Le pagine di Napoli


Napoli

Lo stemma del Comune di Napoli

di Ciro La Rosa

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Lo Stemma del Comune di Napoli

Araldica e Storia

La nascita dello Stemma Comunale di Napoli è avvolta nelle nebbie della Storia.

La descrizione è pura e semplice: in termini della scienza araldica si definisce “troncato d’oro e di rosso” (1) per i non addetti: uno scudo (in araldica scudo sannitico) diviso in due parti orizzontali di eguale misura, la parte superiore colorata di giallo-oro e la inferiore di rosso;

le colorazioni dello Stemma hanno una spiegazione araldica, nella trascrizione monocromatica, nel seguente modo: la colorazione oro è indicata come “metallo”, si descrive punteggiata (2), simboleggia il sole, rappresenta la forza, la costanza e la ricchezza; il colore rosso è indicato come “smalto”, si descrive con linee verticali dall’alto in basso (2), simboleggia il fuoco, rappresenta il valore della giustizia e dell’amor di Dio, ed è il più nobile di tutti i colori.

Lo stemma cittadino è chiamato di “comunità”, a cui il nostro, era sormontato da una corona ducale, memoria dell’antico governo del Ducato indipendente (dal 755 al 1027).

La Storia remota dello stemma si perde in vari ipotesi: c’è chi ritiene che i colori siano quelli dei vessilli che accolsero in città l’imperatore Costantino e sua madre nel 324 d. C.; altra ipotesi indica che siano il simbolo della “nobiltà generosa” del periodo ducale nel quale la città ha combattuto battaglie vittoriose per ribadire la sua indipendenza; mentre sono relativamente recenti le fonti documentate e materiali sullo stemma comunale. L’insigne Bartolommeo Capasso (1815 – 1900), fondatore della "Società Napoletana di Storia Patria" nel 1876, asserisce che non vi è nessun fondamento sulle varie congetture fatte da vari scrittori di storia locale, unica certezza è che “lo si trova inalterato nei monumenti più antichi”, ma non ne da attestazioni di certezza. La prima attestazione certa risale ad un sigillo apposto su di un documento aragonese del 31 gennaio 1488 nel quale si riferisce che “il possesso dello stemma sarebbe attestato da vari documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Napoli negli archivi della sezione angioina”, andati distrutti nell’incendio dovuto ai bombardamenti della II guerra mondiale; quindi ad oggi non è possibile nessuna verifica fattibile. Lo stemma nel corso dei secoli ha subito variazioni ed aggiunte, salvo i colori che sono rimasti intatti. Lo storico Tutino riferisce, in un suo saggio, che nel 1496 il popolo di Napoli aveva come riferimento nelle adunate una bandiera gialla e rosso “arma della città” caricata delle armi aragonesi, le quali sono ancora visibili nell’Arco di Trionfo, eseguito dal Laurana, di Castel Nuovo (Maschio Angioino) che è uno scudo d’oro a quattro pali di rosso, e su queste basi venne accreditata che l’idea della bicromia dello stemma cittadino risalisse a quella di casa reale d’Aragona.

Tesi smentita da un codice miniato della prima metà del XIV secolo i “Regia Carmina”, opera in versi sulle virtù di re Roberto d’Angiò, nel cui interno vi è una miniatura che riproduce un portabandiera (vexillifer) che sbandiera due insegne diverse: la prima, più grande, è la classica bandiera di casa reale, d’azzurro seminata di gigli d’oro; una seconda, più piccola, “partita” (cioè divisa in senso verticale) giallo-oro e rosso che in effetti è “l’assoluta identità” grafica dello stemma del Comune di Napoli, anche perchè nel Medioevo il trasferimento dei colori dalla bandiera allo scudo avveniva ruotando l’ordine di 90 gradi, così da “partita” si trasformava in “troncato” esattamente nella disposizione attuale dei colori dello stemma Partenopeo. Un altro documento che avvalora questa tesi è un Portolano (carta nautica con elenco dettagliato dei porti di una determinata regione) disegnato su pergamena tra il 1325/30 da Angelino Dall’Orto; sulla città di Napoli è disegnata una bandiera bicromatica gialla a destra (colore della pergamena) e rossa a sinistra, la bandierina corrisponde graficamente allo stemma napoletano; uno storico commentatore del Portolano di Dall’Orto afferma: “non si tratta dello stemma del Reame ma soltanto della città”; quindi è la bandiera attribuita a Napoli almeno un secolo prima della conquista aragonese del Regno di Napoli, che pose fine a 180 anni di reame angioino, comunque si può affermare tranquillamente che quell’insegna esisteva già in epoca angioina e non può essere derivata dallo stesso stemma aragonese.

All’epoca della rivolta di Masaniello del 1647, durante il periodo Vicerale, al centro dello scudo venne posta la lettera P ad indicare la supremazia del popolo, ma si rese lo stemma simile a quello del Sedile del Popolo, e venne sostituita con la lettera C di Civitas. Nel 1866 venne abolita la corona ducale sullo stemma e sostituita con la corona turrita che nella simbologia araldica indica “la volontà di libertà e di indipendenza municipale”. Durante il periodo del fascismo (1922 -1943) lo stemma subì alcune variazioni: la prima nel 1928 lo scudo venne accollato, accostato al fascio littorio, nel 1933 il fascio littorio posto “in capo”, ossia nella parte alta dello scudo. Caduto il regime lo stemma tornò ad essere quello che oggi vediamo.

Scudo accollato

Fascio posto in capo

Attualmente in Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli, al terzo piano vi è un pregevole portale in legno, che conduce nell’antisala della moderna sala “Pignatiello”, dove sulla sua sommità è scolpito un raro stemma del Comune in uno scudo ovale (in araldica detto scudo italico).

Palazzo San Giacomo, il Progetto della Facciata. Clicca per ingrandire

L’Amministrazione comunale nel 2005 con determinazione n. 39 del 21 novembre, bandì un concorso di idee per rilanciare la linea grafica del Comune, stabilendo di mantenere inalterato lo stemma, innovandone la leggibilità ma conservando gli elementi distintivi; ne è scaturito il nuovo logo costituito dall’antico stemma e la nuovo onda come segno innovativo, che dal 1 gennaio 2007 viene utilizzato su tutti gli atti amministrativi ed istituzionali sia cartacei che informatici del Comune di Napoli.

Ciro La Rosa


Le immagini sono del dottor Bernardo Leonardi e del Comune di Napoli

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