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La menzogna e la verità
64. Nel “maggio radioso”, i nazionalisti guerrafondai avevano
divulgato fra le masse idee come queste:
“Le nazioni sono sorte perché hanno avuto un nemico e, in certo
qual modo, sono il consolidamento di uno stato di guerra
permanente delle une contro le altre.
Ora, è necessario aggiungere che l’imperialismo è la naturale
conseguenza del nazionalismo?
Riconoscere questo significa riconoscere la funzione utile
della guerra.
65. Ma s’incappa in altri due dogmi o moralità della religione
contemporanea: l’inviolabilità della vita umana e il
pacifismo: queste cose sono da relegare tra le vecchie
favole, nel patrimonio degli idealismi sentimentali degli
uomini del passato”.
66. Ma ora, l’esperienza atroce delle trincee e della guerra
ristabiliva crudamente la verità:
Veglia
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato,
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio,
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio,
ho scritto
lettere piene d’amore.
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.
Soldati
Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie. (Giuseppe Ungaretti)
|
Giuseppe Ungaretti durante la Prima
guerra mondiale |
CELEBRAZIONE PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO
AL SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA
NEL CENTENARIO DELL'INIZIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sacrario Militare di Redipuglia
Sabato, 13 settembre 2014
Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa
zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro
famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano …
trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo
da dire soltanto: la guerra è una follia.
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo
chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge.
Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere
umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i
fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la
distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!
La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi
che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono
spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione,
c’è l’impulso distorto.
L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è
un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”.
«Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La
guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme,
papà … “A me che importa?”.
Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo
della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che
riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni …,
ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha
detto: “A me che importa?”.
Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra
mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a
pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni …
Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere
come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io
il custode di mio fratello?».
Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci
chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più
piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è
l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato
… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del
Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A
me che importa?”, rimane fuori.
Qui e nell’altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le
ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui
ricordiamo le vittime di tutte le guerre.
Anche oggi le vittime sono tante … Come è possibile questo? E’
possibile perché, anche oggi, dietro le quinte ci sono
interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è
l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!
E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello
scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto
nel cuore: “A me che importa?”.
E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore,
pentirsi, chiedere perdono e piangere.
Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi
della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto
ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha
potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo
cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino
ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.
Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e
per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che
importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”,
per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo.
Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa
è l’ora del pianto.
La Festa dei Gigli nel clima “futurista” (1900-1913)
67. Per ovvio motivo, la Festa dei Gigli di Barra non ebbe luogo
negli anni 1914-15-16-17-18. Non si svolse, altresì, nel 1911
perché, a causa “dell’epidemia colerica in atto”, il Prefetto di
Napoli vietò “gli assembramenti di popolo” per evitare
l’estensione del contagio.
68.
Ne “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, ai nn°288-344,
abbiamo inserito la narrazione delle vicende storiche della
nostra Festa:
ü
dalle origini documentate nel 1822 (vedi nn°288-323), in
concomitanza con la proclamazione ufficiale di S. Anna quale
patrona di tutto il Comune della Barra;
ü
alla sospensione della Festa nel decennio 1830-1840,
principalmente a causa della opposizione dei parroci di S. Anna
(vedi nn°324-329);
ü
alla ripresa nel 1840, con lo spostamento della data all’ultima
domenica di settembre e sotto l’ègida non più di S. Anna ma di
S. Antonio (vedi nn°330-332);
ü
per tutto il restante periodo borbonico, dal 1840 al 1860 (vedi
nn°333-335);
ü
e dopo l’unità d’Italia, dal 1860 al 1900 (vedi nn°336-344).
Inseriamo ora qui il racconto delle vicende della Festa a Barra
nel periodo 1900-1913.
Il “Manifesto del futurismo”
(1909)
69. Il Sabato 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti
(1876-1944) “battezzò” ufficialmente il “movimento futurista”
con il suo celebre “Manifesto del futurismo” pubblicato, in
lingua francese, sulla prima pagina de “Le Figaro”:
“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di
una bellezza nuova: la bellezza della velocità.
Un’automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi,
simili a serpenti dall'alito esplosivo ... un’automobile
ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della
Vittoria di Samotracia.
Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! ... Perché
dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le
misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono
ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già
creata l'eterna velocità onnipresente.
La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa,
l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento
aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto
mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il
militarismo, il patriottismo,
il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si
muore e il disprezzo della donna.
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie
d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, contro il
femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.
Noi canteremo le grandi folle, agitate dal lavoro, dal
piacere o dalla sommossa …
canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e
dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche;
le stazioni
ingorde, divoratrici di serpi che fumano;
le officine,
appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi;
i ponti,
simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al
sole con un luccichio di coltelli;
i piroscafi
avventurosi che fiutano l'orizzonte;
e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle
rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi;
e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica
garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una
folla entusiasta …”
|
Filippo Tommaso Marinetti |
Il futurismo: tentativo di
definizione storico-culturale
70. Evidentemente figlio delle accresciute conoscenze
scientifiche e delle innovazioni tecnologiche che
condussero il capitalismo europeo, sul finire
dell’Ottocento, alla sua seconda rivoluzione industriale
ed alla fase economica espansiva che ne seguì …
… il movimento futurista, con le sue varie successive
diramazioni in tutta la prima metà del Novecento, si potrebbe
definire come la forma tipica dell’ammodernamento
culturale che era necessario alla “nuova borghesia”,
protagonista della seconda rivoluzione industriale,
per “mandare in pensione” la cultura della “vecchia borghesia”,
ovvero gli ormai obsoleti “valori” ottocenteschi di quella
generazione borghese che era stata invece protagonista della
prima rivoluzione industriale.
Il futurismo “nell’aria”: anche a Barra
71. Ma già prima che Marinetti scrivesse il suo manifesto, le
nuove “parole in libertà” echeggiavano, per così dire,
nell’aria, ed erano appunto: “progresso – scienza – tecnica –
velocità – dinamismo – modernità” … ed erano anche (ahinoi!)
“guerra – militarismo – aggressività – espansione coloniale -
disprezzo della donna (no al femminismo) – no al moralismo
(vedi sopra, nn°64-65)”.
72. E queste “parole in libertà”, veleggiando nell’aria,
arrivavano fino ai piccoli centri abitati, ripetute dalla
borghesia paesana “che sapeva leggere e scrivere”.
Non meraviglia perciò che anche la Festa dei Gigli Barrese abbia
subìto, a suo modo, l’influenza del clima culturale dell’epoca.
Giuseppe Scognamiglio (Peppe ‘a Sirena)
73. Emblematica, a questo riguardo, appare la figura di Giuseppe
Scognamiglio, detto Peppe ‘a Sirena, che non a caso fu
definito dal poeta Salvatore Armenio come “ll’autore ‘e tutte
‘e nuvità” (= l’autore di tutte le novità).
74. “Peppe ‘a Sirena lavorava come calderaio nello
stabilimento di Pietrarsa, cioè riparava le caldaie dei treni a
vapore.
Egli aveva un carattere sanguigno e un’inventiva fuori dal
comune, ed era assai stimato e tenuto in considerazione dagli
altri capi-paranza, tanto che nel 1908 fu il primo capo-paranza
Barrese a “comandare” un Giglio a Nola.
Abitava al Corso Sirena, presso il Largo Caténe, ed era
talmente esperto come organizzatore di gruppi di facchini che
diventò anche presidente della commissione che allestiva
annualmente i festeggiamenti in onore della Patrona di Barra, S.
Anna”.
|
Giuseppe Scognamiglio detto Peppe 'a
Sirena |
75. Lo troviamo, infatti, come presidente del “Comitato per i
festeggiamenti patronali” nel 1922, in occasione del
100°anniversario della proclamazione ufficiale di S. Anna come
patrona di tutto il Comune della Barra,
che era poi anche il primo centenario della nascita ufficiale
della Festa dei Gigli Barrese.
L’invenzione del
cuònce cuònce e ghièttele
(1912)
76. Fu Peppe ‘a Sirena ad inventare ed a portare per la
prima volta a Nola (Giglio “del beccaio”), nella festa del 1912,
con una paranza interamente Barrese e con il cantante, pure
Barrese, Pasquale Mele (detto Siscariéllo), il “duje
attenti” ed il “cuònce cuònce e ghièttele” nella
“posàta” del Giglio.
77. E’ noto, infatti, che fino al 1912 la festa, a Nola come a
Barra, era molto più “statica” di quanto sia oggi: i portatori
alzavano lentamente il Giglio (e sso’), lo portavano a
passo più o meno accelerato e danzante, e piano piano lo
poggiavano a terra (e pposa): all’incirca, come avviene
ancora oggi per la Barca di S. Anna a Barra, la
Macchina di S. Rosa a Viterbo, e la Vària di Palmi in
Calabria.
78. “Quel giorno del 1912,
Peppe ‘a Sirena,
dopo aver sfilato insieme alla paranza con il Giglio in Piazza
Duomo (il Giglio “del beccaio” era, ed è, il quarto ad entrare
in piazza), quando lo ebbe allineato di lato al Palazzo di
Città, e prima di fermarlo, chiese a un trombettiere della
fanfara di suonare per due volte l’Attenti! (= duje attente).
Appena il trombettiere ebbe eseguito questo comando, i capi che
stavano attorno ai facchini gridarono Aizàte ‘e rine (=
Alzate le reni, state dritti!) e subito dopo la voce stentòrea
del cantante Pasquale Mele, detto Siscariéllo, gridò:
Cuònce cuònce
…
e ghièttele!
I facchini, in contemporanea, piegarono le ginocchia e il Giglio
cadde di botto a terra”.
79. Questa esibizione “futurista” della paranza Barrese sortì
gli stessi effetti che sortirono, agli inizi, le esibizioni
futuriste: sconcerto nel pubblico … ed intervento delle forze
dell’ordine.
Anche in quel giugno 1912, infatti, ci fu in piazza un momento
di smarrimento, perché era la prima volta che si vedeva una
posata così energica da farne sentire il rumore, tanto più che
il Giglio non cadde subito perpendicolarmente ma oscillò un
poco.
Ed anche in quel giugno 1912, intervennero addirittura i
carabinieri, che portarono
Peppe ‘a Sirena
in caserma, con il rischio di imputarlo per “attentato alla
pubblica incolumità”: alla fine, però, la cosa si risolse
bonariamente, grazie anche alla solidarietà espressa dagli altri
capi-paranza nolani.
80. Né si trattava di una cosa improvvisata: il nuovo
“dinamismo” nella posata del Giglio era stato lungamente provato
in precedenza, a partire da una sera, al principio di giugno,
quando Peppe convocò tutta la paranza ed il cantante
Siscariéllo per una cena, nel giardino nel palazzo
‘ncopp’ a Barra dove abitava.
La “novità futurista” era dunque l’esito di un lavoro
“scientificamente” ben programmato, di tipo quasi industriale
(vedi sopra, n°70).
‘E varre ‘nganno
(1912)
81. Nello stesso anno 1912 in cui “Peppe ‘a Sirena” strabiliava
i Nolani con il
cuònce cuònce e ghièttele,
a Barra altri due famosi “caporali”, e cioè Giuseppe Turiello
detto “Peppe ‘e Pieppo” (Giglio di “Vascio Serìno”) e Eduardo
Petrone detto “Tuardiello” (Giglio “della Parrocchia”)
inventarono le “Varre ‘nganno”.
82. Come
sappiamo,
a quel tempo il percorso dei Gigli era il solo Corso Sirena:
ogni
giglio, ovunque fosse stato costruito, doveva obbligatoriamente
percorrere tutto il Corso, prima di tornare al suo posto
iniziale, ponendo mente a lasciar passare, negli slarghi
del Corso stesso, il giglio che proveniva in senso inverso. Se
non che, nel settembre 1912 …
83. “Una volta che il Giglio della Parrocchia, comandato da
Tuardiéllo, si trovava quasi a metà del “marciapiede” di
Corso Sirena … il Giglio di “Vascio Serino”, comandato da
Peppe ‘e Pieppo, non aspettò che il Giglio di Tuardiéllo
raggiungesse il Largo davanti alla Parrocchia per “fare lo
scambio” secondo consuetudine … ma continuò ad avanzare fino a
che i due Gigli si trovarono l’uno di fronte all’altro, davanti
al Palazzo detto di “Casauriéllo” (= Corso Sirena n°236) … le
due fanfare non smisero di suonare e i due Gigli continuarono a
ballare, in una gara di resistenza … fino a che, dopo circa 10
minuti, gli uomini della “paranza” di Tuardiéllo si
gettarono esausti ai lati della strada …
Allora, il Giglio di Peppe ‘e Pieppo, prima di fermarsi a
sua volta, avanzò fino ad appoggiare, a più riprese, le sue
varre anteriori su quelle anteriori del Giglio di Tuardiéllo:
da qui, la nuova espressione, immediatamente coniata dal popolo,
di “mettere ‘e varre ‘nganno” (= mettere le sbarre al collo”).
Dopo di che, lo sconfitto dovette arretrare fino all’altezza
della Traversa Spinelli
e lì cedere il passo al vincitore …
84. Da allora, quasi tutti gli anni si ripeterono queste epiche
sfide fra i vari caporali della festa, fino a che, nel 1955, non
venne introdotto il percorso “rotatorio” Corso Sirena- Corso
Bruno Buozzi … ma è da notare che, pure in tanti anni, non vi
furono mai seri alterchi né incidenti perché ogni commissione
aveva il rispetto dell’altra e i giorni della festa erano intesi
davvero come giornate di divertimento e di allegria per tutti,
popolo ed organizzatori”.
L’aumento del numero dei cullatori (1910)
85. Queste mirabolanti esibizioni “futuriste” furono, nello
stesso tempo, causa ed effetto del progressivo aumento del
numero dei portatori del Giglio.
E fu ancora Peppe ‘a Sirena colui che, nella festa di
Nola del 1910, innalzò per la prima volta il numero dei
cullatori da 44 a 48.
86. Si deve qui annotare che, in quel tempo, una paranza era
costituita in genere da 50-60 uomini, dei quali 44 portavano il
Giglio ed i rimanenti erano “di ricambio”.
Le varre erano 8, ma più corte e più grosse di quelle
attuali. Sotto ogni varra vi erano 5 uomini (3 sotto la
parte anteriore al Giglio, e 2 sotto la parte posteriore). Per
cui, vi erano in tutto 8x5= 40 persone.
I varretielli, posti sui due fianchi del Giglio
perpendicolarmente alle varre, erano più sottili delle
varre ed inoltre erano estraibili, per consentire al Giglio
di passare nei punti più stretti del Corso Sirena. Sotto i
varretielli vi erano solo 4 uomini (2 a destra e 2 a
sinistra del Giglio).
Complessivamente, quindi, vi erano: 40 sotto le varre + 4
sotto i varretielli = 44 persone.
87. In quel 1910, Peppe ‘a Sirena inserì altri 4 uomini
sotto al Giglio, uno per ogni varretiello, portando così
il totale complessivo a 48 persone. Da allora, tutti
cominciarono ad immettere altri uomini sotto il Giglio.
Basti osservare che attualmente (anno 2000), fra varre e
varretielli si arriva fino a 128 persone (e oltre) …
Le “cacciate” d’occasione
La “cacciata” rappresentava il modo con cui, nel corso
dell’anno, si annunciava ufficialmente al popolo che una
determinata Commissione avrebbe allestito il Giglio, e quindi
preso parte alla festa, nel successivo mese di settembre.
89. Verso le 5 del pomeriggio, si formava il corteo con i
componenti della Commissione organizzatrice ed i simpatizzanti,
accompagnati dalla Banda musicale e da almeno due cantanti che
eseguivano le canzoni presentate dalla Commissione in
quell’anno, ed in particolare la “marcetta” che sarebbe poi
servita a dare il tempo alla “paranza” nell’alzata del Giglio.
Il corteo sfilava lungo il Corso Sirena, unendosi ai cantanti e
alla musica con il battito delle mani ed il canto del
ritornello, e spesso facendo volteggiare fra le mani le
clamorose “raganelle” che erano rudimentali e chiassosissimi
strumenti musicali in legno e che scompariranno poi dalla festa
solo negli anni Sessanta.
|
Raganella |
90. “Memorabile fu la cacciata d’occasione del Rione Municipio,
Commissione Piazza Umberto I, nel 1913. Una sera di giugno, si
racconta, si videro sfilare con la Commissione ben 150 persone,
ragazzi giovani e anziani, che portavano fra le mani un
lanternino di carta colorata con dentro un lumino acceso. La
sfilata era seguita dalla Banda “Margherita” composta per
l’occasione da circa 60 elementi e diretta dal maestro Ernesto
Girolamo Borriello, fratello del caporale Salvatore. La canzone
d’occasione era “Tango della collina”, peraltro non nuova perché
era stata presentata per la prima volta già nel 1907 dalla
Commissione di Piazza Serino … Comunque, il numero di persone al
seguito e la stravaganza dell’episodio diede inizio alla grande
spettacolarità delle cacciate Barresi”.
La “scuola poetica” Barrese
91. Abbiamo riportato a suo luogo
il testo integrale di
‘A festa
(versi di Gennaro Punzo; musica di Eduardo Petrone; anno 1882)
che può essere ritenuta la prima canzone d’autore interamente
Barrese di cui si abbia documentata notizia.
E’ però solo a partire dal nuovo secolo, e nel clima futurista,
che nasce una vera e propria “scuola poetica” Barrese, che
raggiungerà poi il suo massimo splendore negli anni fra le due
Guerre mondiali, ed avrà il suo fors’ultimo esponente in Alfonso
Zufacchi.
92. Già nel 1901, infatti, rinveniamo i temi tipicamente
futuristi del “motore”, del “macchinario”, e finanche del
“volo”, nei dinamicissimi versi della canzone
’O ggiglio ca vola! (versi di
Edoardo Napolitano; musica di Salvatore Armenio), presentata dal
“Rione aristocratico Monteleone”:
Nun è nu machinàrio, ‘gnornò!
Nun è mutòre elettrico, dich’i,
e comme accussì fàcele se po’
‘a ffa ‘stu giglio all’aria saglì?
Allora è ‘sta paranza
ca fa ‘na maraviglia!
Comme mmalòra ‘o piglia
‘stu giglio e ‘o fa vula’!
‘O vòtano, ‘o gìrano, ‘o fanno abballa’,
‘o pòrtano pèsole e senza stracqua’.
Chi vene a ‘sta festa, pe meglio gude’,
‘o giglio ca vola
venèsse a vede’!
93. E nel 1908 perfino Benedetto Santilli[44],
il primo Direttore Didattico della Scuola elementare in Barra,
si dilettò a scrivere, sulla musica di Tùppete tùppete di
Vincenzo Di Chiara[45],
i versi di ‘O giglio Serino alla Barra, per la
Commissione il cui capo era Angelantonio Petrone, residente
nella cortina detta “Case Petrone” appunto Abbàscio Serìno.
94. In effetti, dai documenti superstiti, possiamo considerare
proprio Edoardo Napolitano e Salvatore Armenio come gli
iniziatori della “scuola poetica” Barrese negli anni precedenti
la Prima guerra mondiale.
La festa piccolo-borghese
95. Sia Napolitano sia Armenio, oltre che poesie, componevano
anche musica. Ciò conferma quanto abbiamo già scritto sopra
(vedi
nn°71-72)
e cioè
che, in quegli anni, la
festa era passata compiutamente sotto l’egemonia della piccola
borghesia paesana.
Era una egemonia culturale, perché i piccolo-borghesi
“sapevano leggere e scrivere” e “sapevano” anche la musica.
Ed era anche una egemonia economica, perché erano loro
che “ci mettevano i soldi”.
96. Ben presto, in luogo dei due caporali precedenti,
nacque la figura del “caporale unico” che era di fatto la
persona che più contribuiva economicamente a “fare il giglio”
oppure, in alternativa, che era comunque in grado di raccogliere
per tutto l’anno finanziamenti tra la gente, diventando così una
sorta di animatore permanente della festa ed il vero e proprio
asse portante di essa.
Nasceva così la leggenda barrese, che si svilupperà poi dopo la
Prima guerra mondiale, della “rivalità fraterna”, scherzosa e
cavalleresca, fra capi-paranza che erano autentici leaders
popolari, come Peppe ‘e Pieppo, Don Gioacchino Panìco ’o rre
de’ rre, ‘O Sardone, Casamiccio, i Petrone,‘A Pàpera, etc.
La musica: dai “sei ottavi” ai
“due quarti”
97. Naturalmente, nel clima generale di esaltazione futurista
della “bellezza della velocità” (vedi sopra, n°69), anche
la musica dei Gigli diventò più veloce: nel 1901, cioè nello
stesso anno dei versi “dinamici” di
’O ggiglio ca vola!
venne presentata per la prima volta anche una canzone che, al
posto del “sei ottavi” in uso fin’allora, utilizzava il tempo
musicale dei “due quarti”: “Semplice e bella”, con versi di
Giuseppe Tetamo; la musica era di Salvatore Oliva.
E, da quel momento, i “due quarti” prevalsero sempre di più,
fino a sostituire quasi completamente i vecchi “sei ottavi”.
Una “scuola musicale” Barrese
98. Protagonisti principali di questa modernizzazione furono
ovviamente i musicisti Barresi, che divennero sempre più
numerosi e qualificati, sia quelli che erano “inquadrati”
all’interno delle Bande Musicali, sia quelli che agivano invece
“privatamente”, dando lezioni di musica e prestando la propria
opera a pagamento come singoli professionisti.
Si può quindi parlare, oltre che di una “scuola poetica”, anche
di una “scuola musicale” Barrese che, nei primi decenni del
Novecento, raggiunse il suo massimo splendore, tanto da dar
luogo all’inserimento, nella “Smorfia” napoletana, di una
aggiunta di significato: il numero 55, tradizionalmente ‘A
mùsica, diventò per antonomasia “55, ‘A musica d’a Barra”.
In quegli anni, Barra poté vantare, oltre alla Banda comunale,
altre due folte Bande musicali: la Banda “Margherita” e quella
del “Mercato Agricolo”.
La Banda Civica Musicale del
Comune della Barra (1842-1925)
99. La perdita dei documenti
non consente, purtroppo, di ricostruire compiutamente la storia
della gloriosa Banda Civica Musicale.
Sappiamo però con certezza, dalla biografia di Don Raffaele
Verolino,
che essa nacque nel 1842, in periodo borbonico, e sappiamo che
finì ufficialmente nel 1925, quando il Comune di Barra venne
aggregato a quello di Napoli e quindi non poté più avere una
propria Banda Civica … anche se rimasero, naturalmente, Bande
Musicali “private”, fra le quali anche la ex-Banda Civica,
sempre guidata dal Maestro Raffaele Pàssaro.
100. La prima volta che la Banda Musicale compare ufficialmente
negli Atti del Consiglio comunale è nel 1872: “Vestiario per la
Banda musicale” (Delibera N°129 del 6 settembre 1872).
L’ultima volta è nel 1922: “Nomina della Commissione di
sorveglianza al Concerto Civico musicale di Barra” (Delibera
N°11 del 25 febbraio 1922).
101. I componenti la Banda Musicale non erano stipendiati, ma il
Comune provvedeva, in parte, alla spesa per le uniformi e per
gli strumenti musicali.
Per le uniformi
“Concorso nella spesa delle uniformi della Banda Civica”
(Delibera N°331 del 8 marzo 1875).
“Assegno alla Banda Civica” (Delibera N°50 del 26 aprile 1876).
“Pel vestiario della Banda Civica Musicale” (Delibera N°319 del
17 marzo 1880).
“Fornitura delle uniformi alla Banda Civica Municipale”
(Delibera N°348 del 5 luglio 1880).
“Circa le uniformi alla Banda Civica Municipale” (Delibera N°72
del 27 aprile 1885).
“Riparazioni alle uniformi della Banda civica” (Delibera N°75
del 27 aprile 1885).
Per gli strumenti musicali
“Approvazione, in prima lettura, di istanza della Banda Civica
per concorso del Comune nella spesa per un nuovo vestiario e
provvista di strumenti musicali” (Delibera N°26 del 6
febbraio 1912).
“Approvazione, in seconda lettura, del concorso nella spesa per
provvista di nuovo vestiario e di strumenti musicali alla
Banda Civica” (Delibera N°57 del 15 aprile 1912).
“Concorso nella spesa per uniformi alla Banda Musicale Cittadina
e per riparazione degli strumenti” (Delibera N°62 del 15
novembre 1915).
Il Regolamento
102. Nel 1881, venne emanato il primo Regolamento:
“Regolamento interno pel servizio della Banda Civica Musicale”
(Delibera N°453 del 14 dicembre 1881).
Verrà poi aggiornato nel 1905: “Approvazione del Regolamento
della Banda Civica Municipale” (Delibera N°52 del 2 giugno
1905).
Il Regolamento prevedeva, fra l’altro, che ogni componente la
Banda aveva l’obbligo di istruire almeno due allievi, ai quali
il Comune acquistava gli strumenti musicali e li riparava in
caso di necessità, che dovevano poi superare un regolare
concorso per essere ammessi a far parte della Banda.
L’elenco dei Maestri
103. Dai documenti disponibili, possiamo ricavare il seguente
elenco dei Maestri della Banda Civica Musicale del Comune della
Barra:
1.
M. Nicola Bufaletti (1886-1896)
2.
M. Raffaele Pàparo (1896- 1905 ?)
3.
M. Francesco Paolo Gallo (1905 –1907)
4.
M. Raffaele Pàssaro (1907-1925)
Il Maestro Nicola Bufaletti
(1886-1896)
104. Il primo Maestro di cui si conservi il nome è dunque Nicola
Bufaletti:
“Disposizioni per la nomina di un Capo Musica della Banda
Civica” (Delibera N°125 del 16 febbraio 1886). “Nomina del Capo
Musica” (Delibera N°177 del 27 ottobre 1886). “Nomina del Capo
Musica della Banda Civica” (Delibera N°191 del 30 dicembre
1886).
“Conferma del sig. Nicola Bufaletti nella carica di Capo Musica
Municipale” (Delibera N°326 del 8 ottobre 1888).
105. Sappiamo che la Banda Civica Musicale, nel 1888, era
composta di 38 elementi e provava in un ampio locale, sito al
Corso Sirena, che era di proprietà del Comune.
106. Il Comune continuava regolarmente nel suo “concorso alle
spese”, sia per le uniformi sia per gli strumenti musicali:
“Nuovo vestiario alla Banda Civica Musicale” (Delibera N°216 del
21 aprile 1887).
“Pagamento di spese per acquisto di strumenti musicali e per
accomodi eseguiti a diversi strumenti” (Delibera N°253 del 18
novembre 1887).
“Approvazione di spesa per la Banda Civica Musicale” (Delibera
N°161 del 30 novembre 1891).
“Disposizioni per il nuovo vestiario della Banda Civica
Musicale” (Delibera N°189 del 20 aprile 1893).
E troviamo anche, per una sola volta, un “Assegno mensile al
Sotto-Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°125
del 16 giugno 1890).
Uno spiacevole incidente (1895)
107. Purtroppo, negli Atti della Giunta comunale, rinveniamo
anche il racconto di uno spiacevole incidente, avvenuto
nell’estate del 1895, che coinvolse, dopo anni di onorato
servizio, il maestro Bufaletti.
108. In data 18 agosto 1895, la Banda Civica Musicale stava per
iniziare un concerto in Piazza Crocella ed erano presenti, in
servizio di ordine pubblico, il Vice-brigadiere delle Guardie
Municipali Domenico Cozzolino e la Guardia semplice
Giuseppe Cozzolino.
All’improvviso, mentre ancora la Banda stava accordando gli
strumenti, la Guardia semplice Giuseppe Cozzolino,
peraltro subito imitato da altri, iniziò un fitto lancio di
bucce di melone, sembra perché “in urto con il Capo Musica
della Banda, maestro Nicola Bufaletti”.
109. A causa di detto lancio, “il Capo Musica ebbe il cappello e
la giacca macchiati” e “ne successe un parapiglia tra i
suonatori, che non sapevano dove ripararsi” …
Ma fatto grave fu che “il Vice-brigadiere non intervenne” e la
Banda, per tale incidente, “non tenne il concerto”.
Conseguenze dello spiacevole
incidente
110. La Giunta comunale, prestamente riunita, decise di “degradare
il Vice-brigadiere Domenico Cozzolino” e di infliggere 3 mesi
di sospensione, dal servizio e dallo stipendio, alla Guardia
semplice Giuseppe Cozzolino, oltre tutto già protagonista, in
precedenza, “di altro fatto, che gli era costato 2 mesi di
sospensione”.
111. I due Cozzolino presentarono però ricorso alla Giunta
Provinciale Amministrativa, la quale, dopo 7 mesi, accolse il
loro ricorso ed intimò al Comune della Barra:
-
di reintegrare Cozzolino Domenico nel suo grado di
Vice-brigadiere, pagandogli le mensilità di stipendio che non
aveva percepito nel frattempo;
-
di versare a Cozzolino Giuseppe i 3 mesi di stipendio non
ricevuti a causa della sospensione.
La Giunta comunale di Barra si riunì nuovamente sull’argomento
in data 21 marzo 1896 e, dopo accesa discussione, con tre voti
contro due, decise di adeguarsi alle disposizioni della Giunta
Provinciale Amministrativa, rinunciando a fare ulteriori
opposizioni in sede legale.
La malattia e la morte del
Maestro Bufaletti
112. Non conosciamo i motivi per i quali la Guardia semplice
Cozzolino Giuseppe era venuto “in urto con il Capo Musica della
Banda”.
Sappiamo, però, che evidentemente il povero Maestro Bufaletti,
peraltro già anziano, non resse al duplice colpo, prima
della pubblica offesa alla sua dignità di uomo e di musicista, e
poi della piena assoluzione dei colpevoli.
113. Sta di fatto che si ammalò: il 1°aprile 1896, la Giunta
comunale “delibera il pagamento di Lire 10 al Direttore della
Banda Civica Musicale, Maestro Nicola Bufaletti, per rimborso
spese di illuminazione per le prove ed i concerti serali tenuti
in casa sua durante il periodo della di lui malattia, e
precisamente nel primo trimestre del corrente anno 1896”.
114. Infine, nello stesso giorno, il 24 luglio 1896, troviamo
agli Atti:
-
“Sussidio alla vedova del defunto Maestro della Banda
Civica Musicale Bufaletti Nicola” (Delibera N°199 del 24 luglio
1896).
-
“Nomina del Maestro della Banda Civica Musicale in sùrroga
del sig. Bufaletti Nicola defunto” (Delibera N°195 del 24 luglio
1896).
Il Capo Musica Municipale era infatti deceduto nel maggio 1896.
Comunque, la sopravvenuta morte risparmiò pietosamente al povero
Bufaletti una ulteriore beffa: “Risarcimento di spese
sostenute dagli Agenti Municipali Cozzolino Giuseppe e Domenico,
e di compenso all’Avvocato, innanzi la Giunta Provinciale
Amministrativa” (Delibera N°209 del 20 settembre 1896).
Il Maestro Raffaele Pàparo
(1896-circa 1900)
115. Successore di Bufaletti fu il Maestro Raffaele Pàparo
che, proprio in occasione della festa di S. Anna del 1896,
accettò di sostituirlo, in sùrroga (vedi sopra),
provvisoriamente (per due anni!), ed anche senza
stipendio, stanti le ben note difficoltà di bilancio del
Comune della Barra.
La nomina definitiva e ufficiale di Pàparo avvenne infatti solo
due anni dopo, nel 1898: “Approvazione, in seconda lettura,
della nomina di Pàparo Raffaele a Capo Musica della Banda
Civica” (Delibera N°146 del 13 aprile 1898).
116. Gli Atti del Consiglio comunale, precedenti a questa data,
mostrano quanto sia stata laboriosa la questione della nomina, e
soprattutto del compenso, del Maestro Pàparo:
“Disposizioni per la nomina del Capo Musica della Banda Civica”
(Delibera N°229 del 13 ottobre 1896).
“Nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera
N°19 del 5 marzo 1897).
“Revoca di deliberazione relativa al concorso per la
nomina del Capo Musica” (Delibera N°44 del 9 giugno 1897).
“Inversione di fondo pel Bilancio 1898 per la Banda
Civica Musicale” (Delibera N°117 del 29 dicembre 1897).
“Aggiornamento di proposta circa la nomina del Maestro
della Banda Civica Musicale” (Delibera N°121 del 8 gennaio
1898).
“Approvazione di compenso, in prima lettura, al Direttore
della Banda Civica Musicale” (Delibera N°124 del 22 gennaio
1898).
“Nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera
N°127 del 22 gennaio 1898).
“Inversione di fondo per spesa di vestiario alla Banda
Civica Musicale” (Delibera N°141 del 12 marzo 1898).
“Approvazione, in seconda lettura, di un compenso al
Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°143 del 12
marzo 1898).
E solo alla fine di questo biennale itìnere, la già
citata “Approvazione, in seconda lettura, della nomina di Pàparo
Raffaele a Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°146 del
13 aprile 1898).
117. Il Maestro Pàparo riuscì ad ottenere dai micragnòsi
“gentiluomini” del Comune perfino una avveniristica
“illuminazione a gas” per la Sala di Musica (vedi sopra,
n°105): “Disposizioni per l’illuminazione a gas della
Sala di musica” (Delibera N°229 del 6 maggio 1899).
118. Ma i suoi rapporti con l’Amministrazione comunale non
dovettero essere mai molto tranquilli, visto che, dopo solo
altri 2 anni dalla sua nomina ufficiale, già si cominciava a
parlare di una “rèvoca” e della nomina di un nuovo Capo Musica:
“Aggiornamento di proposta per la rèvoca della nomina del
Capo Musica” (Delibera N°62 del 13 dicembre 1900).
“Rimando d’interpellanza del consigliere Veneruso per la
nomina del Capo Musica” (Delibera N°65 del 28 dicembre
1900).
Le altre due Bande Musicali
locali
119. Il maestro Pàparo fu dunque, nei suoi pochi anni di
magistero musicale, sempre giuridicamente ed economicamente
“precario”.
E questa situazione contribuì, evidentemente, a far sì che anche
le altre due Bande Musicali Barresi,
quelle “private”, cominciassero ad avanzare pretese di sostegno
economico al Comune … peraltro, a quanto pare, senza ottenere
granché:
“Rimando di istanze dei Maestri delle Bande musicali
locali per un concorso nelle riparazioni degli strumenti e
divise” (Delibera N°216 dell’8 marzo 1902).
“Rimando di istanze delle due Bande musicali locali
per un concorso nelle riparazioni degli strumenti e divise”
(Delibera N°221 del 20 marzo 1902).
Adda venì Lubé
(1904)
120. Emile Loubet (1838-1929), presidente della
Repubblica francese dal 1899 al 1906, venne in visita a Napoli
nel marzo del 1904, accolto dal Re Vittorio Emanuele III.
Alle cerimonie di accoglienza partecipò anche il Comune di
Barra: l’allora Commissario Straordinario Cav. Augusto Sanfelice
di Bagnoli[50]
si portò appresso una rappresentanza del disciolto Consiglio
comunale, una delegazione della Società Operaia di Mutuo
Soccorso, e soprattutto la già rinomata Banda Civica Musicale
che anche in quella circostanza si fece onore.
|
Cartolina con Vittorio Emanuele III e
Emile Loubet |
121. Considerato poi che i componenti la Banda non erano
stipendiati dal Comune ma erano tutti operai che, per poter
suonare quel giorno, avevano perso una giornata di lavoro, il
Commissario Straordinario deliberò “un premio complessivo di
Lire 50”, da dividersi fra tutti.
Il Maestro–Assessore Francesco
Paolo Gallo (1905-1907)
122. Infine, il Comune decise di “fare le cose in casa” e i
Consiglieri nominarono come Maestro della Banda Civica … un
Assessore comunale, che dobbiamo presumere avesse anche le
necessarie competenze musicali e che comunque, correttamente,
dopo la nomina, si dimise dall’incarico di Assessore, pur
rimanendo peraltro Consigliere comunale:
“Nomina dell’Assessore Gallo Francesco Paolo a Direttore
della Banda Civica Musicale” (Delibera N°17 del 18 febbraio
1905). “Accettazione delle dimissioni da Assessore
supplente del sig. Gallo Francesco Paolo” (Delibera N°57 del 21
luglio 1905).
Il Maestro Raffaele Pàssaro
(1907-1925)
123. Raffaele Pàssaro era originario di Casalnuovo e divenne,
per regolare concorso, Direttore della Banda Musicale di Barra
nel 1907: “Nomina del Direttore della Banda Civica Musicale”
(Delibera N°160 del 1 agosto 1907).
Venne poi confermato ad honorem alla vigilia della Grande
Guerra: “Nomina ad honorem del Direttore della Banda
cittadina” (Delibera N°20 del 20 marzo 1915).
E rimase alla guida della Banda Musicale, quando quest’ultima fu
ricostituita dopo la Guerra: “Ricostituzione del civico concerto
musicale di Barra” (Delibera N°74 del 10 aprile 1919).
124. Lo troviamo perciò nel pieno esercizio delle sue funzioni
nel febbraio del 1911, quando la Banda Civica Musicale
“intervenne alle onoranze funebri del compianto Prefetto di
Napoli, senatore De Seta, dove il Comune di Barra fu
ufficialmente rappresentato” e …
“La Giunta Municipale di Barra, considerato
-
che la Banda Civica non è stipendiata dal Comune (era
stipendiato solo il Maestro);
-
che i componenti la Banda stessa sono tutti operai e
quindi, per intervenire alle suddette esequie, dovettero
lasciare il lavoro;
-
essere giusto ed equo che siano almeno risarciti del danno
finanziario da essi subìto;
delibera
pagarsi alla Banda Musicale medesima la somma di Lire 70 (per
accogliere Loubet, nel 1904, la somma era stata di Lire 50)
a titolo di compenso per l’opera prestata, emettendosi mandato
in favore del Direttore di essa, Maestro Raffaele Pàssaro”.
125. Il Maestro Pàssaro è giustamente ricordato soprattutto come
autore della musica dell’Inno a S. Anna.[51]
Ma sono sue anche numerose canzoni per la festa dei Gigli. Basti
qui dire che, già nel 1908, cioè l’anno dopo la sua nomina a
Direttore, compose la musica di ’O giglio d’a Parrocchia, su
versi di Umberto Caruso, per l’esordio come caporale nella festa
di Eduardo Petrone detto Tuardiello[52].
Di questo, però, e delle vicende della Banda Civica Musicale
successive alla Prima guerra mondiale, diremo più ampiamente a
suo luogo.
Vedi
“Il periodo liberale dal 1900 al 1914”, nn°634-635.
Cuonce cuonce (acconciamente, in modo acconcio) è
un’espressione avverbiale, che significa: “lentamente,
piano piano, senza fretta” ma anche “accortamente, con
cautela, precisione e circospezione”.
Il
sostantivo cuoncio, di cui cuonce è il plurale, deriva
dal latino volgare comptus (= ornato, adorno) e comere
(= mettere insieme), da cui anche il verbo comptiare (=
conciare, acconciare, mettere insieme in modo acconcio,
portare a compimento, svolgere con precisione un
compito).
Come sostantivo, cuoncio ha vari significati, fra cui:
“concime ovvero letame per concimare”, ma anche
“condimento, belletto”, da cui l’espressione ‘o cuoncio
acconcia (= il belletto/il condimento rende migliore la
persona/il cibo).
Il
cuoncio (concio), però, indica anche quella piccola
piramide, di tufo o altra pietra, che si usava nella
tecnica di costruzione muraria che gli antichi romani
chiamavano opus quadratum o opus reticulatum,
consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce
laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed
il vertice verso l'interno, piccole piramidi, di tufo o
altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, così
costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di
quadratini orizzontati diagonalmente.
Per
cui, con la locuzione avverbiale cuonce cuonce si
intende richiamare la lentezza, la cautela, la
precisione maniacale e circospetta da usarsi, procedendo
un concio per volta, nel porre in essere l’opus
quadratum o opus reticulatum: allo stesso modo, con la
medesima studiata lentezza, cautela e precisione, deve
comportarsi nel suo agire chi sia invitato ad operare
cuonce cuonce.
Ghièttele
significa “gèttalo, bùttalo giù”.
Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°339.
Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900, n°100.