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Carlo di Borbone (1716 - 1788)

Figlio del re di Spagna Filippo V (1683-1746) e di Elisabetta Farnese. Nel 1731, a quindici anni Carlo ottenne il ducato di Parma, ereditato dalla madre. Nel 1733 scoppiava la guerra di successione in Polonia, retta da monarchia elettiva: alla morte del re Federico Augusto II, i Grandi Feudatari del Regno si riunirono per nominare il successore. Non trovando l'accordo, finirono per gettare il Paese nella guerra civile, cui parteciparono anche le potenze straniere: a favore di Federico III, figlio del defunto re, si schierarono la Russia e l'Austria, mentre la Francia e la Spagna (e quindi Sicilia e Napoli) sostennero un parente del re di Francia: il principe Stanislao Leszizynski. L'alleanza franco-spagnola prevedeva l’impegno di affidare a Carlo il Regno di Napoli, al posto del Ducato di Parma. La guerra ebbe due teatri: la Polonia e l'Italia. Con Spagna e Francia si alleò anche il Piemonte, il cui re Carlo Emanuele III mirava a togliere all'Austria la Lombardia. Carlo di Borbone entrò in Napoli il 10 maggio 1734, accolto dalla folla festante. Alla testa di un'armata franco-spagnola, cui si erano unite le truppe napoletane, Carlo sconfisse il 26 maggio dello stesso anno gli Austriaci a Bitonto. Quasi ventenne, conquistò quindi i troni di Napoli e di Sicilia e restituì ai due regni la piena indipendenza: il 3 luglio del 1735 fu incoronato nella cattedrale di Palermo re di entrambe (utriusque) le Sicilie.

Medaglia del 1735 in argento coniata a Palermo per l’incoronazione di Carlo e unzione nel Duomo di Palermo. Clicca sull'immagine per ingrandire. Visita la pagina delle medaglie storiche siciliane.

Nel 1735, ebbero inizio le trattative di pace, che si conclusero nel dicembre 1738 con il trattato di Vienna, in base al quale gli Austriaci rinunziarono ufficialmente a Napoli e Sicilia. L'eredità lasciata dagli austriaci era pesante: la popolazione era allo stremo oberata da tasse e balzelli che avevano superato a dismisura quelli degli scorsi vicereami spagnoli; la corruzione era dilagante ed i baroni feudali esercitavano un potere arrogante e soffocante sul contado ridotto in un'insostenibile condizione di schiavitù e miseria. Il giovane re, operando radicali riforme ed un'equa ripartizione del patrimonio fondiario nazionale attraverso la ripartizione delle terre in usi civici, seppe sapientemente risollevare l'economia del Regno delle Due Sicilie che nel giro di un decennio raggiunse i livelli economici dell'Inghilterra e della Francia.

la Regina Maria Amalia

Generalmente Carlo è indicato come III di Spagna, V di Sicilia e VII di Napoli. In realtà come Re di Napoli e di Sicilia ebbe tre titolazioni: 1) Carlo III di Sicilia e di Gerusalemme (III perché i Siciliani non consideravano legittimi né Carlo D’Angiò né Carlo VI d’Austria); 2) Carlo re delle due Sicilie e di Gerusalemme etc., infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza e Castro etc.; gran principe ereditario di Toscana etc.; 3) Carlo VII di Napoli (come chiamato nella Bolla di investitura papale del 10 maggio 1738). Questo ultimo titolo non fu mai adoperato perché i napoletani non amavano considerarsi vassalli del Papa.

Le armi di Carlos di Borbone, in una formella della cattedrale di Palermo in ricordo della sua coronazione avvenuta il 3 luglio 1735.

All’avvento di Carlo di Borbone, Napoli era sovrappopolata e si sosteneva grazie alla presenza degli uffici governativi. Così, Napoli sottraeva risorse al resto del Regno: il mantenimento della capitale, la più popolosa d’Europa dopo Parigi, immiseriva soprattutto le province, ed i contadini erano spesso costretti a emigrare nella metropoli, aumentandone la massa di diseredati. Il Regno di Napoli mancava quasi completamente di strade, osteggiate in passato perché ritenute pericolose in caso di invasione turca. In questo contesto, l’azione del giovane Carlo di Borbone fu decisamente volta sia a generare lavoro e benessere, sia a favorire il ripopolamento delle campagne e degli hinterlands. Carlo aveva coraggio e spirito innovativo, doti che gli resero ben presto un posto di spicco nel piatto mondo del '700. Impressionante fu l'opera di ricostruzione di interi quartieri obsoleti, di realizzazione di ospedali, chiese, giardini, di magnifici palazzi. Si pensi al Teatro di San Carlo, alla Reggia di Caserta, a quella di Capodimonte, dove nel 1743 nel grandioso parco nacque la celebre fabbrica di porcellane. Diede poi vita al Museo Borbonico e relativa galleria, ecc.

La reggia di Portici

Critiche riduttive, se non ingenerose, hanno in passato tentato di ridimensionare, in omaggio ai Savoia, la figura di questo monarca, puntando il dito sulla eccessiva magnificenza ed onerosità dei palazzi reali di Portici e di Capodimonte, e della superba reggia di Caserta, affidata al genio di Vanvitelli. Re Carlo è stato anche tacciato di paternalismo per le sue iniziative a favore del popolo. E' stato altresì scritto che le fabbriche da lui create servivano solo per produrre orpelli per le sue residenze e quelle della nobiltà; che la realizzazione di strade, stazioni postali e parchi, compiuta da Carlo, sarebbe unicamente da ascrivere alla sua grande passione per la caccia, a cui tutto il re avrebbe sacrificato.

Scene di caccia

Ad un'analisi un po' meno grossolana non può sfuggire il merito principale del re, che fu quello di riuscire a produrre con la sua azione energica, ma allo stesso tempo raffinata, un periodo di crescita e sviluppo che resta memorabile nella storia del sud. Il giovane re in tal modo si discostò da tutte le politiche economiche dell’epoca, dimostrandosi un vero e proprio precursore, utilizzando efficacemente il pubblico denaro per opere che crearono lavoro, occupazione, incremento della domanda che, a loro volta, rimisero virtuosamente in moto l’economia. Ma Carlo fece anche di più: portò il Regno ai primi posti del mondo dell’epoca per dinamismo e trasformazione, per ricchezza e varietà delle arti e della cultura in generale. Napoli in particolare, ma anche le tantissime altre città d’arte del Meridione, divennero meta obbligata dei viaggiatori, che trovarono un Paese in rapido ed armonico progresso, tanto che lo stesso Goethe espresse ammirazione per “gli operosi napoletani”.

Medaglia in argento del 1738, coniata per il matrimonio di Carlo di Borbone con Maria Amalia di Sassonia (collezione Francesco di Rauso, Caserta)

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Certamente quello di Carlo fu assolutismo illuminato, che oggi potrebbe configurarsi come “paternalismo” (si narra che amasse dire che “le ricchezze dei re sono fatte per i poveri”), ma il giudizio storico non può prescindere dal contesto dell’Europa continentale della prima metà del Settecento, dalle condizioni degli altri Stati italiani, dalle concezioni e dottrine economiche dell’epoca, dall’arretratezza culturale di molti altri sovrani europei.

E riferendoci all’epoca, il regno di Carlo è da considerarsi rivoluzionario, volto al progresso dello Stato inteso per la prima volta come collettività, e tale fu percepito dai sudditi, che uscivano da lunghi secoli di dominazioni vicereali.

Di Carlo si serba il ricordo delle grandi realizzazioni, l’impulso dato alla cultura, come con il teatro di San Carlo, il più grande e sontuoso dell’epoca, terminato nel 1737 in appena otto mesi di lavori, e con gli scavi di Pompei e d’Ercolano, che svelarono il loro formidabile patrimonio archeologico.

il San Carlo nel '700

Meno conosciuta, ma altrettanto importante, è la profonda riforma dello Stato, a cui proprio Carlo aveva restituito l'indipendenza, da lui attuata con la collaborazione del valente ministro Tanucci: lo Stato feudale, dagli innumerevoli conventi, con una profusione di privilegi nobiliari, civici e religiosi, fu oggetto di una continua e decisa azione riformatrice. Furono raggiunti importanti risultati, con la soppressione di molti abusi e la possibilità per i contadini di cominciare ad affrancarsi dalla tirannia dei baroni, e di poter raccogliere e seminare nei terreni demaniali [cfr. usi civici, la Manomorta].

Carlo concepì anche il piano per decongestionare la capitale, valorizzando dell'hinterland con la costruzione di strade ed edifici. I lavori promossi da Carlo furono così importanti e numerosi, da generare un impulso virtuoso per tutta l’economia del Regno, che veniva da anni di profonda sudditanza e stagnazione. Vanno altresì ricordate le sue opere pubbliche, per la modernizzazione delle infrastrutture, come strade e acquedotti, o economiche, come i Granili ed il Foro, o sociali, come l’Albergo dei Poveri, che poteva ospitare i cittadini economicamente non autosufficienti.

Per quanto si oggi possa pensare, l'Albergo dei Poveri rappresentò all'epoca un'opera rivoluzionaria: "un'idea bizzarra", scrive Antonio Ghirelli nella sua Storia di Napoli, "che rispecchia in modo emblematico la paternalistica, ma generosa, preoccupazione di Carlo per la felicità del suo popolo". Ben più positivo fu il giudizio di Giambattista Vico, il grande filosofo napoletano dei "corsi e ricorsi storici", secondo il quale Carlo di Borbone incarnava la figura del sovrano ideale in una moderna "monarchia civile".

L'Albergo dei poveri

"Per volere di Carlo di Borbone, Re illuminista, nel 1751 – con prammatica (legge) reale del 25 febbraio – venne emanato l’atto di fondazione di un “General Albergo dei Poveri di ogni sesso ed età e quivi introdurre le proprie e necessarie arti”. Iniziò così la costruzione del ricovero dei mendicanti e la loro riabilitazione come esseri umani, posto nell’odierna via Foria, allora chiamata via del Campo, che univa Napoli ad Aversa, segnando l’ingresso alla città per chi giungeva da Roma e dai paesi dell’entroterra.

L’edificio avrebbe dovuto accogliere 8.000 diseredati debellando la piaga dell’accattonaggio. Progettato da Ferdinando Fuga, doveva essere composto da 5 cortili con una lunghezza di 600 m, ma si realizzò solo la facciata di 384 m, con alle spalle 4 edifici con al centro una chiesa (della quale furono realizzate solo le fondamenta), giardini, refettori, officine, abitazioni. Ogni edificio accoglieva uomini, donne, ragazzi e ragazze con criteri di distribuzioni ottimali.

Alle spese contribuirono Carlo, la stessa regina Maria Amalia che donò i suoi gioielli, il popolo Napoletano, gli enti religiosi con notevoli somme e donazioni di proprietà ecclesiastiche, il tutto per l’ammontare di un milione di ducati.

Venne istituita l’assistenza sanitaria per gli anziani e gli inabili, ai giovani venne impartita una adeguata qualificazione professionale con avviamento al lavoro. Venivano loro insegnate varie arti: calzolaio, fabbro, falegname, tornitore, filatrice, oltre allo studio della grammatica e dell’aritmetica.

Fu tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX che l’ospizio ospitò le “donne perdute” e fu adibito anche a casa di “correzione dei minori” da cui il nomignolo di reclusorio” e di “serraglio”. Tra il 1800 e il 1816 furono terminate le parti frontali e laterali, i lavori proseguirono sino al 1829.

Solo la lungimiranza di Carlo di Borbone e dei suoi discendenti ha permesso che fino ai giorni nostri, un gran numero di emarginati, diseredati abbia potuto godere e assicurarsi un sicuro asilo, un pasto quotidiano, cure mediche ed istruzione, ancor oggi il palazzo conserva la memoria edificio che ha svolto sempre un ruolo di pubblico servizio (costruito per riqualificare le fasce sociali sottraendole all’emarginazione).

Il periodo di maggior splendore lo ebbe sotto la direzione di Antonio Sancio che seppe sfruttare al massimo le capacità intellettive e lavorative dei giovani. Nel 1908 vennero definite le direttive di gestione, nacquero le scuole-officina professionali, amministrate all’inizio dall’ente “Governo dell’Albergo dei Poveri”, poi dai privati che avevano l’obbligo di impiegare i giovani assistiti come aiutanti, sia per il tirocinio che per l’apprendistato: le scuole erano specializzate in meccanica, falegnameria, motoristica e tipografia. Nel 1942/43 nacque l’ente “Collegi Riuniti Principe di Napoli” che aveva in gestione l’Albergo dei Poveri, ma nel 1981 con la legge dell’abolizione degli enti inutili esso venne assorbito dal Comune di Napoli che incamerò di conseguenza anche l’ospizio.

Dopo il terremoto del 1980 e il conseguente crollo mesi dopo dell’ala nord (lato orto botanico) con la morte di una degente e di una assistente sociale, [...] si è riacceso il dibattito sull’utilizzo del “Palazzo” la cui superficie utile è di 103.000 mq.

Il Palazzo deve essere salvato per mille ragioni, lo deve nell’interesse dei Napoletani nel riscoprire le proprie radici, per il benessere socio-economico legato al suo recupero, come simbolo della solidarietà che lotta contro la povertà.  [...]"

tratto da: "Il Real Albergo dei Poveri" di Ciro La Rosa

 

Una rara stampa d’epoca diffusa a cura del 24° Circolo didattico in occasione dell’adozione del monumento

L'opera di Carlo fu talmente intensa da guadagnarsi la stima degli intellettuali e degli illuministi napoletani, ma fu interrotta prematuramente: la morte del fratello Ferdinando Vi in Spagna lo chiamò infatti nel 1759 ad assumere la corona di quel Paese, dove divenne Carlo III. Dopo aver rifatto Napoli, rifece anche Madrid: le grandi strade, i parchi, i monumenti che ancora oggi ammiriamo nella capitale spagnola, sono in gran parte merito di Carlo. Prima di partire volle riconfermare per sempre l'indipendenza dei Regni di Sicilia e Napoli con la Pragmatica Sanzione.

Non tutti nel Sud furono contenti dell’intraprendenza e della genialità di Carlo di Borbone, che fu amato tantissimo dal popolo, e molto meno dalla maggior parte di nobiltà e clero, preoccupati di perdere i privilegi e le rendite parassitarie di cui avevano fin lì abbondantemente usufruito. L’estraneità dal contesto del Regno, l’indifferenza o addirittura l’ostilità al progresso di molti esponenti di queste caste, pesò molto sul Sud e sui suoi destini.

Medaglia del 1735 in bronzo coniata a Palermo per l’incoronazione di Carlo e il ritorno dei Regni di Napoli e di Sicilia all’autonomia dinastica. Clicca sull'immagine per ingrandire. Visita la pagina delle medaglie storiche siciliane.

Con il concordato del 1741 pose fine al secolare contrasto con il Papa, nel quale la monarchia affermava definitivamente la sua indipendenza. Dopo aver promulganto il 6 ottobre 1759 la pragmatica sanzione, con cui si separavano definiticamente i troni di Napoli e Sicilia da quello spagnolo, abdicò in favore del figlio Ferdinando nel 1759, dopo 25 anni di regno, alla morte del fratello Ferdinando VI, per salire sul trono di Spagna, con il nome di Carlo III. Quando andò via da Napoli, i sudditi lo rimpiansero a lungo: Carlo, infatti, si era fatto subito ammirare e amare, e fin dal primo momento si era adoprato per risollevare il Regno, organizzando con saggezza il territorio. Napoli era diventata la capitale, come abitanti, seconda alla sola Parigi, ed uno dei centri culturali più importanti d'Europa. Carlo lasciò Napoli con la scorta del famoso Comandante Martinez, detto "Capitan Peppe", leggendario ufficiale della Armata del Mare che tanto si distinse nella lotta contro i pirati barbareschi.

la partenza da Napoli di Re Carlo da Napoli

Antonio Joli, Partenza di Carlo di Borbone per la Spagna, Napoli, Museo di S.Martino


Bibliografia

  • Gleijeses Vittorio, La Storia di Napoli, Società Editrice Napoletana, 1977

  • Gleijeses Vittorio, La guida storica, artistica, monumentale, turistica della città di Napoli e dei suoi dintorni, Società Editrice Napoletana, 1979

  • Canale Aldo, Ulisse la rivista di bordo dell’Alitalia, 2003


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