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Raimondo Di Sangro

L’eccentrico genio... mago, fine alchimista o precursore dei tempi?

di Ciro La Rosa

Raimondo di Sangro

Alchimista, letterato, pittore, dalle idee rivoluzionarie, il VII principe di San Severo, duca di Torremaggiore, marchese di Castelnuovo, principe di Castelfranco, signore di molte città, Grande di Spagna di prima classe, gentiluomo di corte di sua Maestà Carlo di Borbone re di Napoli e Sicilia, comandante dell’Ordine Equestre di San Gennaro, nato a Torremaggiore (Foggia) nel 1710, discendente da stirpe Carolingia, figlio di don Antonio e di Cecilia Caetani d’Aragona, questi era Raimondo de Sangro, personaggio indissolubilmente legato alla Cappella Sansevero. Infatti è impossibile parlare dell’uno senza parlare dell’altra.

Il Blasone dei Di Sangro

Raimondo nacque nel secolo del trionfo delle scienze e della ragione. Viene affidato ai nonni paterni, poiché il padre, accusato dell’omicidio di un vassallo, era fuggito a Vienna, rinunciando al titolo, chiudendosi poi in convento. A soli sedici anni eredita tutti i titoli del casato, nel 1735 sposa la nobildonna Carlotta Caetani. Lo ritroviamo nel 1744 come colonnello del ”Reggimento Capitanata” e partecipa alla battaglia di Velletri, che vede vittoriosi i borbonici sugli austriaci.

Stupì i suoi contemporanei con le sue “stravaganti invenzioni”, mirabolanti come la carrozza anfibia che si spostava sull’acqua, la lampada perpetua, regalò al re Carlo un cannone di gittata superiore a qualsiasi cannone dell’epoca, fabbricò stoffe impermeabili, quadri che sembravano tridimensionali, cose che solo in parte gli sopravvissero, perché i procedimenti seguiti non furono mai pubblicati. Gli esperimenti, sempre circondati da mistero, e coperti da segreto più stretto che, insieme all’adesione alla Massoneria, crearono intorno alla sua persona un cupo alone di mistero impenetrabile. Avendo egli il gusto della teatralità, volle meravigliare il pubblico con effetti speciali, ed allo stesso tempo prendere in giro chi lo prendeva troppo sul serio. Mescolava di proposito la realtà e la fantasia. Così ne parla il Genovesi: “Se egli non avesse il difetto di aver troppa fantasia, per cui è portato qualche volta a vedere cose poco verosimili, potrebbe passare per uno de’ perfetti filosofi”.

Giuseppe Sammartino, Cristo Velato, scultura in marmo, 1755. Napoli, Cappella Sansevero

Raimondo venne ammonito prima e scomunicato poi nel 1750 da papa Benedetto XIV per la sua appartenenza alla Massoneria quale Gran Maestro. Per non subire ulteriori guai, preferì dimettersi dalla Società dei Liberi Muratori. Divenne editore di opere esoteriche e di “libri proibiti”, che gli procurarono altri contrasti con il Papato e solo la pubblicazione della “Supplica Umiliata” salvò i suoi libri e gli evitò nuove grane. Ma i gesuiti continuarono ad orchestrare nei suoi confronti una vera e propria campagna diffamatoria, sicché Raimondo, stanco dei continui attacchi e contenziosi con la Chiesa, si chiuse nei suoi studi.

Firma autografa del Principe di San Severo

Riportiamo la ricostruzione del suo laboratorio fattane da Benedetto Croce: “Fiamme vaganti, luci infernali guizzavano dietro i finestroni … ed ora le fiamme erano colorate d’azzurro … Scomparivano le fiamme, si rifaceva il buio, ed ecco rumori sordi e prolungati risuonavano là dentro … nel silenzio della notte s’udiva come il tintinnio di un’incudine, o si scoteva il selciato del vicoletto come al passaggio d’enormi carri invisibili”.

Cappella San Severo, acquerello di Gabriele Carelli 1881

Raimondo di Sangro fu quindi uomo dai mille interessi, preso dai rinnovamenti culturali, iscritto alla Sacra Accademia Fiorentina e all’Accademia della Crusca. Anche la sua morte è avvolta di mistero, non avendo una data certa (1766 o 1771). È un personaggio tuttora circondato da rispetto e timore reverenziale da parte dei suoi stessi concittadini, tale da essere chiamato semplicemente “ò Prencipe” per antonomasia, definito da Benedetto Croce “l’incarnazione napoletana del dottor Faust”.

La locandina di uno spettacolo svoltosi nel 2006 sulla figura del Principe Raimondo di Sangro

Piazza San Domenico Maggiore è dominata da Palazzo Sansevero, ritenuto la sede del laboratorio impenetrabile di Raimondo, già teatro di demoniaci misfatti e sanguinose esperienze: nella notte tra il 17 ed 18 ottobre 1590 lì avvenne il brutale assassinio di Maria d’Avalos, moglie del primo proprietario del palazzo, il principe di Venosa duca d’Andria Carlo Gesualdo che, sospettando l’infedeltà, sorprese la moglie col suo amante in camera da letto. Li fece uccidere a colpi di archibugio dai suoi servi e ne gettò i cadaveri per strada. Si racconta anche che, raccolto il cadavere della d’Avalos e fatto portare nella vicina chiesa di san Domenico Maggiore, sia stato violato da un padre domenicano segretamente innamorato della nobildonna. In concomitanza della ricorrenza dell’assassinio, ancor oggi c’è chi ritiene di sentire l’echeggiare dei colpi d’arma da fuoco e di vedere nell’ombra una evanescente figura di donna correre per le stradine strette lanciando un grido straziante di disperazione.

 

 

Foto Ciro La Rosa. Cappella San Severo, ingressi e particolari. Clicca sull'immagini per ingrandire

La leggenda della morte di Raimondo di Sangro

Come per ogni buon “mago” che si rispetti, anche sulla morte del principe Raimodo di Sangro, c’è un alone di mistero leggendario: si crede che abbia voluto sfuggire alla morte. Infatti con l’aiuto della chimica e delle forze del male, come narra la leggenda, egli dispose tutto in modo di poter resuscitare dopo qualche mese dalla morte. Volle restare solo per preparare il suo incantesimo e fece allontanare la sua famiglia, mandandola presso le sue tenute in Sansevero. La sua morte sarebbe dovuta durare nove mesi, facendo credere a tutti che era partito da Napoli, lasciando le istruzioni al suo aiutante, uno schiavo moro, il quale seguendo le sue indicazioni lo tagliò a pezzi e lo mise in una cassa dalla quale sarebbe poi uscito integro, da solo, senza ausilio alcuno, a tempo prestabilito, resuscitato ed immortale.

Targa affissa sul palazzo di Raimondo di Sangro nel III centenario della nascita. Clicca per ingrandire

Ma, come in ogni cosa, c’è sempre un imprevisto: il Principe non aveva messo in conto il fatto che la famiglia si fosse insospettita dall’aver ricevuto sue lettere, nelle quali rispondeva a domande che essi non avevano posto. I congiunti costrinsero allora il servo a svelare il segreto, si precipitarono quindi sulla cassa in cui era rinchiuso il cadavere e la scoperchiarono, prima del tempo in modo da far fallire l’incantesimo! il Principe fece in tempo ad uscire, ma cadde definitivamente morto, non avendo rispettato i tempi del sortilegio. Ma dal Principe ci si poteva aspettare di tutto: il suo corpo non si è mai trovato; ancora oggi a Napoli si sostiene che nel vicolo dove è ubicato il palazzo del principe di Sangro, di notte si odono passi e i tintinnii di speroni, rumori notturni, del frastuono degli zoccoli dei cavalli della carrozza del principe, lungo la via Francesco de Sanctis, nelle notti di luna nera. Mentre nella notte di Natale si intravedono le fiammelle delle candele dai finestroni della Cappella Sansevero e si sente musica sacra proveniente da un organo. L’alone di mistero intorno allo scienziato, alla sua dimora, alla sua cappella esercita ancor oggi un fascino morboso e suggestivo che mai si estinguerà.

Copertina del libro sulla Cappella Sansevero

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