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Basilicata

 

 

Melfi

Il Castello di Federico II di Svevia

Al viaggiatore che percorre la Candela-Potenza, Melfi appare quasi all’improvviso tra le sinuose colline lucane, su cui svetta la magica ed imponente sagoma del Vulture, l’antico vulcano dalle sette cime. È l’antica “Porta d’Apulia e baluardo Svevo” di Federico II (1194-1250), imperatore e Re di Sicilia, che la predilesse tanto da eleggerla spesso a sua residenza.

Le origini di Melfi si perdono nella notte dei tempi. Dauni e Lucani hanno lasciato numerose tracce, tra cui la necropoli del V sec. a.C., i cui reperti possono essere ammirati nel Castello Svevo, dove ha sede il Museo Archeologico. In epoca romana divenne un importante centro agricolo e di scambi commerciali, contendendo a Venosa il titolo di città più importante della Lucania.

Nel Medio Evo conobbe il suo massimo splendore. Abbastanza lontana dalle coste da non temere attacchi dal mare, allo stesso tempo costituiva un sito ideale per il controllo delle Puglie. Divenuta sede vescovile nel 1037, quattro anni dopo Melfi entrò a far parte dei possedimenti dei Normanni di Puglia. Nel corso del Concilio che papa Niccolò II convocò proprio a Melfi, nel 1059, Roberto il Guiscardo ricevette il titolo di Duca. Con i Normanni, Melfi venne fortificata con una nuova cinta muraria e con un poderoso castello. All’interno della città sorsero bellissime chiese, tra cui la Cattedrale dell’Assunta edificata nel 1153 dal re Guglielmo I detto il "Malo".

Nel 1089 Melfi ricevette papa Urbano II, che da qui lanciò la prima crociata. Nel 1130 l’antipapa Anacleto II incoronò a Melfi Ruggero II d’Altavilla Re di Sicilia e Duca di Puglia e Calabria. L’incoronazione, riconfermata la notte di Natale a Palermo, costò al re normanno 9 anni di scomunica!

Con la dinastia sveva, succeduta a quella normanna, sorse a Melfi la Scuola di Logica. Nel 1231, Federico II fece emanare il Liber Constitutionum Regni Siciliae, conosciuto anche come le Constitutiones Augustales Melphitanae, frutto di più di dieci anni di lavoro di Pier della Vigne, Giacomo Amalfitano, Taddeo da Sessa e dello stesso imperatore.

Casa e busto di Pier delle Vigne

Fu il primo testo organico di leggi scritte dell'età medioevale e di contenuto sia penale che civile, fondato sul diritto romano ma anche sulla tradizione normanna, con cui si mise freno agli abusi della nobiltà e perseguiti "falsariis, aleatoribus, tabernariis, omicidiis, vitam sumptuosam ducentibus, prohibitis arma portantibus et de violentiis mulierum". Le nuove leggi furono promulgate a Melfi dal giustiziere Riccardo da Montenero il 1° settembre del 1231.

Nel 1266 Carlo d’Angiò, dinastia subentrata alla sveva, diede incarico a Riccardo da Foggia di eseguire il rafforzamento delle difese del castello. Iniziò proprio con gli Angioini la decadenza di Melfi. La regina Giovanna I, nel 1350, la diede in feudo al fiorentino Niccolò Acciaioli, in cambio di finanziamenti per la guerra contro Carlo di Durazzo. Agli Acciaioli subentrarono prima i Marzano, quindi i Caracciolo che deterranno Melfi fino al 1485 quando, a seguito del fallimento della “Congiura dei Baroni”, Re Ferdinando I d’Aragona fece giustiziare Giovanni II Caracciolo, confiscandone tutte le proprietà.

Nel 1528, in pieno conflitto tra Spagnoli e Francesi per il possesso del regno di Napoli, Melfi fu saccheggiata dall’esercito francese del generale Lautrec. Nel periodo vicereale Melfi pian piano decadde, ed il “periodo nero” durò fino all’arrivo di Carlo di Borbone nel 1734. Nel periodo borbonico vennero costruiti o ristrutturati molti bei palazzi e la città venne congiunta alla regia strada postale delle Puglie. Verso la metà del 1800, nei pressi di una grande villa della vicina cittadina di Rapolla fu rinvenuto il "Sarcofago di Rapolla", monumento riferibile ad un personaggio di rango elevato, dell'età romana, ancor oggi conservato nella torre del Castello.

Nel 1861 la città insorse contro i Piemontesi, proclamando la restaurazione del governo borbonico, ma l’insurrezione venne domata con estrema violenza, e l’esercito sabaudo si lasciò andare al saccheggio ed altri generi di nefandezze. Nonostante la fertilità dei terreni della zona, a causa dell’emigrazione la popolazione di Melfi fino a circa il 1990 si assottiglia molto, restando ben al di sotto di quella del 1860, seguendo in questo la sorte di tutta la Basilicata. L’insediamenti industriali successivi sembrano ora frenare questa dolorosa tendenza.


Testo ed immagini trasmessici dalla dott.ssa Giulia Libutti, che ringraziamo


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