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Le finanze napoletane, da
Scialoja
a
Einaudi
passando per
Nitti
di Michele Eugenio Di Carlo
Dopo l’attentato del dicembre 1856 alla vita di
Ferdinando II di Borbone, a produrre una robusta
detonazione nel clima politico e sociale napoletano
era stato Antonio Scialoja con un opuscolo[1]
che metteva a confronto i bilanci napoletani con
quelli torinesi, sostenendo la superiorità delle
politiche economiche piemontesi rispetto a quelle
napoletane.
Scialoja, ritenuto uno dei
migliori economisti italiani, aveva nel 1840
pubblicato ad appena 23 anni “I Principi di economia
sociale esposti in ordine ideologico”[2],
nel 1846 insegnava Politica economica all’Università
di Torino. Tornato a Napoli nel 1848 veniva nominato
ministro dell’Agricoltura e del Commercio nel
governo costituzionale di Carlo Troja. Nel
1852 tornava da esule a Torino, riprendendo il suo
incaricato di docente all’Università e veniva
aggregato al Ministero delle Finanze per indirizzare
la politica economica-finanziaria sabauda in
strettissima collaborazione con Camillo Cavour,
perfettamente allineato alle sue idee liberali e
patriottiche[3].
Tra l’altro, unitamente agli esuli Pasquale
Stanislao Mancini e Giuseppe Pisanelli,
scriveva il “Commentario del codice di procedura
civile per gli Stati sardi”[4]
Nell’opuscolo Scialoja criticava il regime doganale
teso a proteggere i prodotti industriali del Regno
delle Due Sicilie e, in merito al bilancio
napoletano, polemizzava contro la propensione delle
politiche finanziarie a non indebitarsi, mentre
invece il bilancio di Torino era in deficit a causa
di investimenti che stavano producendo – a suo dire
– sviluppo e ricchezza. L’opuscolo era stato accolto
dal sovrano e dai suoi ministri come «un colpo di
fulmine», considerato che Scialoja chiudeva con un
confronto impietoso tra «l’alta posizione morale e
politica del Piemonte, e il grado d’inferiorità, in
cui era il Regno di Napoli». Tra le pieghe,
peraltro, era del tutto evidente l’affondo ad un
sistema ritenuto corrotto che il governo napoletano
consentiva. Sull’opuscolo di Scialoja, lo storico
Raffaele De Cesare, a fine Ottocento, non andava
oltre una semplice difesa d’ufficio di Ferdinando II,
riconoscendo che «era onesto, personalmente, e
parsimoniosa la famiglia reale, forse più che non
conveniva al suo grado»[5].
Come era del tutto prevedibile, il napoletano
Scialoja fu accusato di denigrare la propria patria
e ben nove studiosi, con poca fortuna, pensarono di
confutare le sue tesi, alcuni noti come Tommaso
Michele Salzano[6],
teologo e giurista, Agostino Magliani[7],
alto funzionario del Ministero delle Finanze,
Niccola Rocco[8],
giurista di fama, Francesco Del Re[9],
altri meno conosciuti come Francesco Durelli[10],
Girolamo Scalamandrè[11],
Ciro Scotti, Alfonso de Niquesa, Pasquale Caruso[12].
Era fin troppo chiaro che Scialoja, stretto
consulente di Cavour, aveva innanzitutto l’interesse
politico di portare alla ribalta l’arretratezza del
Mezzogiorno facendo un confronto con quella che
riteneva una superiore gestione politica, economica
e, persino morale del Regno di Sardegna.
L’amministrazione finanziaria napoletana era stata
efficacemente regolata con una legge risalente in
buona parte all’impostazione organica del Decennio
francese, invece Scialoja preferiva trarne
riferimenti critici dalla legislazione che aveva
preceduto di alcuni secoli quella post
Restaurazione. Il cilentano Magliani, nel suo
opuscolo di confutazione delle tesi di Scialoja,
obiettava che i bilanci napoletani, dopo essere
redatti dai ministri dei vari dicasteri, venivano
trasmessi al Ministro delle Finanze e dovevano
superare il vaglio del Consiglio dei Ministri e del
Consiglio di Stato. Si trattava, secondo Magliani,
di una procedura rigorosa che assicurava ampie
garanzie di correttezza[13].
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Agostino Magliani (Laurino, 1824 – Roma 1891) |
Raffaele De Cesare riferisce anche dei rapporti
personali che intercorsero tra Scialoja e Magliani a
unificazione d’Italia acquisita, quando l’esule
napoletano, tornato a Napoli, viene nominato da
Giuseppe Garibaldi ministro delle Finanze del
governo dittatoriale. In un periodo di epurazione
dei funzionari borbonici, Magliani si rivolge a
Carlo De Cesare, zio dello scrittore di
Spinazzola, direttore del ministero delle Finanze,
pregandolo di sostenerlo con il nuovo ministro per
evitare il licenziamento: «Magliani pregò mio zio
d’intercedere presso Scialoja, assicurandolo che
egli aveva pubblicato il noto opuscolo, non perché
dividesse le idee, ma perché aveva dovuto ubbidire
agli ordini del Re». Scialoja e Magliani si
incontrarono e divennero amici[14].
D’altra parte Federico Del Re, nella sua
“Analisi dell’opuscolo”, sicuro che il vero fine di
Scialoja era stato quello di screditare il governo
napoletano contestava l’affermazione che Napoli era
l’unica in Europa a non rendere pubblici i bilanci:
«gli stati discussi […] si comunicano e diramano,
senza alcuna riserva, a tutte le officine della
tesoreria, alla Gran Corte dei Conti e alle
amministrazioni […] tutti possono consultarli»[15].
Luigi Einaudi,
l’economista secondo presidente della Repubblica
Italiana dal 1948 al 1955, in un saggio del 1953
sulla controversia tra Scialoja e Magliani, ricorda
che il funzionario delle Finanze, superate le
difficoltà iniziali dell’unificazione, «fu in
seguito ripetutamente ministro delle finanze nel
regno d’Italia, dal 26 dicembre 1877 al 24 marzo
1878 e dal 19 dicembre 1878 al 14 luglio 1879 con De
Pretis, dal 25 novembre 1879 al 29 luglio 1887 in
successivi gabinetti Cairoli e De Pretis, e di
nuovo, per breve tempo, dopo il 7 agosto 1887 con
Crispi, tenendo a lungo altresì la reggenza del
ministero del tesoro»[16].
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Melfi, paese natale di F.S. Nitti
(Melfi, 1868 – Roma, 1953) |
Einaudi, esaminata la controversia tra Scialoja e
Magliani, annota che nel 1890, al profilarsi di un
nuovo ritorno di Magliani al ministero delle Finanze
nel secondo gabinetto di Francesco Crispi,
veniva ripubblicata la replica[17]
dell’economista cilentano a Scialoja. Il testo
conteneva una prefazione avente il preciso fine di
denigrare il più volte ministro delle Finanze,
accusandolo di aver attaccato Scialoja ministro del
governo costituzionale del 1848 a Napoli, deridendo
«la libertà costituzionale, i vantaggi di uno
statuto, la cospirazione in pro’ dell’indipendenza
nazionale, la guerra che la Lombardia muoveva
all’Austria». E, cosa ancor più grave, e
probabilmente imperdonabile per quei tempi, «oggi
Agostino Magliani, in Napoli, parla della situazione
finanziaria dell’Italia, paragonabile per tanti
versi a quella del Piemonte di allora. E, criticando
il fin qui fatto, in cui egli ebbe tanta parte e
dubitando della patria, dà prova dello stesso
accorgimento politico con cui nel 1858 giudicava
salda e sicura la monarchia di Ferdinando II proprio
alla vigilia della sua rovina»[18].
In pratica, nel tentativo di ostacolare la via di un
nuovo incarico ministeriale a Magliani, lo si
riconsegnava alla storia in veste di strenuo
difensore della monarchia borbonica. Tra l’altro,
era quasi inevitabile che Magliani, vista la
catastrofica condizione economica e sociale in cui
le politiche sabaude avevano fatto precipitare il
Mezzogiorno, cominciasse a criticare quegli
indirizzi politici che nel tentativo di apportare
linfa vitale all’industrializzazione del nord del
Paese stavano continuando a drenare,
ininterrottamente dal 1860, enormi risorse materiali
e umane dal Mezzogiorno, impoverendolo e rendendolo
sempre più arretrato e meno competitivo.
Riguardo al gravoso sistema fiscale piemontese,
Einaudi sembra propendere decisamente per le tesi di
Scialoja condividendo che «le imposte gravano sui
popoli solo quando sono estorte da governi
oppressori ritornati sulla punta delle baionette
straniere, come era il governo borbonico; laddove,
se sono esatte da governi nazionali e volte a
beneficio universale, benchè le nude cifre paiono
dure, in effetto quelle imposte crescono ricchezza e
potenza ai popoli medesimi»[19].
Una ricchezza e una potenza di cui certamente il
Mezzogiorno non aveva potuto godere, nonostante il
grande contributo che aveva dato all’unificazione
nazionale; unificazione avvenuta «sulla punta delle
baionette» inglesi, circostanza che forse allora
Einaudi ignorava del tutto.
Lo stesso Einaudi, tornando alla controversia, la
definitiva «memorabile non tanto per la analisi
concreta delle entrate e spese borboniche
confrontate a quelle sarde, quanto per i problemi
fondamentali che furono allora posti». Ancora nel
1853, anno in cui moriva a Roma Francesco Saverio
Nitti, Einaudi scriveva, stupendosi per
l’ignoranza quasi generale degli studiosi sui
documenti contabili preunitari contenuti negli
archivi napoletani, che «sarebbe in verità tempo
che, senza rifar processi, fossero studiate
accuratamente le finanze borboniche dal 1815 al
1860, meglio di quel che oggi possa farsi sulle
monche e contrastanti notizie che si leggono […]»[20].
Dimenticava, forse, il piemontese Einaudi, che mezzo
secolo prima il collega Nitti aveva già reso noto i
suoi studi sulle finanze degli Stati italiani
preunitari, concludendo che «senza l’unificazione
dei vari Stati, il regno di Sardegna per l’abuso
delle spese e per la povertà delle risorse era
necessariamente condannato al fallimento»[21].
In altre parole, le finanze piemontesi si erano
salvate dal fallimento grazie all’annessione
violenta del Regno delle Due Sicilie.
Note
[1]
A. SCIALOJA, I bilanci del Regno di
Napoli e degli stati sardi. Con note e
confronti, Torino, Società Editrice
Italiana Giugoni,1857.
[2]
A. SCIALOJA, I Principj della economia
sociale esposti in ordine ideologico da
Antonio Scialoja, Napoli, Tip. G. Palma,
1840 (2ª ed. G. Pomba, Torino, 1846).
[3]
Su Scialoja si veda
M. E. DI CARLO, Sud da Borbone a
brigante, Independently pubblished,
2020; M. E. DI CARLO, L’Altra storia del
Sud, l’uomo del Sud che fece male al Sud,
quotidiano «Il Sudonline», 29 febbraio 2020.
[4]
P.S. MANCINI – G. PISANELLI – A. SCIALOJA,
Commentario del codice di procedura
civile per gli Stati sardi…, Torino,
Utet, 1855
[5]
R. DE CESARE (Memor), La fine di un
Regno: dal 1855 al 6 settembre 1860,
Napoli, Grimaldi § C. Editori, 2003, pp.
78-81.
[6]
T.M. SALZANO, Osservazioni su gli affari
ecclesiastici di Napoli comparati con quei
di Piemonte da servir di risposta
all’opuscolo detto I Bilanci del sig.
Scialoja, prof. in Torino, Napoli 1858.
[7]
A. MAGLIANI, Della condizione finanziaria
del Regno di Napoli, Napoli, 1857.
[8]
N. ROCCO, La finanza del Reame delle Due
Sicilie e la Pubblica prosperità: in
confutazione dell’opuscolo intitolato “I
Bilanci del Regno di Napoli e degli Stati
Sardi con note e confronti” di Antonio
Scialoja, Napoli, Stabilimento Tip. G.
Nobile,1858.
[9]
F. DEL RE, Analisi dell’opuscolo “I
bilanci del Regno di Napoli e degli stati
sardi con note e confronti di A. Scialoja”,
Napoli, 1858.
[10]
F. DURELLI, Fallacie ed errori del libro
di Antonio Scialoja I bilanci intorno alle
condizioni ecclesiastiche del Reame di
Napoli, Napoli, Stabilimento Tip. G.
Nobile, 1858.
[12]
P. CARUSO, Di due biasimi dati da A.
Scialoja al governo napoletano, confutati
dal canonico Pasquale Caruso, Napoli,
Stabilimento Tip. G. Nobile,1858.
[13]
A. DI DOMENICO, I bilanci del Regno di
Napoli e degli Stati Sardi nel confronto
risorgimentale di Antonio Scialoja,
Rivista «L’Agropoli», Anno XIII (2012) - n.
4, Appunti e note, p. 144.
[14]
R. DE CESARE, Antonio Scialoja: memorie e
documenti, Città di Castello, S. Lapi,
1893, p. 36
[15]
F. DEL RE, Analisi dell’opuscolo “I
bilanci del Regno di Napoli e degli stati
sardi con note e confronti di A. Scialoja”,
cit., p. 31.
[16]
L. EINAUDI,
Saggi bibliografici e storici intorno alle
dottrine economiche,
Roma, Ed. di Storia e Letteratura, 1953, p.
217.
[17]
A. MAGLIANI, La situazione finanziaria
del Regno nel 1858, Roma, Tipografia
Ciotola editrice, 1890.
[18]
Ivi, pp. 3-6; ripreso da L. EINAUDI,
Saggi bibliografici e storici intorno alle
dottrine economiche,
cit., p.218.
[19]
L. EINAUDI,
Saggi bibliografici e storici intorno alle
dottrine economiche,
cit., p.227.
[21]
F. S. NITTI, Nord e Sud, Rionero in
Vulture, Calici Editori, 2000, p. 18.
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