Le pagine di Napoli

La Città Martire

Il terrore che viene dal cielo 1940/1944

di Ciro La Rosa

Napoli 1942, via Marittima fronte area portuale

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Napoli è stata la città italiana maggiormente danneggiata dai bombardamenti durante il secondo conflitto mondiale. Porto principale verso l’Africa e capolinea delle rotte marittime verso la Libia, Napoli e le sue zone limitrofe ospitavano industrie di interesse strategico, sia civili che militari come il silurificio di Baia, le officine Avio di Pomigliano,i Cantieri Navali, le industrie della zona di Poggioreale, l’ILVA di Bagnoli ed innumerevoli altre. Ben 24.000 bombe furono sganciate in 130 incursioni che provocarono 22.000 morti e distrussero 252.000 vani, pari al quaranta per cento del patrimonio abitativo della città.

Via Toledo dopo un bombardamento

Il bilancio non fu definitivo, perché nel dopoguerra gli edifici continuarono a crollare fino alla fine degli agli anni ’50; dissesti e voragini si verificarono nel sottosuolo che era stato sconvolto dagli scoppi che ne avevano modificato in peggio l’assetto idrogeologico. Alcune zone della città sono state ricostruite solo alla fine degli anni ’80: la strada di via Marina, la zona portuale, è stata interamente riaperta al traffico nei primi anni ’90 ed è tuttora in atto la ricostruzione di palazzi diroccati dai bombardamenti. Ancora oggi, secolo XXI, in alcuni quartieri popolari restano cicatrici indelebili dei bombardamenti e la memoria si perpetua nelle lapidi recanti i nomi dei cittadini inermi periti nelle incursioni.

Stadio Partenopeo (ex Ascarelli). Archivio Ciro La Rosa

Andarono perse irrimediabilmente testimonianze magnifiche di “architettura razionalistica” volute nel ventennio fascista, splendido esempio di modernità, tra le quali sono emblematiche le distruzioni totali di alcuni edifici pubblici mai più ricostruiti, che diedero adito negli anni ’50 ad una selvaggia speculazione edilizia. Valgano come esempio lo Stadio Partenopeo (ex Ascarelli) e la Piscina XXVIII ottobre ( data della Marcia su Roma). Lo stadio venne progettato da Amedeo d’Albora ed inaugurato nel 1934 (XII E.F.), mentre di un avveniristico ardito era la Piscina, inaugurata nel 1938 (XVI E.F.), colpiva la singolare volta ordita (costruita) su archi parabolici di cemento armato; colpiti e distrutti dal bombardamento del 10 luglio del 1941, sulla loro area vennero costruite le case del Rione Popolare Ascarelli sul finire degli anni ’50.

Una squadriglia di bombardieri B-29. In alto un Wellington della RAF

La salvezza della popolazione era affidata alla “discesa agli inferi”, cioè nei 400 ricoveri ricavati nelle cavità della città sotterranea, che le autorità municipali pensarono di utilizzare quale unica via di scampo, grazie all’intuizione di un geniale ingegnere del Comune di Napoli, Guglielmo Melisurgo, che riadattò le cave di tufo e le cisterne della Napoli sotterranea degli antichi greci e romani, rendendole abitabili, realizzandovi servizi igienici, impianti di illuminazione ed idrici, e dove c’era la possibilità anche per il pronto soccorso. Inoltre fu fatto obbligo ai proprietari di fabbricati sforniti di ricoveri, di destinare come rifugio i locali sotterranei (scantinati), riadattandoli alla bisogna, cui vanno aggiunti tutti quei locali sotterranei dove ci si poteva ricoverare con una buona sicurezza come gallerie stradali, ferroviarie, acquedotti.

Santino con preghiera per proteggersi dalle incursioni aeree stampato a Napoli (immagine di proprietà di Franco Ceresi)

Molti utilizzarono come rifugio i tunnel cittadini, come la galleria stradale “Quattro Giornate” all’epoca “IX Maggio” (proclamazione dell’Impero), quella del Chiatamone (zona di Santa Lucia) dove venne trasferito l’Arsenale della Marina Militare, le gallerie della funicolare e della metropolitana le più famose quella di “Cavour” e “Montesanto”. Tuttavia, la vita nei ricoveri non era delle migliori: il terrore, la sporcizia, il senso di impotenza, di essere incapaci di gestire la propria vita, la condizione di progressiva fragilità, la coabitazione forzata nella più assoluta promiscuità, dettero ai coraggiosi miei concittadini un’acuta coscienza della grave situazione.

Caccia italiani Fiat CR 42 "Falco"

I ricoveri erano mal tenuti e affollati, le norme dell’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiaerea) prevedevano provviste d’acqua, cloruro di calce per disinfettare, sabbia, pale, torce elettriche, pronto soccorso, viveri che diventarono man mano sempre più insufficienti quando più pesante divenne il precipitare degli eventi bellici. Malgrado tutto, i ricoveri salvarono migliaia di vite, ubicati un poco dovunque in città: da Posillipo a Fuorigrotta, nelle Fontanelle a Piazza San Gaetano, ai Quartieri Spagnoli, al Cavone di Piazza Dante, a Piazzetta Augusteo, e come detto nei tunnel stradali, nelle gallerie, nelle stazioni della metropolitana.

Un caccia Fiat G50 in volo

I bombardamenti colpirono Napoli dal 1° novembre 1940 al 14 maggio 1944. Gli ultimi, poco efficaci e rivolti principalmente alle strutture militari alleate, furono effettuati dai Tedeschi. Le incursioni più spaventose si ebbero nel 1943, rivolte a piegare la resistenza ed a terrorizzare la popolazione. L’arrivo dei bombardieri nemici fu preavvisato dal lugubre ululato delle sirene fin quando fu possibile, perché in seguito ai danneggiamenti la rete divenne mal funzionate, e vennero quindi utilizzati al loro posto come preavvisi le campane, le sirene delle navi nel porto, ed infine colpi di cannone della contraerea.

 

Aldo Stefanile "I cento bombardamenti di Napoli. I tempi delle am-lire"

 

Gastone Mazzanti "obiettivo Napoli"

Gli Inglesi iniziarono i bombardamenti tra la notte del 31 ottobre ed il 1° novembre 1940; gli Americani, che furono i più accaniti, il 4 dicembre 1942, ed inaugurarono anche la tecnica del mitragliamento a terra della popolazione inerme in cerca di riparo. Afferma Aldo Stefanile nel suo libro “I cento bombardamenti di Napoli. I tempi delle am-lire” edizioni Marotta 1968, che la data del 4 dicembre 1942 “è scritta a caratteri indelebili nella storia della città”. L’attacco, proveniente da basi egiziane, aveva come obiettivo dichiarato le navi da guerra e da carico ormeggiate nel porto, ma immancabilmente fu colpito anche il centro della città. L’attacco non fu intercettato perché gli apparecchi americani si accodarono ad alcuni caccia tedeschi che rientravano da una missione. In quel giorno perirono 400 persone e 300 furono feriti, il porto fu danneggiato irrimediabilmente e vennero colpiti due tram carichi di passeggeri.

L'incrociatore "Muzio Attendolo"

Testimoni raccontarono che sul tram n.9 “i morti erano seduti, composti come se fossero vivi, in attesa di partenza”, deceduti per l’effetto dello schiacciamento dell’aria dovuto alla pressione provocata dalle esplosioni. 200 dei morti erano marinai dell’incrociatore “Muzio Attendolo” che, centrato dalle bombe nella “Santa Barbara”, si rovesciò subitaneamente. Altre due navi furono danneggiate: l’incrociatore “l’Eugenio di Savoia”, che ebbe 17 morti, e il “Montecuccoli” che ne ebbe 44.

4 dicembre 1942, gli ultimi istanti del "Muzio Attendolo"

Dal libro di Carlo Saggiomo, “I Cacciatori del Vesuvio” pagina 39: “La gente cominciava a portare all’occhiello le striscette nere con le stellette bianche, simbolo del lutto familiare a seguito di bombardamento“.

Foto di Flora Chiantese

Il 1943 fu l’anno più tragico con 3.000 morti, basti pensare all’incursione dell’11 gennaio, quando crollò un ricovero in via Salvator Rosa e si decise di ricoprire le rovine con la calce, poiché era impossibile recuperare i corpi martoriati (i pietosi resti sono stati definitivamente recuperati negli anni ’50). La più tremenda fu quella del 4 agosto che colpì i quartieri più decentrati della città, da Bagnoli a piazza Carlo III, passando per il centro storico. In quel giorno Napoli subì la perdita più emblematica, il complesso monumentale di Santa Chiara.

Santa Chiara dopo il bombardamento

Il patrimonio artistico venne gravemente danneggiato, alcune chiese non vennero più ricostruite, sculture, quadri ed affreschi, documenti cartacei irrimediabilmente persi per sempre, venne bombardato anche l’Archivio di Stato, nonostante le misure preventive adottate con i codici internazionalmente riconosciuti, come i grandi triangoli bianchi e gialli tracciati su chiese, musei, edifici di interesse culturale, castelli ed ospedali, volutamente ignorati dagli Alleati.

Fortezze volanti USAF

La testimonianza di uno noto scrittore napoletano Mario Scognamiglio: “…i napoletani della mia generazione, quelli che come me, brutalmente defraudati dell’adolescenza, furono costretti da una guerra infame a maturare in fretta, diventando adulti a dodici anni, non dimenticheranno mai la terrificante estate del 1943, che registrò il totale collasso di Napoli, una città stremata, ormai priva di difesa antiaerea, bersagliata quotidianamente da valanghe e valanghe di bombe assassine; ordigni di morte, firmati da maramaldi strateghi del terrore, sganciati alla cieca da macroscopici stormi di Liberators, trecento, quattrocento per raid, che rasero al suolo interi rioni,distruggendo ospedali, scuole, chiese e musei, seppellendo sotto le rovine delle loro case migliaia e migliaia di persone, in gran parte donne e bambini. Ricordo in particolare, per averla vissuta sulla mia pelle, l’apocalittica incursione del 4 agosto di quel maledettissimo anno, il più micidiale attacco aereo subito dai napoletani durante la guerra; un bombardamento di inaudita ferocia, di incommensurabile viltà. Sbucando a sorpresa da dietro il Vesuvio - erano le ore tredici e trenta di una caldissima e afosa giornata - quattrocento fortezze volanti della “Mediterranean Bomber Command” invasero il cielo di tutti i quartieri della città, da Borgo Loreto a Santa Lucia, da Porta Capuana agli antichi Decumani,scaricando migliaia di bombe dirompenti e incendiarie sulla popolazione civile,terrorizzandola, massacrandola, uccidendo intere famiglie. Durò un’ora e mezzo quella mattanza, poi, compiuta la “missione”, i Liberators tornarono indenni alle loro basi, lasciandosi dietro le rovine fumanti di una grande, illustre città. Crollarono quel giorno case popolari e palazzi storici, orfanotrofi, alberghi e ospedali; crollò anche, centrato da tonnellate di tritolo, uno dei luoghi più cari ai napoletani, la chiesa trecentesca di Santa Chiara, affossando sotto le arcate sbriciolate di Masuccio, i sarcofaghi dei re di Napoli, i bassorilievi di Antonio Bamboccio e gli affreschi polverizzati di Giotto. Ancora oggi dopo tanti anni, quando i ricordi mi riportano a quel tragico 4 agosto, mi rintronano negli orecchi i sibili lancinanti delle bombe,il fragore terrificante delle esplosioni, le urla delle donne; rivedo emergere dalle rovine delle case del mio quartiere, barcollanti, imbiancate dai calcinacci,le figure spettrali dei sopravvissuti; rivedo me stesso, mia madre, i miei piccoli quattro fratelli, coi volti terrei, gli occhi sbarrati, annichiliti dal terrore…”.

Coloro che non smisero mai di prodigarsi con grandissimo spirito di sacrificio furono i Vigili del Fuoco, coordinati dal valoroso comandante ingegner Francesco Tirone e dell’ingegnere Antonio Della Morte.. Ricorda Aldo Gioia nel suo libro “Frammenti di Napoli”: “I napoletani con gratitudine, li soprannominarono “e’ ccape e’ fierro” dal caratteristico copricapo, si spostavano in squadre di soccorso per raggiungere i presidi periferici appena avvistati gli apparecchi nemici”.

Un commosso ricordo va ai 30 piloti, di cui 16 caduti in combattimento, del 22° Gruppo Caccia denominato “Cacciatori del Vesuvio”, il cui medagliere è decorato da 1 medaglia d’oro alla memoria, 3 d’argento “sul campo” e 4 di bronzo anch’esse “sul campo” tutte al Valor Militare. Al Comando del Capitano Pilota Vittorio Minguzzi, essi difesero il cielo di Napoli dal giugno del 1940 al settembre 1943, male armati con gli antiquati biplani Fiat CR 42 “Falco”, i monoplani Fiat G50 “Freccia” e Macchi 200 “Saetta” (i moderni Macchi 205, Reggiane 2005 e Fiat G55 giunsero troppo tardi). Agli eroici piloti è stato recentemente reso omaggio con il libro del generale pilota dell’Aeronautica dr. Carlo Saggiomo dal titolo “Cacciatori del Vesuvio”, edito da Controcorrente nell’anno 2007. Diedero filo da torcere al nemico, degnamente coadiuvati dalla difesa a terra della DI.C.A.T., DIfesa ContrAerea Territoriale, dalla XIX Legione Milizia Contraerea delle Camice Nere, coordinati dalla Regia Aeronautica e dall’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antincendio). Quest’ultima, insieme ai capi-palazzo responsabili dell’evacuazioni degli stabili, provvedevano al soccorso dei civili, allo spegnimento degli incendi nei palazzi e nei rifugi.

Il logo dell'UNPA

Il Comando Provinciale dell’U.N.P.A.aveva sede presso la Caserma in via Monte di Dio, ora caserma della Polizia di Stato, il suo comandante era l'ing. Giulio Vitolo, i Comandi di Settore erano sette, stanziati in: quartiere Chiaia presso la sede della Municipalità in piazza Santa Caterina, quartiere Montecalvario nella sede della Municipalità in via San Matteo, quartiere Miano nella sede della scuola elementare in via Croce, quartiere Avvocata nella Galleria Principe di Napoli, quartiere Poggioreale presso la scuola elementare in via Ferriera, quartiere Ponticelli nella scuola elementare in via Aprea, quartiere Porto nella sede della Municipalità in via Flavio Gioia.

Il porto bombardato

È stata bersaglio di attacchi aerei come poche città al mondo nel corso della seconda guerra mondale….La città visse una delle sue fasi più difficili e tristi: miseria, fame, malattie. Eppure questa inaudita e sistematica opera di devastazione non fiaccò la capacità di reazione, lo spirito solidale, la voglia di ricominciare del popolo napoletano…” (Antonio Bassolino).

Ciro La Rosa (ego sum)

Febbraio 2010

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Testo ed immagini della pagina di Ciro La Rosa, riproduzione vietata. Si ringrazia il signor Francesco Ceresi per la messa a disposizione del materiale in suo possesso. Parimenti si ringrazia l'Archivio Vigili del Fuoco città di Napoli per la concessione di immagini.

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