Le pagine di Napoli

Gli Svizzeri nelle arti a Napoli e nel Napoletano

di Ciro La Rosa

La chiesa di San Francesco di Paola, opera dell'architetto svizzero Pietro Bianchi

 

Prima di narrare le vicende degli svizzeri nel napoletano, vorrei fare un piccolo inciso sull’emigrazione svizzera: l’emigrazione delle genti svizzere, dal Medioevo all’età Moderna, fu prevalentemente militare quasi sempre dai cantoni di lingua tedesca, come già narrato nell’articolo precedente, mentre quella civile proveniva prevalentemente dal Canton Ticino e dal paese di Vaud. La causa principale fu dovuta alle scarse risorse economiche delle regioni montagnose e alla mancanza di centri di aggregazione anche culturali. Infatti in Europa si formarono presso le varie università generazioni di intellettuali, scienziati, architetti, e nel campo dell’artigianato valenti operai ed imprenditori i quali non tutti rientrarono in patria. La maggiore emigrazione, tralasciando quella militare, fu del settore edile sia come architetti che lavoratori della pietra con tutte le varie qualifiche annesse, tradizione che si rifà ai “Maestri Comacini” del periodo del Regno Longobardo, venendo citati come “Magistri Cummagini” già dal VII secolo, tradizione edificatoria viva fin al XIX secolo.

Domenico Fontana

Architetto tra i più laboriosi del Rinascimento, nacque a Melide - Canton Ticino – nel 1543. Emigrò come altri architetti ticinesi in Roma insieme al fratello Giovanni ingegnere idraulico presso papa Gregorio XIII. Venne nominato capomastro nei cantieri Vaticani, entrò nelle grazie del cardinale Felice Peretti futuro papa Sisto V. Tale incontro segnò una svolta importante nella sua carriera, ne ebbe vari incarichi tra cui la costruzione nella basilica di Santa Maria Maggiore di una cappella, detta Cappella Sistina ( da non confondere con quella in Vaticano), nella chiesa di San Giovanni in Laterano della Loggia della Benedizioni, diversi palazzi monumentali tra cui palazzo Moltalto di proprietà del cardinale Peretti. Dopo l’ascesa al soglio pontificio del cardinale Peretti, papa Sisto V, il Fontana venne nominato “Architetto di San Pietro” e Cavaliere dell’Ordine dello Speron d’Oro.

Egli accentrò nelle sue mani tutte le competenze sui lavori pubblici, oltre a quelle istituzionali del proprio ruolo durante i cinque anni che lavorò per conto del pontefice; in effetti si attribuì oltre ai rischi anche notevoli guadagni. Con il fratello Giovanni disegnò l’acquedotto Felice che portò l’acqua nelle zone alte della città, la fontana del Mosè, il ponte di Borghetto, realizzò insieme a Giacomo Della Porta la cupola di San Pietro aggiungendovi la lanterna. Nel 1586 innalzò l’obelisco di Piazza San Pietro, ne fece poi un resoconto che pubblico col titolo “Della trasportatione dell’obelisco vaticano e delle fabriche di Sisto V” edito in Roma nel 1590, sfruttando la sua conoscenza di statica innalzò atri tre obelischi antichi: in Piazza del Popolo, in Piazza Santa Maria Maggiore ed in Piazza San Giovanni in Laterano negli anni 1587/8. Un suo progetto che rimase in embrione fu quello della trasformazione del Colosseo in un opificio per la filatura della lana.

Napoli, Palazzo Reale

Alla morte di Sisto V, avvenuta nel 1591, la fortuna gli voltò le spalle, fu allontanato e rimosso dalle cariche pubbliche, si tentò persino un procedimento giudiziario nei suoi confronti per abusi amministrativi. Ma la fortuna era dietro l’angolo, venne chiamato a Napoli, nel 1593, la più grande capitale del Regno della penisola italiana del sovrano più importante d’Europa il Re di Spagna e di Napoli, non con un incarico minore ma altrettanto prestigioso ed onorevole, restandovi per sempre con la sua famiglia ricevendo onori e ricchezze, sino alla sua morte avvenuta a Napoli nel 1607. Qui visse la fase più matura della sua vita, chiamato dal Vicerè Conte di Miranda per occuparsi del sistema idrico della città ed al progetto di riqualificazione urbana di Napoli, memore della sua attività di bonifica della Paludi Pontine.

Napoli, sepolcro di Domenico Fontana, Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi o di Monteoliveto

Nel Regno di Napoli si occupò della ristrutturazione del porto di Bari e di Napoli; nominato Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro, realizzò la strada di Chiaia e di Santa Lucia, costruì Palazzo Carafa della Spina, proseguì i lavori di bonifica. Nel 1600 avviò il progetto della sua opera più importante in Napoli la costruzione del Palazzo Reale a cui lavorò fino alla sua morte. E’ sepolto nella chiesa di Sant’Anna dei Lombardi - chiesa di Monteoliveto - entrando nel sagrato a destra.

Pietro Bianchi

Geniale architetto e superbo ingegnere, fu uno dei personaggi più rappresentativi del XIX secolo. Nato a Lugano il 28 marzo 1787 da famiglia facoltosa, si laureò in ingegneria presso l’università di Milano e in scienze matematiche in Pavia, specializzandosi poi a Roma dove si recò nel 1807. Il periodo romano fu molto fertile per la sua preparazione in architettura neoclassica e dei suoi studi d’archeologia, che gli procurarono alti riconoscimenti per le sue scoperte in Roma, l’ingresso nell’Accademia di Architettura nel 1812, la nomina a membro dell’Accademia di San Luca nel 1814.

Il pontefice Pio VII lo nominò direttore per la “Conservazione dei Monumenti di Roma” e nel 1816 ricevette da re Ferdinando I di Borbone l’incarico di commentare i progetti selezionati per l’edificazione della chiesa di San Francesco di Paola in Napoli; progetti che furono tutti rigettati dal Bianchi, al quale venne poi affidato l’edificazione della chiesa stessa e di conseguenza la nomina a direttore del lavori. Si preparò a costruire quella che sarebbe stata tra le maggiori chiese europee dell’epoca, le maestranze addette alla sua costruzione assommavano nel 1818 ad 8.000 unità; a fine costruzione la cupola misurava 53 metri superata solo da San Pietro in Roma e Santa Maria in Fiore a Firenze. L’inaugurazione avvenne il giorno di natale del 1836; sarebbe dovuta divenire il “Pantheon” di casa Borbone ma la storia ha voluto diversamente. La nuova costruzione posta di fronte al palazzo Reale col suo stile neoclassico è ancora attuale. la sua prospettiva nella piazza con la simbolica immagine del Pantheon e quella del portico di San Pietro è quanto mai ricca di singolare fascino con il suo colonnato di marmo pugliese. Nel suo interno la chiesa offre lo spettacolo di 32 colonne corinzie che sostengono la cupola centrale. L’altare maggiore, in realtà disegnato da Ferdinando Fuga nel 1751 era destinato alla chiesa dei SS. Apostoli, venne smontato e sistemato nella chiesa di San Francesco di Paola.

Il porticato, la chiesa, il palazzo Reale, l’ampiezza e la prospettiva della piazza rendono in tutto la loro bellezza l’unicità del luogo, gioia e soddisfazione musiva del visitatore.

L’opera portò il Bianchi alla celebrità e di seguito ottenne il conferimento della carica di “Architetto di prima classe della real Casa”, ed incarichi di lavoro come la sistemazione del Palazzo Reale in Napoli, del museo Borbonico (attuale Museo Nazionale) e della Reggia di Caserta, riconoscimenti da Accademie Nazionali ed internazionali che rafforzarono il suo prestigio. Nel 1831 ottenne la carica di direttore degli scavi di Pompei e di Ercolano, dedicandosi alla nuova disciplina l’archeologia, sotto la sua direzione vennero alla luce 20 abitazioni, tra cui la Casa del Fauno che diede ancora più lustro e fama alla sua persona: socio onorario di numerose accademie, tra cui l’Accademia Imperiale di Vienna, il Real Istituto di Archeologia Britannico, l’Accademia di Brera, l’Istituto Storico di Francia ed altri.

Morì a Napoli il 28 dicembre 1849.

Palazzo Via Trinità degli Spagnoli, Napoli, con targa dell'ultima residenza di Pietro Bianchi.

I Corradini

Giacomo Conradin nato a Sent - Svizzera – nel 1844, si stabilì in Livorno presso lo zio Chasper, di qui passò dopo qualche anno a Napoli nel 1872 con un altro svizzero suo compaesano, dove esercitò fino al 1881 l’attività di commerciante col cognome italianizzato in Corradini, nello stesso anno con alcuni amici acquistò una fonderia con circa 200 operai e diverse macchine a vapore, costituendo la “Società Metallurgica Giacomo Corradini S.p.A.” con sede in San Giovanni a Teduccio, per la lavorazione dei laminati in rame e ottone. Lo stabilimento si estendeva per 900 metri sul litorale. Il figlio Andrea seguì le orme del padre e ne assunse la guida nel 1899. In breve tempo l’azienda divenne la più importante industria del ramo del Meridione con 500 operai e 50 impiegati, con sede legale in Via De Pretis 31.

La sorella Margherita fu una valente e nota pittrice del primo novecento.

Durante la II guerra mondiale l’azienda fu quasi totalmente distrutta dai bombardamenti alleati, evento che segnò la fina dell’attività; nel 1949 venne messa in liquidazione ed acquistata dal “Consorzio Agrario Italiano”. Nonostante ogni avversità continuarono a vivere a Napoli: Andrea con i suoi quattro figli di cui l’unico figlio maschio John che assunse nel 1954 la direzione della “Fonderia Artistica Lagana” fino al 1967.

I Caflish

La storia dei Caflisch inizia con Durisch falegname in quel di St. Moriz in casa dei Pietromani nel 1804. Il suo cognome di origine latina significa “Casa di Felice” – Cà Felix. Egli chiese al signor Pietromani, socio di una pasticceria di Livorno, la possibilità di collocare il figlio Luigi, nato nel 1791, presso l’azienda ma ne ottenne un rifiuto. Luigi non si rassegnò e trovò lavoro presso la pasticceria del signor Tuccetti nella stessa Livorno. Dopo anni di intenso lavoro aprì con altri tre compatrioti una pasticceria nella stessa città con ragione sociale “Luigi Caflisch & C”, dopo un avvio promettente dovette chiudere e pensò di trasferirsi a Roma, dove ottenne ottimi risultati commerciali con negozi invia dei Postini, in via Bergamaschi ed in via del Corso sorti nel 1822; qui sposò una sua connazionale. In seguito allettato dal sentire del suo amico Zenitter sulle ampie prospettive di guadagno presso la più importante capitale degli stati italiani che era diventata la città di Napoli, decise di aprire anche un negozio in Napoli alla via Santa Brigida. La società venne fondata in data 15 ottobre 1825 ed iniziò la sua attività il 15 gennaio 1826 con la ragione sociale “Lorsa Faller & C”, col bilancio in attivo dopo il primo anno di attività, pensò di aprire una nuova sede in via Toledo, 253 in data 26 luglio 1827 con la ragione sociale “Spiller, Telli & C”, seguirono anni di intenso lavoro e di soddisfazioni, superarono indenni i moti del 1848; nel 1851 aprirono una nuova pasticceria in via Toledo, 255, una birreria a Capodimonte con ragione sociale “Giovanni Caflisch & C.” L’azienda affrontò anche il nuovo cambiamento dai Borbone ai Savoia. Ditta ormai consolidata con pasticcerie e birrerie sia a Napoli che a Roma. Nel 1873 con l’acquisto dei locali dei nobili Grifeo in via Toledo, la pasticceria più volte rinnovata divenne la più importante di Napoli. L’ultimo cambiamento avvenne nel 1932 con la fusione con la “Van Bol & Feste” fondata nel 1930. L’ultimo dei Caflish fu Giorgio morto il 19 dicembre 1979 e con lui terminò anche l’attività delle pasticcerie, le quali furono tenute ancora in essere per poco tempo dalla “Cooperativa Caflish” fondata dalle maestranze della pasticceria.

I Voiello

August Von Wittel (per alcuni Van Vittel), figlio di Theodor, nato a Tun Svizzera, venne a Napoli quale operaio presso la compagnia Dubois addetta alla realizzazione della ferrovia Napoli - Portici, stabilendosi a Torre Annunziata città nella quale rimase per sempre. Qui conobbe e sposò Rosa Inzerillo, figlia di un pastaio di Torre Annunziata; lasciò il suo impiego e si mise a far pasta nella bottega del suocero, dal suo matrimonio nacquero ben sette figli. Nel 1862 non si chiamava più Von Wittel ma Vojello con quelle trasformazioni italianizzate di origine sconosciute. Il figlio primogenito Teodoro, sergente del “Reggimento Guardie Reali” dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, con la caduta del Regno non volle entrare nell’esercito piemontese da lui considerato occupante e non liberatore, continuò l’attività paterna insieme alla moglie Rosa Carotenuto. Nel 1877 gli affari andavano a gonfie vele e pensò di creare un vero stabilimento ed insieme al figlio Giovanni, di 17 anni, trovò la località adatta in un terreno in Contrada Maresca sempre a Torre Annunziata e due anni dopo, nel 1879, sorse “L’Antico Pastificio Giovanni Voiello”. La pasta Voiello divenne nota in tutto il territorio napoletano, l’aristocrazia e le personalità più in luce di Napoli erano suoi clienti.

Il figlio Giovanni all’età di 37 anni era ancora celibe, ma per quegli strani casi della vita, incontrò al Teatro San Carlo, in occasione di una prima teatrale, Concetta Manzo, figlio di Cosmo il più importante e benestante commerciante di cereali di Torre Annunziata. Il loro fu un matrimonio felice rallegrato dalla nascita di otto figli di cui due maschi Attilio e Teodoro. Il pastificio produceva nel 1910 ben 30.000 quintali di pasta. Passarono indenni dalla bufera della I guerra mondiale. Con la spinta del figlio Attilio, il padre cominciò a partecipare a varie Fiere Internazionali per far sentire la propria realtà commerciale anche al di fuori dai confini della Campania, vennero aperte concessionarie a Torino, Bergamo, Milano Brescia, Firenze e Genova. Nel 1930 il pastificio produceva 60.000 quintali di pasta. Giovanni ottenne nel 1934 la nomina a commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, si spense nel 1939. I figli Teodoro e Attilio proseguirono la sua attività. Con lo scoppio della 2^ guerra mondiale venne la crisi del pastificio, aggravato ancor di più dalla distruzione dei macchinari ad opera dei tedeschi in ritirata e dalle bombe alleate che ridussero in macerie lo stabilimento di Torre Annunziata, crisi dalla quale non si sollevarono più. Nel 1950 la produzione crollò a 10.000 quintali, ma non lo loro fama: erano diventati un’icona della pasta napoletana nel mondo. Un’altra difficoltà fu costituita dal nascere dei supermercati. Determinante fu l’accordo con Barilla nel 1973, che rilevò le quote azionarie della società subentrandone nella gestione, ma rispettandone l’autonomia. I Voiello restarono nel consiglio d’amministrazione. Oggi il prodotto è ancora tra i migliori, sempre nel rispetto della tradizione pastaia di Giovanni Voiello.

Ciro La Rosa

settembre 2008

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