciò che
Tanucci aveva iniziato a costruire e l’influenza austriaca finì con
il concretizzarsi nel regno di Napoli in un aumento del potere della
massoneria, ispirata al concetto illuminista di politica che vedeva
nel “sovrano” il fulcro attorno al quale una società “livellata”
doveva girare ed obbedire. Il “sovrano” tuttavia era spesso succube
delle potenti logge massoniche! E questo in tutta Europa.
Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina
Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina
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Caracciolo indubbiamente non poteva accettare, dato il suo carattere
assai deciso, di trovarsi stretto in una morsa che gli avrebbe
impedito di lavorare liberamente e fu per questo che, in deroga alla
costituzione, il suo referente in Napoli non fu il primo ministro
Sambuca, ma John Acton, il “pupillo” della regina, che si dice
avesse sostituito nel suo letto il Caramanico
Ma queste sono “solo” “maldicenze”! In realtà si rafforzava l’intesa
con Londra.
Dovettero trascorrere diversi anni prima che i baroni cominciassero
a capire la bontà delle iniziative Caraccioliane e modificarle a
proprio vantaggio.
La politica Caraccioliana seguì in fondo due grandi linee: la prima,
continuare il giurisdizionalismo tanucciano ed in ciò fu coadiuvato
dal ministro De Marco, dall’opinione pubblica di entrambi i regni ed
anche da parte dei nobili siciliani, quelli più “illuminati”.
In questo, ovviamente, trovò scarso appoggio tra i nobili e nessuno
tra il clero! Inoltre bisogna ricordare che il potere parlamentare
dei baroni era stato ripristinato e rafforzato dalla “controriforma”
del Sambuca.
E’ necessario anche ricordare che durante i sei anni di viceregno
caraccioliano si susseguirono una serie di calamità naturali e
politiche molto gravi: nel 1783 ci fu il terremoto di Messina e
Reggio e quindi necessità economiche straordinarie che comportarono
nuove tasse; nel 1784 ci fu la carestia, non grave come quella del
’63-64, ma talvolta arrivò a mancare il pane nelle città, con i
consueti disordini; fallirono in quel periodo il Banco Pubblico ed
il Monte di Pietà che costituivano gran parte del sistema creditizio
e finanziario del regno e molta gente fu rovinata.
Nonostante tutto ciò il baronaggio non riuscì mai a trascinarsi
dietro il popolo contro Caracciolo. Non dimentichiamo che egli compì
una serie di azioni che diedero fiducia al popolo. Fu lui che aveva
disposto che i contadini vassalli potessero muoversi liberamente,
senza restrizione da parte del proprietario, parliamo di centinaia
di migliaia di persone trattate come servi della gleba! Fu lui che
procedette senza tentennamenti con l’abolizione del Sant’Offizio di
Sicilia, sfidando personalmente l’ira del clero e dei baroni, fu lui
che mise a disposizione dei commercianti alcuni navi da guerra per
scortare i mercantili e difenderli dai
pirati
barbareschi, che tassò le
carrozze dei signori per lastricare le strade, che pose le ronde
notturne sotto il comando del ceto civile e ordinò, per far capire
che faceva sul serio, che tutti gli uffici corrispondessero con
Napoli tramite lui e non direttamente.
A Caracciolo si deve anche la fondazione del più celebre mercato di
Palermo, La Vucciria, che sorge nella piazza che ancora oggi porta
il suo nome.
Fu per questo che la sua proposta di riformare il sistema fiscale
isolano istituendo un moderno catasto dei beni fu accettata. Cosa
che avrebbe dovuto essere fatta anche a Napoli, ancora ferma al
catasto conciario voluto da Carlo III, ma rimasto in pratica allo
stato di progetto.
Questa proposta non andò però in porto in quanto bocciata proprio
dal Consiglio di Stato
.
Durante la carestia del 1783-74, inoltre, per evitare le più dure
conseguenze il Vicerè pose il veto all’esportazione dei grani. A
questo punto il vicerè, mettendosi anche contro il governo di
Napoli, fu costretto a venire allo scoperto e , alla maniera dei
ministri francesi, pubblicò in un opuscolo, Riflessioni
sull’economia e l’estrazione di frumenti in Sicilia,
il suo programma per il miglioramento dell’economia dell’isola nel
quale si sosteneva tra l’altro “la necessità di fondare la
ricchezza della Sicilia nell’avanzamento dell’agricoltura, nella
buona distribuzione dei beni e degli uomini e nella giusta
ripartizione dei pubblici pesi: la ricchezza delle nazioni non è
proporzionata alla quantità del loro denaro, ma a quella del loro
travaglio, il quale è il solo che la produce, che la sostiene e la
rappresenta e la quantità del travaglio è sempre proporzionata alla
divisione delle fortune e della popolazione”
[16], cercando di
evitare di introdurre per sistema la libertà di commercio del grano,
voluta dai baroni e caldeggiata da Napoli. La riorganizzazione
dell’economia rurale farà sentire i suoi effetti anche su tutta
l’industria manifatturiera e sull’economia urbana.
Di provvedimenti ce ne furono moltissimi, alcuni ben accetti altri
no
,
ma il viceregno di Caracciolo fu fondamentale per il cambiamento
statuale che si istaurò nell’isola: il baronaggio perse il monopolio
della direzione pubblica
e di ciò i siciliani non potevano che esserne scontenti!
Questa politica diede tuttavia coraggio ai ceti medi e popolari e
maggior libertà agli intellettuali ai quali si avvicinò anche la
nobiltà più “moderna” recependo quanto di meglio girava allora in
Europa.
Autore molto amato dall’aristocrazia fu soprattutto Montesquieu,
che teorizzava la nobiltà come ceto intermedio tra il re e il
popolo. I baroni cominciarono a capire che non era proficuo
contrapporsi al Caracciolo tanto per contrapporsi (come fanno le
odierne opposizioni) ma cavalcarne le riforme a proprio vantaggio[21].
Le cose stavano a questo punto quando, alla fine del 1785, il
Sambuca rassegna le dimissioni. I motivi delle dimissioni del primo
ministro non sono espliciti, ma quasi sicuramente ha avuto un peso
rilevante la sua duplice veste di primo ministro e di rappresentante
del baronaggio siciliano contro un viceré che non rispondeva a lui
ma a Acton e lottava contro il baronaggio.
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John Francis Edwards Acton
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Francesco d’Aquino, principe di Caramanico
Il posto del Sambuca fu occupato dallo stesso Caracciolo e vicerè di
Sicilia fu nominato Francesco d’Aquino principe di Caramanico. Io
non so se fu una mossa politica ponderata “nel bene” o “nel male”.
Caracciolo non ebbe alcun ruolo fondamentale a Napoli, praticamente
non aveva nulla da fare se non firmare carte e la sua presenza
sarebbe stata più utile in Sicilia. Promoveatur ut amoveatur,
verrebbe da pensare! Tuttavia il governo viceregio del Caramanico,
fin quando fu vivo Caracciolo, fu caratterizzato 1) dalla
accentuazione della politica anticlericale, 2) dalla continuazione
della politica antibaronale
[22],
3) dall’avvio di una politica economica che promuoveva gli strati
contadini riscattati dalle angherie
[23]
e prevedeva un programma di riconversione colturale agricola in
stile colonia di San Leucio, 4) da una politica culturale
costruttiva con la creazione di scuole normali e di nuove cattedre
universitarie.
Il viceré Caramanico, sulla scia di Caracciolo, portò una ventata di
modernità che coinvolse attivamente buona parte della nobiltà!
Francesco d'Aquino principe di Caramanico |
Insomma si era arrivati ad un punto per cui la mediazioni di persone
capaci avrebbe potuto veramente creare uno stato meridionale
“moderno”, ma così non fu. Di li a poco Caracciolo morì (la sua
morte coincise con la caduta della Bastiglia!) e con lui si
interruppe il processo di riformazione e le forze più conservatrici
ebbero la meglio al di qua e al di la del Faro. Fu solo un caso
la tragica scomparsa del
vicerè Caramanico?
In realtà il ruolo politico del Caramanico, dopo la morte di
Caracciolo, si era andato riducendo sempre più. I beni comunali ed
ecclesiastici continuarono ad essere privatizzati ma solo a
vantaggio dei baroni vicini alla corona o per risanare il bilancio
dello stato fino ad arrivare, da parte del governo, alla rinuncia
della nomina di un viceré lasciando l’amministrazione nelle mani del
Presidente del Regno, l’arcivescovo di Palermo e Monreale, Filippo
Lopez y Rojo. Sono anni cupi, di arresti e di processi contro
persone che fino a qualche mese prima avevano collaborato con
Caracciolo prima e Caramanico dopo
.
E a questo punto che gli ex-riformisti si volgono al giacobinismo,
in Sicilia ma soprattutto a Napoli.
Filippo Lopez y Royo arcivescovo di Palermo e
Monreale, presidente del Regno (1794) |
Il 21 novembre 1798 il governo borbonico dichiara
guerra alla Francia repubblicana. In
appena un mese l’esercito napoletano è ridotto alla rotta. A causa
dell’approssimarsi dell’esercito francese alla città, in tumulto e
con i giacobini pronti a insorgere, il re e la corte abbandonano
Napoli e si rifugiano a Palermo. Gli eventi che seguiranno
rappresentano il momento cruciale della storia del regno
siculo-partenopeo.
Fara Misuraca
ottobre 2006
Bibliografia
-
Giuseppe Bonomo, Pitrè la Sicilia e i siciliani, Sellerio,
Palermo 1989
-
Isidoro La Lumia, Palermo, il suo passato, il suo presente, i
suoi monumenti, Antares editrice, 2004, 1° edizione Pedone
Lauriel, 1875
-
Francesco Renda, Storia della Sicilia , Sellerio,
Palermo, 2003
-
Rosario Romeo, Il risorgimento in Sicilia, La Terza,
Bari, 1982
-
Giuseppe Pitrè, La vita in Palermo cento e più anni fa,
Editrice Il Vespro, Palermo, prima edizione Barbera, Firenze,
1904
-
Leonardo Sciascia, Le Parrocchie di Regalpetra- Morte
dell’Inquisitore, La Terza, Bari,1982
-
AAVV Storia di Sicilia, edizioni storia di Napoli e della
Sicilia, Napoli, 1978
Sir John Francis Edward Acton (1736-1811),
ammiraglio
e uomo politico di origine irlandese viene chiamato a Napoli
nel 1778 ed entrato nelle grazie della regina a lui viene
affidata la riorganizzazione della Marina militare con la
carica di Direttore della Real
segreteria della Marina. Nel 1789, sempre con l’appoggio di
Carolina, diviene ministro degli esteri con funzioni di
Presidente del Consiglio.
Palermo, la tomba di John Acton, in Santa Ninfa dei
Crociferi, in via Roma vicino ai Quattro Canti
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Il 30 Maggio 1779 Don
Giuseppe Beccadelli di Bologna, Marchese della Sambuca e Principe di Camporeale,
compra, pro persona nominanda, "li cinque territori o siano senimenti di terre….
Con case, fabbriche, acque, beverature, mercati, mandre, vigne, alberi domestici
e silvestri, magazzini e tutt’altro in essi esistesti per onze ottantamila
(88.930) di moneta del Regno di Sicilia". Per decreto del Re Ferdinando IV il 30
Maggio 1779 gli viene confermata la "concessione del mero e misto imperio con
l'alta giurisdizione di poter farvi università popolazioni e reluirvi i censi
accollati nella compra."
il
primo ministro nel 1782 fu accusato dal principe di Campofranco “de furto
magno contro la Real Camera nella compra de feudi e masserie gesuitiche.”
Villabianca, Diari della città di Palermo, in Bonomo , Pitrè la Sicilia e i
siciliani, pag 220.
La regia accademia di Palermo non poté fregiarsi del titolo di Università per il
veto opposto da Catania. Verrà promossa ad Università nel 1805.
Renda, Storia di Sicilia, vol II, pag 251.
Sono sempre i migliori che se ne vanno, stavolta non per morte ma perché
incoronati re di Spagna!
In realtà ad occuparsi de della faccenda fu il napoletano Saverio Simonetti,
Consultore del governo durante i vicereami di Stigliano, Caracciolo e Caramanico
ed il suo comportamento era in linea con la politica di Maria Teresa d’Austria.
(Renda, storia dell’inquisizione in Sicilia). Un danno tuttavia Caracciolo lo
fece: ordinò di bruciare tutti i registri dell’inquisizione, cancellando pagine
di storia!
Domenico Caracciolo (1715 - 1789) Marchese di Villamaina per rinuncia del
fratello. Fu giudice della Gran Corte della Vicaria, ambasciatore a Torino,
Londra e Parigi, Vicerè del Regno di Sicilia 1781/1-1786, Segretario di Stato e
Sovrintendente Generale alle poste del Regno di Napoli dal gennaio 1786.
I ministri di Carlo III (Santostefano, Montealgre e Tanucci) per garantire
l'autonomia del regno di Sicilia avevano istituito, su modello del regno di
Spagna, la Real Giunta di Sicilia. Durante la precedente dominazione spagnola
esisteva il Consiglio d'Italia che era composto da un napoletano, un milanese,
un siciliano e tre spagnoli con presidente spagnolo, quindi a maggioranza
spagnola. Il Consiglio Supremo della Real Giunta di Sicilia era invece
costituita da 2 giureconsulti siciliani, 2 napoletani ed aveva per presidente un
barone parlamentare siciliano (che aveva anche le funzioni di Consigliere di
Stato). [AAVV,Storia della Sicilia vol VI].
Pietro Beccadelli di Bologna (1695-1781), Principe di Camporeale, Duca d’Adragna,
Marchese d’Altavilla, Marchese della Sambuca ecc., fu membro del consiglio di
reggenza della Corona durante la minorità di Re Ferdinando IV (III), e
presidente del Consiglio Supremo della Real Giunta di Sicilia.
Questo è “gossip” ma non è escluso che abbia avuto il suo peso, A. Dumas,
Napoli borbonica. Dumas era un narratore, non un falsario o una spia.
Si ebbero tre voti favorevoli e tre contrari ma il primo ministro, Sambuca, ed
il re si schierarono con i “no”.
riportato da Giuseppe Bonomo in Pitrè, la Sicilia e i Siciliani.
Caracciolo, riflessioni sull’economia l’estrazione de’ frumenti della Sicilia,
cit. da Renda, in Storia della Sicilia, vol. VI p. 247.
Grande ostilità suscitò l’ordine di ridurre i festeggiamenti per Santa Rosalia.
Gli esponenti dell’aristocrazia isolana vennero sistematicamente estromessi
dagli incarichi di governo ed anche intellettuali e politici come De Cosmi,
Natale e Balsamo, i maggiori ingegni del tempo dovettero accontentarsi di
incarichi di sottogoverno. Dopo l’estromissione del Sambuca tutti i ministri
segretari di Stato e i vicerè furono tutti napoletani.
A tal proposito annotava “Ammettendo che i siciliani si lagnassero di
immaginari aggravi, di uno avevano sufficiente ragione di dolersi, cioè di
essere interamente esclusi dal governo del proprio paese e totalmente
assoggettati a quello degli stranieri, e specialmente dei napoletani loro
naturali nemici e rivali”. Paolo Balsamo, Sulla istoria moderna, pag.
58. E’ per porre riparo a questo stato di cose che nasce l’esigenza della
costituzione del 1812.
Non pochi furono i nobili che sostennero Caracciolo.
A tal proposito ricordiamo che il principe di Trabia, ispirandosi al Genovesi,
arrivò a proporre l’alienazione dei beni ecclesiastici e demaniali, la loro
quotizzazione e concessione ai contadini e l’abolizione degli usi civici nelle
baronie.
Furono incamerati dal demanio la baronia di Prizzi e di Palazzo Adriano, fu
proposta la devoluzione dei feudi i cui baroni fossero morti senza eredi e fu
promosso il riscatto dalle “angherie” feudali delle popolazioni dei feudi per i
quali non era possibile dimostrare la legittimità dl titolo.
Il 4 maggio 1789 il vicerè Caramanico abolisce le servitù personali e conferma
la completa libertà di ogni individuo.
Fra questi venne processato e condannato a morte
Francesco Paolo Di Blasi, che
aveva assolto incarichi ufficiali di governo sotto il vicerè Caramanico.
Le
armi di Don Carlos III di Borbone (Carlo VII di Napoli e V
di Sicilia), in una formella della cattedrale di Palermo in
ricordo della sua coronazione avvenuta il 3 luglio 1735.
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Veduta del palazzo reale di Palermo. Litografia da disegno
di G. Dura, 1833. Dal volume Palermo, ecc, di I. La Lumia,
Antares editrice |
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