Le Pagine di Storia

La battaglia di Caiazzo

di Ciro La Rosa

 

Nel 1860, Caiazzo, era il passaggio obbligato dei Regi che da Capua (poderosa fortificazione simile alla odierna città militare della Cecchigliola nei pressi di Roma) avessero voluto raggiungere Caserta passando per i ponti dell’acquedotto Carolino. La sua importanza strategica era vitale, perché una volta raggiunta Caserta sarebbe stato facile ributtare i Garibaldini a mare.

Fatta questa breve premessa parliamo degli avvenimenti.

Il Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa si era acquartierato a Caiazzo proprio per la sua posizione strategica. Già nei giorni 17 e 18 settembre si ebbero delle scaramucce tra i Regi e i Garibaldini che fecero da preludio a quella che sarebbe stata la 1a battaglia di Caiazzo del 19 settembre 1860. Il giorno 17 vi furono movimenti di colonne di truppe garibaldine sulla riva sinistra del Volturno e per impedirne il passaggio, Ferdinando mandò sulla riva destra una squadra di 80 uomini per distruggere le scafe [1] di Alvignanello, Campagnano e Squille. Nel frattempo i Garibaldini avevano già guadato il fiume nei pressi della cittadina di Amorosi, ma i Regi condotti dal capitano Laus ed affiancati dai contadini della zona li respinsero. Ferdinando mandò truppe di rincalzo per assicurarsi la tenuta da un eventuale nuovo attacco dei Garibaldini e nello stesso tempo informò il Generale Ritucci che si sospettava un assalto del nemico per impadronirsi di Caiazzo [2].

Il 18 ci furono spostamenti di colonne avanzate di truppe borboniche verso San Leucio, ciò stava a dimostrare come da un momento all’altro si era pronti a scontrarsi. Il giorno 19 si ebbero scontri violentissimi a Roccaromana, Gradilli, San Leucio, Capua e Caiazzo.

Per quanto concerne la città di Caiazzo, il giorno 19 il comandante garibaldino Turr, per contrastare il prevedibile attacco dei Regi che volevano stanare i volontari da Caserta, mandò il Cattabeni a Caiazzo e, per facilitare l’occupazione della città, simulò un attacco diversivo contro Capua, e come diceva Garibaldi: “non disperava mai della sua arma principale il tradimento” [3], come appresso si vedrà.

Come si è detto, a difesa di Caiazzo c’era il Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa con il 6° Cacciatori, più due squadroni dell’8° Cacciatori a Cavallo con due obici. Il Cattabeni, informato delle forze Regie che ammontavano in tutto a 600 uomini, pensò di attaccare il paese verso le 4.30 a.m. [4]. Poiché non poteva affrontare i Regi in campo aperto - come egli stesso diceva: “[Caiazzo è] posizione formidabile per imboscate” [5], agì con l’inganno, sfruttando il tradimento di un fiorentino abitante in Caiazzo di nome Manetti – ex agente di Casa Corsi, i signori di Caiazzo di discendenza toscana ed anti borbonici. Questi alle ore 5.30 a.m. introdusse i Garibaldini nel giardino di casa Corsi [6], ancor oggi esistente, che dilagarono in paese. Ferdinando, colto di sorpresa, ripiegò verso la località di Piana per impedire ai Garibaldini di immettersi per la strada che dalla collina, salendo, portava a Caiazzo, attestandosi a Gradillo e comunque bloccando l’accesso ad ogni strada che potesse portare al paese [7].

Nel frattempo in paese furono innalzare barricate un po’ dappertutto: a Porta Pace, Porta Anzia di fianco al palazzo Corsi – da dove erano entrati i garibaldini - al palazzo Maturi che si trovava sulla strada per Capua e quindi per Caserta [8]. In questo infuriare la popolazione, devota ai Borbone, disgustata dal repentino voltagabbana della nobiltà caiatina che già acclamava i garibaldini, si ribellò e dopo aver disarmato la Guardia Nazionale assalì le case dei notabili traditori. Tra i più ardimentosi vi fu Nicola Santacroce, ex caporale delle Guardie Regie.

Intanto il Turr capì che doveva necessariamente ritirare i suoi da Caiazzo, sia per aver saggiato le forze e la consistenza dei Regi, sia per la durissima opposizione della popolazione che rendeva impossibile l’arroccamento sulla posizione. Garibaldi però ordinò la resistenza, pur sapendo di rischiare il massacro dei suoi. Le forze del Cattabeni consistevano in 350 uomini, pochi per presidiare il paese. Egli chiese rinforzi e da Caserta fu mandato il reggimento del Vacchieri della divisione Medici forte di 1.119 uomini, che arrivo a Caiazzo il giorno 20 alle ore 11 a.m. [9], che si attestò a difesa.

Il giorno 21, che si può a ragione definire la seconda battaglia di Caiazzo, i Regi attestati a Gradillo furono attaccati alle 5 del mattino dal reggimento del Vacchieri che stava effettuando una perlustrazione sulle colline di Caiazzo. Il Ten. Col. Ferdinando La Rosa comunicò al generale Colonna, comandante della 2a divisione sulla linea da Triflisco a Caiazzo “di essere stato attaccato dal nemico in numero tale da rendere impossibile la resistenza senza ripiegare”, chiedendo nel contempo rinforzi.

Il Generale Colonna, senza attendere ordini dal Maresciallo Ritucci [10] che già voleva riprendere la cittadina il 19, mandò una colonna mobile composta dal 4° Cacciatori al comando del Tenente Colonnello Della Rocca, una sezione d’artiglieria e uno squadrone di Dragoni in aiuto della colonna La Rosa, attestatasi a piana di Caiazzo.

Intanto il maresciallo Ritucci, che si era recato dal generale Colonna per ordinargli di riprendere Caiazzo il 22, venne messo al corrente degli eventi e giudicò insufficienti le forze impiegate e mandò di rincalzo il Brigadiere De Mechel con l’intera Brigata di Carabinieri Esteri (Svizzeri) con la batteria d’artiglieria da campo; il battaglione dell’8° Cacciatori a cavallo dell’aiutante maggiore Fondacaro venne spedito a marce forzate perché lo scontro era già iniziato. Infatti la colonna La Rosa aveva ingaggiato combattimenti con il nemico tra Formicola e Triflisco ed aveva respinto i Garibaldini.

Il generale Colonna, tramite l’aiutante di campo Andrea Colonna del 1° Dragoni, comunicò a Ferdinando di rioccupare immediatamente Caiazzo, e l’ordine venne eseguito.

Ferdinando, che comandava la prima colonna, ordinò di attaccare da tre lati; il 6° Cacciatori in ordine sparso per arginare la collina San Giovanni dal lato destro, a sinistra con una sezione d’artiglieria dell’alfiere D’Agata e una compagnia del 6° Cacciatori, al centro il 4° Cacciatori sulla strada consolare [11].

I Garibaldini situati negli avamposti iniziarono il ripiegamento martellati dalle batterie dei Regi che colpivano anche le barricate situate presso Porta Venere. La cavalleria borbonica, che caricava su ordine di Ferdinando, fu costretta a ripiegare presa dal fuoco d’infilata di una barricata, ma rianimata dalla colonna che li seguiva, si spinse nuovamente e con coraggio in avanti per la strada Consolare, con alla testa lo stesso Ferdinando che cadde colpito gravemente presso l’ex convento dei Cappuccini, mentre iniziava una manovra di sganciamento per evitare l’accerchiamento ed un inutile massacro dei suoi uomini.

La battaglia si concluse con una netta vittoria dei Borbonici, si contarono 1.100 tra morti e feriti e 700 prigionieri garibaldini (gli effettivi di 4 battaglioni), mentre per i Napoletani si ebbero 300 morti, tra cui lo stesso comandante La Rosa, che morì per le ferite riportate in Capua il giorno 22. La vittoria non venne sfruttata adeguatamente: nel pieno dello slancio si sarebbe potuto proseguire per Caserta, forti dello sbandamento dei Garibaldino i quali avevano per la prima volta assaggiato, stupefatti, il morso dei Napoletani. Il Ritucci decise invece di restare sulle posizioni acquisite. Da notare che i soldati borbonici, con un vero senso di umanità e di cavalleria, aiutarono molti garibaldini che rischiavano di affogare nel fiume traendoli in salvo, evitando di sparargli alle spalle nel momento di difficoltà.

Con la vittoria di Caiazzo si infrangeva il mito di Garibaldi eterno vincitore, ciò stava a dimostrare che quando le battaglie non venivano condizionate dalla corruzione e dal tradimento la vittoria non era dalla parte di Garibaldi. Riuscì a vincere sempre corrompendo le elites militari e politiche avversarie. Ma quando fu costretto a misurare le sue forze, realmente, in campo aperto, le sue azioni si risolsero in un disastro. Dopo Caiazzo la campagna militare di Garibaldi divenne difensiva e l’unica azione militare offensiva presso la cittadina di Nullo in Molise, si concluse in un disastro….” [12]

Poi arrivarono i Piemontesi e tutti sappiamo come è andata a finire. Concludo con una considerazione che non mia, ma che faccio mia perché la sento nell’animo, che venne espressa dal curatore dell’edizione del 1960 del tomo “L’Alfiere” di Carlo Alianiello:

Erano anch’essi degli Italiani, coloro che servivano lealmente casa Borbone delle Due Sicilie e morirono combattendo per la loro Patria, perché le lapidi e i monumenti ricordano e celebrano soltanto i garibaldini e i soldati dell’Armata Sarda? Questi si e gli altri no? Se molte cose, istituzioni, regni, repubbliche crollano fatalmente e marciscono, la dignità dell’Essere, l’Essere Umano, che è giustizia e carità resta sempre più in alto delle cose terrene e delle vicende umane e va difesa su tutto!” Aggiungo: Perciò, mi chiedo, sarà possibile un giorno erigere monumenti anche al Soldato Napoletano e ristabilire le verità storica su quei tragici eventi e chiamarli con il loro vero nome ossia conquista e colonizzazione piemontese?


Saggio presentato da Ciro La Rosa al Convegno sulla battaglia di Caiazzo, 20 settembre 2008


Note

[1] Le scafe erano delle barche molto grosse a fondo piatto azionate a braccia tramite funi poste alle due rive servivano al trasporto di persone, animali e cose.

[2] Delli Franci, Cronica della campagna d’autunno 1860, pagg. 9-10

[3] De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, pag. 255

[4] Rapporto Cattabeni al Turr, A. M. R. fascicolo 257/18

[5] Rapporto Cattabeni al Turr - A. M. R. collocazione citata

[6] Estratto da “I Borboni delle due Sicilie” capitolo elaborato dal Cucencentroli pagina 174, edito dal Poligrafico dello Stato.

[7] Iodice, La Battaglia del Volturno, pagg. 84-85

[8] Severino, Gli sfortunati prodromi della battaglia del Volturno, pagg. 18-20

[9] Agrati, Da Palermo al Volturno, pagg. 476-477

[10] Ritucci, Commenti Confutatorii del Ten. Gen. Ritucci sulla campagna dell’Esercito Napoletano, pag. 35

[11] Rapporto del generale Colonna sulla “Gazzetta di Gaeta” n. 5 del 30 settembre 1860.

[12] Francesco Maurizio Di Giovine, Gli eroi del Volturno: Il tenente colonnello Ferdinando La Rosa e il mito infranto di Garibaldi, pag. 10


Bibliografia

  • H. Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli – 1825 1861, Edizioni Martello 1968, Milano

  • AA. VV. I Borbone di Napoli, Poligrafico dello Stato 1990, Roma

  • C. Agrati, Da Palermo al Volturno, Edizioni Mondadori 1937, Milano

  • G. Buttà, Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta, Edizioni Berisio ristampa 1966, Napoli

  • G. Delli Franci,  Cronica della campagna d’autunno del 1860, 1870, Napoli

  • G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Edizioni Berisio ristampa 1969

  • F. M. Di Giovine, Gli eroi del Volturno: il Tenente Colonnello Ferdinando La Rosa e il mito infranto di Garibaldi, edito in proprio, 2006

  • A. Iodice, La battaglia del Volturno, Edizioni Lauretane 1990, Napoli

  • G. Rodney Mundy, La fine delle Due Sicilie e la Marina britannica, Edizioni Berisio ristampa 1966, Napoli

  • A. Mangone, L’Armata Napoletana (dal Volturno a Gaeta) 1860/61, Edizioni F. Fiorentino 1972, Napoli

  • G. Palmieri, Cenno storico militare dal 1859 al 1861, 1861.

  • G. Ritucci, Comenti confutatorii del ten. Gen. Giosuè Ritucci, 1870, Napoli

  • R.M. Selvaggi, Nomi e volti di un esercito dimenticato, Edizioni Grimaldi 1990, Napoli

  • L. Severino, Gli sfortunati prodromi della battaglia del Volturno: Caiazzo, Edizioni Pro Loco 1950, Piedimonte d’Alife


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