Le mille città del Sud

Salerno

L'atrio del Duomo

 

Questa pagina vuole tratteggiare soltanto un profilo della storia di Salerno. Lungi dall’essere esaustiva, ha l’intento di creare semplicemente una base per eventuali approfondimenti  degli argomenti esposti o lo spunto per aggiungerne di nuovi.

Salerno e la sua Scuola Medica

di Astrid Filangieri

Salerno etrusca, sannita, romana, soggetta anch’essa alle invasioni barbariche. Salerno bizantina, longobarda, poi normanna e sveva; angioina aragonese, e ancora…. La storia di questa città è comunque legata alla sua posizione geografica, quindi al suo porto, ed alla Scuola Medica Salernitana.

La scuola è nata intorno al VI sec. d.C. presumibilmente sulla scia della scuola medica operante a Velia fin dal V sec. a.C. Velia, fondata dai Focesi sulla riva sinistra del fiume Alento, divenne poi nota col nome di Elea sede della famosissima scuola Eleatica del filosofo e medico Parmenide. Alcuni ritrovamenti della zona archeologica di Velia testimonierebbero la continuità della scuola Eleatica e quella di Salerno.

Il primo documento in cui è citata la scuola di Salerno è del 984: in esso si riferisce che il vescovo di Verdun, Adalberone, venne a Salerno per farsi curare dai medici di questa città.

In un documento del secolo XII, rinvenuto dallo studioso De Renzi, Ruggero II d’Altavilla dispone che il collegio dei medici, fondato dagli imperatori romani, continui a conferire lauree mediche senza alcuna interferenza da parte della Curia o degli ufficiali regi.

Fatto è che già al tempo dei romani la città era luogo di cura sia per il clima, sia per le numerose sorgenti di acque minerali. E’ verosimile che a Salerno vi fossero dei medici che seguissero i pazienti e studiassero l’effetto delle cure. Protettrice della Scuola era Santa Caterina d’Alessandria

il cui culto fu introdotto a Salerno dal vescovo Eusterio che lo apprese a sua volta a Costantinopoli, dove era stato mandato per il V sinodo, quale Legato Pontificio, dall’imperatore Giustiniano che aveva una particolare devozione per questa Santa. Ma il culto per Santa Caterina fu rafforzato e ulteriormente diffuso  dai Crociati.

Il massimo splendore questa città lo raggiunse con i principi Longobardi. Arechi II principe di Benevento, spinto dalla minaccia di Carlo Magno, individuò in Salerno una buona alternativa alla capitale del suo dominio: buon punto di comunicazione con altre zone del territorio e, soprattutto, lo sbocco al mare. Nell’ 842(circa) con Siconolfo  Salerno si affranca da Benevento e diviene principato autonomo.

Ascesa economica di Salerno fino a Guaimario V (o IV per alcuni), penultimo principe longobardo. A sancirne la straordinaria dignità, l’imperatore Corrado lo adottò in figlio dopo  avergli confermato tutte le conquiste e aver accettato le sue richieste in favore degli alleati normanni.

La ricchezza di Salerno è il suo porto con le attività marinare che arrivano a  rivaleggiare con quelle di Amalfi. Scambi di merci, fiorire dell’industria e dell’artigianato locale; la Zecca più attiva che mai, le nostre monete erano riconosciute ed accettate anche oltre i confini del territorio; scambi culturali, linfa vitale per la Scuola. Salerno è una delle città più note del Mediterraneo per il commercio e la sua Scuola  alle cui cure si rivolgono i maggiori personaggi dell’epoca.

Nel 1076 viene conquistata da Roberto il Guiscardo e nuovi fasti raggiunge quando il nuovo principe, su suggerimento della moglie Sichelgaita, figlia di Guaimario IV e sorella dell’ultimo spodestato principe longobardo Gisulfo II,  trasferisce la  capitale da Melfi a Salerno. Viene costruito il Duomo e la nuova reggia, Castel Terracena. Lo stile architettonico risente delle varie culture ed esperienze con cui si viene a contatto grazie, soprattutto, agli scambi via mare. E via mare arriva Costantino l’Africano che darà un nuovo impulso alla celebre Scuola. E dal porto arrivano nuovi studenti per la Scuola, e partono i primi Crociati, o vi arrivano feriti e bisognosi di cure. Personaggi di spicco di questo periodo: il vescovo Alfano, Leone, abate di Cava, il papa Gregorio VII, i medici Trotula de Ruggiero, Giovanni Plateario.

Medaglia in bronzo dedicata a Trottola (Trotula) de Ruggiero (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

La prima vera proclamazione a Re dell’unificato Regno di  Sicilia e ducato di Puglia, Ruggero II l’ottiene a Salerno. Verrà confermata e celebrata a Palermo (1130). Quando Ruggero II trasferisce la capitale del regno a Palermo, Salerno non perde la sua importanza e continui sono i collegamenti via mare tra le due città. Alle Assise di Ariano Ruggero stabilisce che gli unici diplomi in medicina validi nel regno sono quelli rilasciati a Salerno.

Personaggi del periodo normanno saranno Romualdo I Guarna, Romualdo II, Matteo d’Aiello. Nel 1181 o -82 il Gran cancelliere di re Guglielmo II, il salernitano Matteo d’Aiello, fonda a Salerno, in una sua proprietà, il primo ospedale nel Meridione con  amministrazione propria. Prima erano solo i conventi ad ospitare ammalati bisognosi di cure ed assistenza.

Alla morte di Guglielmo II a Salerno si formano due partiti contrapposti: quello capeggiato da Matteo d’Aiello e da suo figlio Niccolò, vescovo della città, sostenitori degli Altavilla, e quello capeggiato dall’ arcidiacono Arrigo sostenitore degli Svevi. Nel 1191 Enrico VI  scende in Italia: a difesa della città partecipano Niccolò d’Aiello ed il conte di Aversa. L’imperatrice Costanza viene tenuta prigioniera dai tancredini prima nella Carnale e poi a Castel Terracena. Enrico si ammalò durante l’assedio di Napoli, ma fu curato da medici salernitani  e poté tornare in Germania dove era stata diffusa la notizia della sua morte e si apprestavano ad eleggere un nuovo sovrano. Nel 1194 Salerno viene violentemente saccheggiata, ne vengono abbattute le mura e trafugati oggetti preziosi dalla Cattedrale come punizione per il trattamento che era stato riservato all’Imperatrice. Niccolò, Giovanni e Riccardo d’Aiello vengono fatti prigionieri a Caltabellotta, in Sicilia, nel castello dove si erano asserragliati in difesa della regina Sibilla e dei suoi figli, e portati prigionieri in Germania.

Alla morte di Enrico VI e di Costanza alcuni nobili tedeschi tradiscono la promessa di considerare come successore al trono  il piccolo Federico e si oppongono ad Innocenzo III suo tutore. Dietpoldo di Vohburg, condottiero di Enrico, è tra questi: si rifugia in Castel Terracena assediato da Gualtieri di Brienne, ed è costretto ad arrendersi, ma alla morte di Gualtieri (1205) torna a Salerno cedendola  poi con altre sue proprietà ad Ottone IV.

Federico II di Svevia conferma i privilegi alla scuola di Salerno nelle Constitutiones Melphitanae nel 1223. Castelterracena diviene per un periodo la dimora dell’imperatrice  Jolanda. Secondo alcuni è trasformata in harem dall’imperatore che vi tiene segregata la moglie.

Nel periodo normanno e poi svevo i più apprezzati notai e funzionari amministrativi erano amalfitani e salernitani, che conseguivano la loro preparazione presso lo studium di Napoli. Così come salernitani erano i medici cui si rivolgevano i re normanni e gli imperatori svevi. In questo periodo era fiorente la lavorazione dell’oropelle, del ferro, della lana. Infatti Federico II confermò alla città tutti i privilegi concessi dai Longobardi e ad essi si aggiunsero lo ius fundacariorum, lo ius tintoriae   e lo ius auripellis, e lo ius proibendi avendo Salerno e Napoli l’esclusiva di questa lavorazione.  Nella via Giudaica erano le botteghe degli artigiani ebrei.  Di quest’epoca il salernitano beato Giovanni Guarna fondatore del convento di Santa Maria Novella a Firenze.

Confermano i privilegi a Salerno i successori di Federico II. Re Manfredi, per interessamento di G. da Procida, medico di corte di Federico, e Gran Cancelliere del regno di Manfredi, fa ampliare il porto (non è un caso che uno dei più vecchi moli del porto abbia il nome di questo Re). Manfredi istituisce a Salerno la fiera di San Matteo, per alcuni secoli una delle più importanti e grandi fiere che si tenevano nel Sud.

Carlo I d’Angiò infligge parecchie punizioni alla nostra città per aver essa parteggiato per gli Svevi. Viene inglobata nel regio demanio e viene assegnata come principato all’erede della corona. Alla Scuola Medica viene revocato il diritto di rilasciare diplomi. Ma salernitano era il medico del re angioino. Ed anche molti orafi ed incisori del salernitano furono chiamati presso la zecca di Napoli. Fu Giovanni da Procida tra i più  capaci e strenui organizzatori della rivolta dei Vespri siciliani che portò la Sicilia a sottrarsi al dominio dei d’Angiò.

Nel 1352 Giovanna I d’Angiò  riconferma i privilegi alla Scuola su richiesta dei Maestri del Collegio. Nel 1353, grazie all’abile intercessione del docente di Diritto, il salernitano Matteo della Porta, Giovanna è incoronata, col marito Ludovico, dal Pontefice. Nel 1414 Guglielmo Solimene, figlio del maestro Tommaso è nominato medico di re Ladislao. A sua richiesta il Re emana un decreto con cui conferma alla Scuola l’esazione delle imposte fiscali. Insomma la benevolenza dei Re per la città traspare dai privilegi concessi o revocati alla scuola: segno della stretta connessione, anzi individuazione, della città con la Scuola. Nel 1419 Giovanna II concede in feudo Salerno a Giordano Colonna per assicurarsi la benevolenza del fratello, Papa Martino V.

Nelle attività del nostro porto si registrò una notevole crisi nel periodo (1428-1493) caratterizzato dalle lotte tra Angioini e Aragonesi per le lotte di successione tra  Renato d’Angiò e Alfonso d’Aragona, sotto il quale passò il regno di Napoli.

Nel  1442 Salerno, è sotto il dominio aragonese e Alfonso ne affida il principato a Raimondo Orsini, mentre nel 1446 ne viene investito principe Roberto Sanseverino. Questa famiglia di antica e potente casata terrà per alcuni anni il feudo con alterne vicende legate ai tormentati rapporti che i turbolenti appartenenti a tale famiglia ebbero con i sovrani del regno di Napoli. La famiglia discende dal cavaliere normanno Turgisio, giunto al seguito di Roberto il Guiscardo (1045), che lo investì della contea di Rota nel 1067 (link alla storia della famiglia Sanseverino). In tale periodo ricordiamo Tommaso Guardati (nato nel 1416), meglio noto come Masuccio Salernitano, autore del celebre Novellino, opera letteraria in cui troviamo alcuni spaccati su Salerno e la sua vita sociale. In esso condanna i costumi del clero corrotto ed attacca la bassa morale  di certe donne con riferimento probabilmente anche al carattere della regina Giovanna II.

Masuccio fu segretario dei principi Colonna, Orsini,  di Roberto Sanseverino e di suo figlio Antonello ben noto a proposito della congiura dei baroni. I baroni del Regno, scontenti di re Ferrante, avevano offerto la corona al suo terzogenito Federico, che rifiutò. Trovarono appoggio da parte del Papa che era venuto in forte contrasto con Ferrante dal quale pretendeva il pagamento del censo annuo da cui il precedente Pontefice  lo aveva esentato e che, invece, Innocenzo VIII esigeva. Ma dietro l’appoggio ai Baroni ribelli c’era la speranza del Papa di avere un vasto feudo nel Mezzogiorno per il suo figlio naturale Franceschetto Cybo. Ma Ferrante riuscì a distogliere il Papa da tale impresa.

La congiura fu sventata, i Baroni imprigionati, dopo essere stati attirati a Castel Nuovo con l’invito a partecipare alle nozze della nipote del Re con il figlio di uno dei congiurati, i loro feudi confiscati. Fu distrutto anche il castello di Teggiano di proprietà dei Sanseverino, promotori della congiura, in cui i congiurati si erano riuniti. L’unico che riuscì a sfuggire fu Antonello che riparò in Francia da dove continuò a brigare contro il re di Napoli, a favore del re francese. Tornerà nel 1499 a Salerno,  acclamato come suo vero principe dalla città che nel frattempo Federico d’Aragona aveva assegnato a Don Alfonso d’Aragona de Villahermosa, fratellastro di Ferdinando. Ma Federico che non dimentica come Antonello abbia contro di lui congiurato, lo sconfigge e il Sanseverino si rifugia a Sinigallia dove morrà all’età di 40 anni.

Nel periodo di dominazione aragonese l’economia non fu delle migliori per Salerno: il porto di Napoli era ormai più grande ed efficiente e, pur restando un importante punto di passaggio il traffico del porto registrò un notevole decremento. Fiorirono molte organizzazioni commerciali riguardanti larghe categorie di affari su di un territorio che va da Amalfi, Avellino, il Cilento e parte di Calabria e Basilicata, ma molti commercianti del territorio avevano spostato le loro attività a Napoli e lo sviluppo della città era scarso rispetto a quello di Cava, Giffoni o Acquamela anche perché molti banchieri ebrei avevano trasferito la loro sede a Cava, Serino, Sarno, ecc.

Nel 1502, per investitura da parte di Ferdinando il Cattolico, il principato torna ai Sanseverino con Roberto II che sposa Isabella, figlia di Don Alfonso e nipote del Re. Loro figlio sarà Ferrante, ultimo magnifico principe di Salerno. 

Ad appena un anno, quando la madre, dopo la morte del marito si risposò, il principe ereditario Ferrante Sanseverino venne affidato alle cure del feudatario di Capaccio Bernardo Villamarino (1512) e della moglie Isabella di Cadorna. Ferrante cresceva insieme alle figlie del conte Isabella e Maria. Morto Bernardo gli successe Isabella, che intanto aveva sposato Ferrante, il compagno d'infanzia, divenuto principe di Salerno. La contessa fu una delle donne più celebrate e ammirate dell'epoca per la sua bellezza, grazia e cultura; anche il marito fu uomo di grande ingegno ma nel 1552 contrastò il sovrano e fu costretto a lasciare il territorio. Isabella si rifugiò in Spagna; alcuni anni dopo, mentre stava per fare ritorno in patria, morì durante il viaggio. In alcuni centri del salernitano si canta ancora un’antica canzone che parla delle sventure di questa Principessa:"Nun me chiamate cchiù donna Sabella…".

Personaggio complesso, Ferrante sarà definito da alcuni vanesio, superbo, privo di buone doti; da altri, invece, verrà descritto come vero esempio di principe rinascimentale, di grandi capacità intellettuali, al servizio del popolo alla cui difesa  offriva le sue capacità  di guerriero. La sua era l’ultima delle grandi famiglie del regno, i suoi possedimenti erano divenuti immensi, egli si riteneva degno di onori da sovrano. Diede alla sua corte notevoli fasti e splendore. Ebbe come maestro il letterato Pomponio Gaurico di Giffoni, curò con perseveranza gli studi, si circondò di personaggi di cultura quali il filosofo Agostino Nifo, chiamò come suo segretario Bernardo Tasso, padre di Torquato. Pur risiedendo abitualmente a Napoli, trasformò il castello di Salerno a sua sontuosa dimora.

Intorno al principe mecenate si formò un vivace gruppo di intellettuali, medici, filosofi, letterati, giuristi  tra i quali Arnaldo da Villanova, Francesco Storella Antonio Mariconda e Scipione Capace  ma è solo un episodio in una città che aveva irrevocabilmente assunto un ruolo di secondo piano.

Ferrante  fu tra i mecenati di Accademie napoletane, alimentate sia culturalmente sia politicamente  dal costante appoggio della nobiltà napoletana. Il Sanseverino fu sostenitore anche dell’Accademia Segreta del Ruscelli. Ma tali accademie furono considerate espressione di valori sovversivi. Il loro rifiuto della norma culturale consolidata  ed i manifesti atteggiamenti politici  antispagnoli furono puniti dalla Chiesa con roghi e processi.

Tale lusso e potere non sfuggirono a Carlo V che per alcuni giorni fu ospite a Salerno, ma a palazzo Ruggi, non volendo salire fino al castello. Anche la bellezza di Isabella non passò inosservata all’Imperatore che, non a torto, guardava con preoccupazione al potente feudatario. Infatti Ferrante, stanco dell’atteggiamento del sovrano, ritenne giunto il momento di organizzare la ribellione. Ma il fidato vicerè Pedro Alvarez de Toledo, informato delle mosse di Ferrante, lo isolò e lo costrinse all’esilio. Significativo dell’atteggiamento di Ferrante è la frase con cui Carlo V rispose ad un messo che il principe gli aveva inviato da Venezia per preparare il diretto incontro col sovrano: "Mira que el Principe quiete capitular con migo" dove “capitular” è inteso come venire a patti, quindi il Principe voleva trattare  da pari a pari, da potenza a potenza, come i suoi stessi antenati avevano fatto in passato coi re di Napoli.[1]

I beni  di Ferrante furono messi in vendita e i gesuiti ottennero da Filippo II la bella dimora di piazza del Gesù per 45000 ducati a "prezzo di favore.  Della bellissima facciata rinascimentale a "bugnato a cristallo" divenuta in seguito la facciata della chiesa barocca del Gesù Nuovo, resta la parte bugnata e la struttura di base. L'autenticità dell'opera è testimoniata da un'epigrafe marmorea posta sulla sinistra dell'edificio e che indica proprio nell'architetto Sanlucano l'autore del complesso commissionato come dimora di Roberto Sanseverino,

La perdita dell'unità goduta coi principi di Sanseverino fu piena di conseguenze per Salerno. I principi erano stati molto amati dalle popolazioni del Salernitano per il loro governo illuminato e giusto: il rapporto diretto che queste genti avevano col principe non poteva essere paragonato a quello col vicerè che usava il Regno di Napoli per rimpinguare le casse della monarchia spagnola.

Il Viceregno segnò un momento tristissimo nella storia di queste terre che, divise tra tanti piccoli proprietari che cercavano soltanto di sfruttarle, videro ridotta al minimo la libertà personale, reso difficile il commercio, i villaggi si spopolarono, le terre furono abbandonate.
Salerno era la seconda città del Regno di Napoli: vi risiedevano amministrazioni importanti, come la Regia Udienza, vi continuavano a fiorire gli studi di Medicina, ma era una città con poco più di diecimila abitanti, e povera di entrate.

Al momento dell'alienazione dei beni dei Sanseverino Salerno fu lasciata nel Demanio regio dietro pagamento di un riscatto. I suoi abitanti temevano continuamente di essere infeudati e per evitare l'infeudazione versavano somme notevoli ai re di Spagna. Ma nel 1565 la città fu venduta a Nicola Grimaldi, duca di Eboli (parente dei principi di Monaco). Nel 1590 Salerno fu di nuovo messa in vendita ed i suoi abitanti offrirono al re di Spagna altri 60.000 ducati per il riscatto. Dopo cinquant'anni dalla caduta di Ferrante Sanseverino il suo principato era ridotto in briciole, la città esausta dal pagamento di tanti riscatti, incapace di risollevarsi.

Nel 1648 Salerno ebbe un ruolo importante nella sommossa di Masaniello: fu un salernitano, Ippolito da Pastena, a condurre la rivolta dopo la morte di Masaniello.
La profonda crisi economica e il divario fra capitale e province fece di Salerno città di nessun peso politico. Agli inizi del secolo XVI, durante il principato di Ferrante Sanseverino, l’antica istituzione salernitana attraversò ancora un felice momento riuscendo a inserirsi di nuovo in un ambito europeo.

Finiti i fasti di Salerno poco ancora dirò della storia della mia città.

 

Ricordiamo in questo periodo (1534) l’insediamento di una vetreria ad opera di Giovanni Yciz, maggiordomo di Ferrante, che fece venire in città maestri vetrai dal Veneto e dall’Umbria. Mentre nel 1634 si ha una svolta nella lavorazione della ceramica per iniziativa del patrizio salernitano Matteo Francesco Grillo che in una sua proprietà fa impiantare una faenza. Questo tipo di artigianato era già tipico della zona se pensiamo che erano gli Etruschi, antichi abitanti della zona, gli esperti nella fabbricazione delle “auricellas”, i contenitori in cui si trasportava il vino.

Tra il Seicento e il Settecento, il Collegio diventò sempre di più una struttura di potere, vantaggiosa sul piano economico e sociale, in cui venivano ammessi anche ecclesiastici e nobili che non avevano nulla a che vedere con la professione del medico. Nel 1657 nasce a Salerno Francesco Solimena, illustre pittore dell’epoca.

Nel 1720 il regno di Napoli, e, quindi, anche Salerno, è unito con la Sicilia sotto la dominazione Austriaca. Nel 1734 inizia la dinastia dei re borbonici a Napoli: le vicende di Salerno seguono  quelle napoletane.

Medaglia 1846 in Argento 37 mm. coniata a Parigi per la visita del Principe di Salerno alla zecca di Parigi. Collezione Francesco di Rauso. Clicca sull'immagine per ingrandire.

Il Principato Citra, come era denominata la provincia, viveva nella più arcaica feudalità anche se le idee illuministe si erano già diffuse in una vivace cerchia di intellettuali raggruppati intorno al Magazzino Enciclopedico, unica rivista stampata a Salerno sullo scorcio del Settecento. Nel 1799 a Salerno divamparono le idee repubblicane. Nel 1799 subisce vari saccheggi da parte delle truppe dei repubblicani francesi. La reazione dei Borbone colpisce anche alcuni esponenti salernitani.  Nel 1800 Foscolo, visita il castello di Salerno che gli rimane impresso tanto da ambientarvi nel 1813 la tragedia “Ricciarda”. Nel 1806, durante il periodo napoleonico, Salerno diviene capoluogo di provincia. Molti conventi e monasteri vengono aboliti e adibiti a caserme ed ancora oggi è questa la destinazione dei conventi di San Francesco di Paola, del monastero di San Giorgio,  del convento di San Domenico e quello di San Benedetto. Nel 1811 viene definitivamente abolita la Scuola Medica Salernitana. Nel 1839 i Gesuiti tornano a Salerno grazie ad un decreto di re Ferdinando II. Ne verranno cacciati nel 1860. Poi comincerà l’unità d’Italia….


Bibliografia

  • A. D’ambrosio: Storia di Napoli dalle origini ad oggi; ed. Nuova E.V. Napoli

  • Paolo Delogu:  Mito di una città meridionale; ed. Liguori

  • A. Carucci:  Paralipomeni salernitani;  ed.Plectica

  • C. Carucci:  La provincia di Salerno dai tempi più remoti al tramonto della fortuna normanna; ed. Biblosteca

  • I.Gallo-L.Troisi:  Salerno, profilo storico cronologico; ed. Palladio

  • Siti internet: www.scuolamedicasalernitena.it - www.napoliontheroad.it/florioizzo.htm - www.storiaonline.org/rassegna - www.campaniafelix.it


Note

[1] Questo mi ricorda l’atteggiamento di Gisulfo II, ultimo principe longobardo di Salerno, quando si recò a Costantinopoli a  parlare con l’imperatore bizantino: da Bisanzio ove s’era recato in cerca di un’alleanza contro i Normanni, <<mandò messaggeri all’Imperatore e chiese cosa che nessun altro domandò, perché voleva che gli fosse preparato il trono e fece annunziare il suo avvento come fosse un altro imperatore>> (Amato, IV c. 37, p 208). Chiese quindi l’esonero dalla proschinesis e il diritto di parlare da pari a pari, stando seduto.  Mi chiedo se non sia l’orgoglio di essere principe di tale territorio a suggerire tali comportamenti.


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Le immagini si riferiscono al panorama ed al Duomo

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