Note sull'artista
Giovanni Tizzano nacque il 1° febbraio 1889 a Napoli dove poi morì il 5
novembre 1975.
Nei primi anni della sua adolescenza, egli si formò lavorando come
fonditore per la “Fonderia Artistica Chiurazzi”, esperienza fondamentale
perché qui egli apprese le tecniche di realizzazione di una scultura,
patrimonio di conoscenze che seppe mettere a frutto una volta iniziata
la sua carriera autonoma.
Intorno alla metà degli anni venti, egli conobbe due persone che saranno
fondamentali per la sua vita e per la sua attività artistica: Claude
Matthey, illustre pedagogo di Ginevra e Paolo Ricci, pittore,
giornalista, ma soprattutto attento conoscitore dell’arte.
Fu proprio Matthey ad incoraggiare Giovanni a partecipare, nell’aprile
del 1928, alla XVI Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, dove
presentò un’unica opera “Erminia”, che, molto apprezzata per le sue
qualità innovative, lo rese immediatamente famoso.
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"Erminia"
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La prestigiosa mostra veneziana fu solo la prima tappa della corposa
carriera di Tizzano, a partire dall’esordio nel ’28, lo scultore
partecipò ininterrottamente alla rassegna lagunare fino al 1952.
Nel 1929 espose ad “Autunno Napoletano”, nel Padiglione della Villa
Comunale di Napoli e all’Esposizione Internazionale d’Arte a Barcellona;
nel 1934prese parte alla II Mostra Internazionale D’Arte Coloniale a
Napoli e alla Mostra d’Arte in Svizzera.
Nel 1939 espose alla III Quadriennale di Roma, alla quale partecipò fino
alla VII edizione, nel 1960.
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"Bianca"
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Gli anni ‘40, poi, furono particolarmente fitti per Tizzano, che ebbe
alcune personali, come quella di Milano, alla Casa d’Artisti e, nel
1942, alla Galleria Forti di Napoli, che aveva quasi una vetrina
permanente della sua produzione.
Nel 1943 espose alla Galleria di Roma e nel 1948 alla I Annuale
Nazionale d’arte a Cava dei Tirreni.
In occasione della XVI Biennale d’Arte di Venezia, la stampa italiana
rivelò che la sua opera, intitolata Testa di bimba (o Erminia), era
stata accettata dalla Commissione costituita dalla commissione
costituita da artisti del calibro di Mario Sironi, Ardengo Soffici,
Felice Casorati, Antonio Maraini e Napoleone Martinuzzi.
Ciò che più colpì dell’opera di Tizzano, che era il ritratto della
figlia maggiore, era il suo carattere innovativo: essa, infatti, <<
nulla aveva di patetico e di intenerito>> ma era <<modellata con una
violenza di tratti e con una furia deformante per niente “napoletana”;
almeno di ciò che allora si ritiene sia il tratto distintivo dell’arte
partenopea, cioè la propensione al sentimentalismo, “grazioso” e al
pittoresco>>.
Nelle successive Biennali, egli espose soprattutto ritratti di donne e
fanciulle, come “ La Pelliccia” e “Fior di Maria”, tutte opere, che
rivelano la sua predilezione per i soggetti tratti dalla vita quotidiana
ed, in particolar modo, per le persone a lui più care, come i familiari
e gli amici.
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"Testa di Giovinetta"
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Sicuramente l’edizione più importante per lo scultore fu la XXII,
tenutasi da maggio ad ottobre 1940: qui egli si mise in luce grazie ad
una personale di ben 32 bronzi con la quale ebbe, quindi, lo spazio e
l’attenzione che meritava.
Questa selezione di opere era perfettamente in linea con la produzione
di Tizzano presentata negli anni precedenti: si trattava di ritratti
intensi ed energicamente espressivi che, al contempo, testimoniavano la
sua passione ed il sentimento poetico che avevano guidato le mani dello
scultore; ritrattti di bimbi, come “Preghiera del grano” e “Ariano e
Corallina” ritratti di donna, come “Aurora” e “Al Liston”, e di persone
vicine all’artista, come “Il padre del pittore Cortiello”, erano ancora
il suo biglietto da visita.
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"Ariano e Corallina in vacanze liete"
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Negli anni successivi, questa caratteristica rimase invariata: ormai
Tizzano era conosciuto come lo scultore capace di dare voce ai più
intimi drammi ed alle più nascoste emozioni dei soggetti che ritraeva.
Lo stesso discorso può essere fatto per le Quadriennali di Roma: i
lavori qui esposti, infatti, non si discostavano da quelli portati a
Venezia: sculture come “Beata”, “il Seminarista”, “Festa in Famiglia”
(presentate nel ’39) incontrarono il placito del pubblico e della
critica per quelle stesse qualità, per le quali erano state tanto
elogiate le opere “veneziane”.
Alla VI Quadriennale di Roma del 1952, Tizzano ebbe una personale, dove
presentò ben 18 sculture, tutti bronzi ad eccezione di “Vittoria”, una
imponente testa di donna in gesso.
Nonostante il successo ottenuto, le sculture presentate nelle varie
esposizioni nazionali ed internazionali non rappresentano completamente
il corpus tizzaniano: "testine di bimbi, ritratti inteneriti e certi
frammenti preziosi, che sono i temi più preziosi, che sono più
frequentemente apparsi nelle mostre di questi anni e che hanno valso
all’artista l’ingiusta qualifica di intimista post-rossiano, non sono
che una parte secondaria della produzione scultorea di Tizzano. Difatti
egli non ha mai potuto mostrare, tranne che ai più intimi, il vero
corpus della sua opera, non ha mai potuto dare la vera misura del suo
talento.
Tizzano ha modellato decine e decine di sculture di grande respiro: nudi
o gruppi grandi al vero e più grandi del vero, dalle quali traspare
tutta la serietà e la profondità della sua educazione artistica, in cui
è messa a frutto genialmente l’antica esperienza di cesellatore, di
profondo conoscitore dei bronzi ercolanensi del Museo di Napoli.
Intorno alla metà degli anni ’60, si defilò, un po’ per gli acciacchi
della vecchiaia, un po’ perché non si sentiva compreso dall’ambiente
partenopeo.
Egli, evitò di esporre a mostre nazionali ed internazionali e dovette
limitarsi a presentare soltanto quella parte della sua produzione più
facilmente comprensibile dagli amatori locali:<< frammenti raffinati di
opere di più ampio respiro, particolari testine di bimbi, maschere
sensibili ed espressive modellate con fierezza e straordinaria
penetrazione psicologica; tutta una produzione, insomma, che, avulsa dal
contesto della sua opera complessiva, nella quale dominano soprattutto
grandi nudi femminili e sculture articolate nei gesti e nei contenuti,
offriva un’idea assolutamente riduttiva del significato profondo
dell’arte di Tizzano".
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"Ebrezza",
statua in cera
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Di fondamentale importanza ai fini di una completa conoscenza del corpus
tizzaniano è la statuaria, ovvero le opere di grandi dimensioni.
Purtroppo, questa produzione è rimasta inedita perché, sia per pudore,
sia per carenza di finanze, egli dovette tenerla nascosta; le sue statue
filiformi, goticizzanti le ha tenute raccolte, fino alla sua morte, in
depositi bui o negli scantinati polverosi, nascoste ad ogni sguardo.
Dopo la sua morte queste opere furono portate al Museo di Capodimonte,
ma purtroppo, ad esse non fu mai destinata una sala di esposizione
permanente.
Alcuni anni fa, queste sculture sono state trasferite a Castel
Sant’Elmo, dove sono state riposte in un deposito lontane dalla sguardo
del pubblico ed esposte all’usura dell’umidità e del trascorrere del
tempo.
Di queste opere solo una, oggi è esposta al Museo del ‘900 a Castel
Sant’Elmo - Napoli: si tratta di “Totem” (1934) un meraviglioso gesso
policromo .
Molto presto verranno esposte, al Museo Civico del Maschio Angioino a
Napoli, venti sculture in gesso, donate dagli eredi Tizzano al Comune di
Napoli.
Molti critici ed estimatori d’arte hanno definito Giovanni Tizzano uno
dei migliori scultori italiani del ‘900 paragonando a Medardo Rosso ed a
Vincenzo Gemito
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"Emozione"
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Medardo Rosso - Giovanni Tizzano
Molti critici si sono soffermati sui punti in comune tra il suo stile e
quello dello scultore lombardo Medardo Rosso: in entrambi c’è la ricerca
del vero, quindi la propensione verso il realismo unito alla
penetrazione psicologica e caratteriale del soggetto ritratto, e la
scelta di temi contemporanei come la gente comune e la vita moderna; in
secondo luogo, sia Rosso che Tizzano dimostrarono particolare
attaccamento verso i bambini, soggetto, quindi, ricorrente in entrambi.
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"La ragazza forestiera"
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Vincenzo Gemito - Giovanni Tizzano
Per quanto riguarda, Vincenzo Gemito, Tizzano conosceva molto più da
vicino la sua arte e la sua abilità di cesellatore.
Possiamo affermare, però, che la similitudine Gemito-Tizzano, riguardi
essenzialmente la “poetica”, basata sullo studio e l’approfondimento
dell’arte classica e sull’osservazione del vero, e la "tecnica": lo
scultore Tizzano rivela, soprattutto nei ritratti, i modi del
cesellatore che nella tecnica richiamano Gemito. |