Le mille città del Sud

 


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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

11.6b Il Periodo Liberale (1914-1918)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

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La menzogna e la verità

64. Nel “maggio radioso”, i nazionalisti guerrafondai avevano divulgato fra le masse idee come queste:

“Le nazioni sono sorte perché hanno avuto un nemico e, in certo qual modo, sono il consolidamento di uno stato di guerra permanente delle une contro le altre.

Ora, è necessario aggiungere che l’imperialismo è la naturale conseguenza del nazionalismo?

Riconoscere questo significa riconoscere la funzione utile della guerra.

65. Ma s’incappa in altri due dogmi o moralità della religione contemporanea: l’inviolabilità della vita umana e il pacifismo: queste cose sono da relegare tra le vecchie favole, nel patrimonio degli idealismi sentimentali degli uomini del passato”.  

66. Ma ora, l’esperienza atroce delle trincee e della guerra ristabiliva crudamente la verità:

Veglia

Un’intera nottata

buttato vicino

a un compagno

massacrato,

con la sua bocca

digrignata

volta al plenilunio,

con la congestione

delle sue mani

penetrata

nel mio silenzio,

ho scritto

lettere piene d’amore.

Non sono mai stato

tanto

attaccato alla vita.

 

Soldati

Si sta come

d’autunno

sugli alberi

le foglie.       (Giuseppe Ungaretti)

Giuseppe Ungaretti durante la Prima guerra mondiale

CELEBRAZIONE PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO
AL SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA
NEL CENTENARIO DELL'INIZIO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE

SANTA MESSA

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Sacrario Militare di Redipuglia
Sabato, 13 settembre 2014

Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano … trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.

Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!

La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto.

L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà … “A me che importa?”.

Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni …, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”.

Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni …

Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».

Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato … Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori.

Qui e nell’altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo le vittime di tutte le guerre.

Anche oggi le vittime sono tante … Come è possibile questo? E’ possibile perché, anche oggi, dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!

E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”.

E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.

Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.

Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto.

La Festa dei Gigli nel clima “futurista” (1900-1913)

67. Per ovvio motivo, la Festa dei Gigli di Barra non ebbe luogo negli anni 1914-15-16-17-18. Non si svolse, altresì, nel 1911 perché, a causa “dell’epidemia colerica in atto”, il Prefetto di Napoli vietò “gli assembramenti di popolo” per evitare l’estensione del contagio.[30]

68. Ne “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, ai nn°288-344, abbiamo inserito la narrazione delle vicende storiche della nostra Festa:

ü    dalle origini documentate nel 1822 (vedi nn°288-323), in concomitanza con la proclamazione ufficiale di S. Anna quale patrona di tutto il Comune della Barra;

ü    alla sospensione della Festa nel decennio 1830-1840, principalmente a causa della opposizione dei parroci di S. Anna (vedi nn°324-329);

ü    alla ripresa nel 1840, con lo spostamento della data all’ultima domenica di settembre e sotto l’ègida non più di S. Anna ma di S. Antonio (vedi nn°330-332);

ü    per tutto il restante periodo borbonico, dal 1840 al 1860 (vedi nn°333-335);

ü    e dopo l’unità d’Italia, dal 1860 al 1900 (vedi nn°336-344).

Inseriamo ora qui il racconto delle vicende della Festa a Barra nel periodo 1900-1913.

Il “Manifesto del futurismo” (1909)

69. Il Sabato 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) “battezzò” ufficialmente il “movimento futurista” con il suo celebre “Manifesto del futurismo” pubblicato, in lingua francese, sulla prima pagina de “Le Figaro”:

“Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.

Un’automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi, simili a serpenti dall'alito esplosivo ... un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.

Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! ... Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell'impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente.

La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e combattere contro il moralismo, contro il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria.

Noi canteremo le grandi folle, agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa …

canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche;

le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano;

le officine, appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi;

i ponti, simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli;

i piroscafi avventurosi che fiutano l'orizzonte;

e le locomotive dall'ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d'acciaio imbrigliati di tubi;

e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta …”

Filippo Tommaso Marinetti

Il futurismo: tentativo di definizione storico-culturale 

70. Evidentemente figlio delle accresciute conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche che condussero il capitalismo europeo, sul finire dell’Ottocento, alla sua seconda rivoluzione industriale ed alla fase economica espansiva che ne seguì …

… il movimento futurista, con le sue varie successive diramazioni in tutta la prima metà del Novecento, si potrebbe definire come la forma tipica dell’ammodernamento culturale che era necessario alla “nuova borghesia”, protagonista della seconda rivoluzione industriale[31], per “mandare in pensione” la cultura della “vecchia borghesia”, ovvero gli ormai obsoleti “valori” ottocenteschi di quella generazione borghese che era stata invece protagonista della prima rivoluzione industriale.

Il futurismo “nell’aria”: anche a Barra

71. Ma già prima che Marinetti scrivesse il suo manifesto, le nuove “parole in libertà” echeggiavano, per così dire, nell’aria, ed erano appunto: “progresso – scienza – tecnica – velocità – dinamismo – modernità” … ed erano anche (ahinoi!) “guerra – militarismo – aggressività – espansione coloniale - disprezzo della donna (no al femminismo) – no al moralismo (vedi sopra, nn°64-65)”.

72. E queste “parole in libertà”, veleggiando nell’aria, arrivavano fino ai piccoli centri abitati, ripetute dalla borghesia paesana “che sapeva leggere e scrivere”.   

Non meraviglia perciò che anche la Festa dei Gigli Barrese abbia subìto, a suo modo, l’influenza del clima culturale dell’epoca.

Giuseppe Scognamiglio (Peppe ‘a Sirena)

73. Emblematica, a questo riguardo, appare la figura di Giuseppe Scognamiglio, detto Peppe ‘a Sirena, che non a caso fu definito dal poeta Salvatore Armenio come “ll’autore ‘e tutte ‘e nuvità” (= l’autore di tutte le novità).

74. “Peppe ‘a Sirena lavorava come calderaio nello stabilimento di Pietrarsa, cioè riparava le caldaie dei treni a vapore.

Egli aveva un carattere sanguigno e un’inventiva fuori dal comune, ed era assai stimato e tenuto in considerazione dagli altri capi-paranza, tanto che nel 1908 fu il primo capo-paranza Barrese a “comandare” un Giglio a Nola. 

Abitava al Corso Sirena, presso il Largo Caténe, ed era talmente esperto come organizzatore di gruppi di facchini che diventò anche presidente della commissione che allestiva annualmente i festeggiamenti in onore della Patrona di Barra, S. Anna”.[32]

Giuseppe Scognamiglio detto Peppe 'a Sirena

75. Lo troviamo, infatti, come presidente del “Comitato per i festeggiamenti patronali” nel 1922, in occasione del 100°anniversario della proclamazione ufficiale di S. Anna come patrona di tutto il Comune della Barra[33], che era poi anche il primo centenario della nascita ufficiale della Festa dei Gigli Barrese.

L’invenzione del cuònce cuònce e ghièttele (1912)

76. Fu Peppe ‘a Sirena ad inventare ed a portare per la prima volta a Nola (Giglio “del beccaio”), nella festa del 1912, con una paranza interamente Barrese e con il cantante, pure Barrese, Pasquale Mele (detto Siscariéllo), il “duje attenti” ed il “cuònce cuònce e ghièttele” nella “posàta” del Giglio.

77. E’ noto, infatti, che fino al 1912 la festa, a Nola come a Barra, era molto più “statica” di quanto sia oggi: i portatori alzavano lentamente il Giglio (e sso’), lo portavano a passo più o meno accelerato e danzante, e piano piano lo poggiavano a terra (e pposa): all’incirca, come avviene ancora oggi per la Barca di S. Anna a Barra, la Macchina di S. Rosa a Viterbo, e la Vària di Palmi in Calabria.

78. “Quel giorno del 1912, Peppe ‘a Sirena, dopo aver sfilato insieme alla paranza con il Giglio in Piazza Duomo (il Giglio “del beccaio” era, ed è, il quarto ad entrare in piazza), quando lo ebbe allineato di lato al Palazzo di Città, e prima di fermarlo, chiese a un trombettiere della fanfara di suonare per due volte l’Attenti! (= duje attente).

Appena il trombettiere ebbe eseguito questo comando, i capi che stavano attorno ai facchini gridarono Aizàte ‘e rine (= Alzate le reni, state dritti!) e subito dopo la voce stentòrea del cantante Pasquale Mele, detto Siscariéllo, gridò:

Cuònce cuònce[34]

e ghièttele![35]

I facchini, in contemporanea, piegarono le ginocchia e il Giglio cadde di botto a terra”.[36]

79. Questa esibizione “futurista” della paranza Barrese sortì gli stessi effetti che sortirono, agli inizi, le esibizioni futuriste: sconcerto nel pubblico … ed intervento delle forze dell’ordine.

Anche in quel giugno 1912, infatti, ci fu in piazza un momento di smarrimento, perché era la prima volta che si vedeva una posata così energica da farne sentire il rumore, tanto più che il Giglio non cadde subito perpendicolarmente ma oscillò un poco.

Ed anche in quel giugno 1912, intervennero addirittura i carabinieri, che portarono Peppe ‘a Sirena in caserma, con il rischio di imputarlo per “attentato alla pubblica incolumità”: alla fine, però, la cosa si risolse bonariamente, grazie anche alla solidarietà espressa dagli altri capi-paranza nolani.

80. Né si trattava di una cosa improvvisata: il nuovo “dinamismo” nella posata del Giglio era stato lungamente provato in precedenza, a partire da una sera, al principio di giugno, quando Peppe convocò tutta la paranza ed il cantante Siscariéllo per una cena, nel giardino nel palazzo ‘ncopp’ a Barra dove abitava.

La “novità futurista” era dunque l’esito di un lavoro “scientificamente” ben programmato, di tipo quasi industriale (vedi sopra, n°70).       

‘E varre ‘nganno (1912)

81. Nello stesso anno 1912 in cui “Peppe ‘a Sirena” strabiliava i Nolani con il cuònce cuònce e ghièttele, a Barra altri due famosi “caporali”, e cioè Giuseppe Turiello detto “Peppe ‘e Pieppo” (Giglio di “Vascio Serìno”) e Eduardo Petrone detto “Tuardiello” (Giglio “della Parrocchia”) inventarono le “Varre ‘nganno”.

82. Come sappiamo[37], a quel tempo il percorso dei Gigli era il solo Corso Sirena: ogni giglio, ovunque fosse stato costruito, doveva obbligatoriamente percorrere tutto il Corso, prima di tornare al suo posto iniziale, ponendo mente a lasciar passare, negli slarghi del Corso stesso, il giglio che proveniva in senso inverso. Se non che, nel settembre 1912 …

83. “Una volta che il Giglio della Parrocchia, comandato da Tuardiéllo, si trovava quasi a metà del “marciapiede” di Corso Sirena … il Giglio di “Vascio Serino”, comandato da Peppe ‘e Pieppo, non aspettò che il Giglio di Tuardiéllo raggiungesse il Largo davanti alla Parrocchia per “fare lo scambio” secondo consuetudine … ma continuò ad avanzare fino a che i due Gigli si trovarono l’uno di fronte all’altro, davanti al Palazzo detto di “Casauriéllo” (= Corso Sirena n°236) … le due fanfare non smisero di suonare e i due Gigli continuarono a ballare, in una gara di resistenza … fino a che, dopo circa 10 minuti, gli uomini della “paranza” di Tuardiéllo si gettarono esausti ai lati della strada …

Allora, il Giglio di Peppe ‘e Pieppo, prima di fermarsi a sua volta, avanzò fino ad appoggiare, a più riprese, le sue varre anteriori su quelle anteriori del Giglio di Tuardiéllo: da qui, la nuova espressione, immediatamente coniata dal popolo, di “mettere ‘e varre ‘nganno” (= mettere le sbarre al collo”).

Dopo di che, lo sconfitto dovette arretrare fino all’altezza della Traversa Spinelli[38] e lì cedere il passo al vincitore …  

84. Da allora, quasi tutti gli anni si ripeterono queste epiche sfide fra i vari caporali della festa, fino a che, nel 1955, non venne introdotto il percorso “rotatorio” Corso Sirena- Corso Bruno Buozzi … ma è da notare che, pure in tanti anni, non vi furono mai seri alterchi né incidenti perché ogni commissione aveva il rispetto dell’altra e i giorni della festa erano intesi davvero come giornate di divertimento e di allegria per tutti, popolo ed organizzatori”.[39]

L’aumento del numero dei cullatori (1910)

85. Queste mirabolanti esibizioni “futuriste” furono, nello stesso tempo, causa ed effetto del progressivo aumento del numero dei portatori del Giglio.

E fu ancora Peppe ‘a Sirena colui che, nella festa di Nola del 1910, innalzò per la prima volta il numero dei cullatori da 44 a 48.

86. Si deve qui annotare che, in quel tempo, una paranza era costituita in genere da 50-60 uomini, dei quali 44 portavano il Giglio ed i rimanenti erano “di ricambio”.

Le varre erano 8, ma più corte e più grosse di quelle attuali. Sotto ogni varra vi erano 5 uomini (3 sotto la parte anteriore al Giglio, e 2 sotto la parte posteriore). Per cui, vi erano in tutto 8x5= 40 persone.

I varretielli, posti sui due fianchi del Giglio perpendicolarmente alle varre, erano più sottili delle varre ed inoltre erano estraibili, per consentire al Giglio di passare nei punti più stretti del Corso Sirena. Sotto i varretielli vi erano solo 4 uomini (2 a destra e 2 a sinistra del Giglio).

Complessivamente, quindi, vi erano: 40 sotto le varre + 4 sotto i varretielli = 44 persone.     

87. In quel 1910, Peppe ‘a Sirena inserì altri 4 uomini sotto al Giglio, uno per ogni varretiello, portando così il totale complessivo a 48 persone. Da allora, tutti cominciarono ad immettere altri uomini sotto il Giglio.

Basti osservare che attualmente (anno 2000), fra varre e varretielli si arriva fino a 128 persone (e oltre) …

Le “cacciate” d’occasione

88. Sempre negli anni precedenti la Prima guerra mondiale, si sviluppò in modo particolarmente spettacolare la pre-esistente tradizione delle cosiddette “cacciate d’occasione”.[40]

La “cacciata” rappresentava il modo con cui, nel corso dell’anno, si annunciava ufficialmente al popolo che una determinata Commissione avrebbe allestito il Giglio, e quindi preso parte alla festa, nel successivo mese di settembre.

89. Verso le 5 del pomeriggio, si formava il corteo con i componenti della Commissione organizzatrice ed i simpatizzanti, accompagnati dalla Banda musicale e da almeno due cantanti che eseguivano le canzoni presentate dalla Commissione in quell’anno, ed in particolare la “marcetta” che sarebbe poi servita a dare il tempo alla “paranza” nell’alzata del Giglio. 

Il corteo sfilava lungo il Corso Sirena, unendosi ai cantanti e alla musica con il battito delle mani ed il canto del ritornello, e spesso facendo volteggiare fra le mani le clamorose “raganelle” che erano rudimentali e chiassosissimi strumenti musicali in legno e che scompariranno poi dalla festa solo negli anni Sessanta.

Raganella

90. “Memorabile fu la cacciata d’occasione del Rione Municipio, Commissione Piazza Umberto I, nel 1913. Una sera di giugno, si racconta, si videro sfilare con la Commissione ben 150 persone, ragazzi giovani e anziani, che portavano fra le mani un lanternino di carta colorata con dentro un lumino acceso. La sfilata era seguita dalla Banda “Margherita” composta per l’occasione da circa 60 elementi e diretta dal maestro Ernesto Girolamo Borriello, fratello del caporale Salvatore. La canzone d’occasione era “Tango della collina”, peraltro non nuova perché era stata presentata per la prima volta già nel 1907 dalla Commissione di Piazza Serino … Comunque, il numero di persone al seguito e la stravaganza dell’episodio diede inizio alla grande spettacolarità delle cacciate Barresi”.[41]

La “scuola poetica” Barrese

91. Abbiamo riportato a suo luogo[42] il testo integrale di ‘A festa (versi di Gennaro Punzo; musica di Eduardo Petrone; anno 1882) che può essere ritenuta la prima canzone d’autore interamente Barrese di cui si abbia documentata notizia.[43]

E’ però solo a partire dal nuovo secolo, e nel clima futurista, che nasce una vera e propria “scuola poetica” Barrese, che raggiungerà poi il suo massimo splendore negli anni fra le due Guerre mondiali, ed avrà il suo fors’ultimo esponente in Alfonso Zufacchi.  

92. Già nel 1901, infatti, rinveniamo i temi tipicamente futuristi del “motore”, del “macchinario”, e finanche del “volo”, nei dinamicissimi versi della canzone ’O ggiglio ca vola! (versi di Edoardo Napolitano; musica di Salvatore Armenio), presentata dal “Rione aristocratico Monteleone”:

 

Nun è nu machinàrio, ‘gnornò!

Nun è mutòre elettrico, dich’i,

e comme accussì fàcele se po’

‘a ffa ‘stu giglio all’aria saglì?

 

Allora è ‘sta paranza

ca fa ‘na maraviglia!

Comme mmalòra ‘o piglia

‘stu giglio e ‘o fa vula’!

 

‘O vòtano, ‘o gìrano, ‘o fanno abballa’,

‘o pòrtano pèsole e senza stracqua’.

Chi vene a ‘sta festa, pe meglio gude’,

‘o giglio ca vola venèsse a vede’!

 

93. E nel 1908 perfino Benedetto Santilli[44], il primo Direttore Didattico della Scuola elementare in Barra, si dilettò a scrivere, sulla musica di Tùppete tùppete di Vincenzo Di Chiara[45], i versi di ‘O giglio Serino alla Barra, per la Commissione il cui capo era Angelantonio Petrone, residente nella cortina detta “Case Petrone” appunto Abbàscio Serìno.

94. In effetti, dai documenti superstiti, possiamo considerare proprio Edoardo Napolitano e Salvatore Armenio come gli iniziatori della “scuola poetica” Barrese negli anni precedenti la Prima guerra mondiale.

La festa piccolo-borghese

95. Sia Napolitano sia Armenio, oltre che poesie, componevano anche musica. Ciò conferma quanto abbiamo già scritto sopra (vedi nn°71-72) e cioè che, in quegli anni, la festa era passata compiutamente sotto l’egemonia della piccola borghesia paesana. 

Era una egemonia culturale, perché i piccolo-borghesi “sapevano leggere e scrivere” e “sapevano” anche la musica.

Ed era anche una egemonia economica, perché erano loro che “ci mettevano i soldi”.

96. Ben presto, in luogo dei due caporali precedenti[46], nacque la figura del “caporale unico” che era di fatto la persona che più contribuiva economicamente a “fare il giglio” oppure, in alternativa, che era comunque in grado di raccogliere per tutto l’anno finanziamenti tra la gente, diventando così una sorta di animatore permanente della festa ed il vero e proprio asse portante di essa.

Nasceva così la leggenda barrese, che si svilupperà poi dopo la Prima guerra mondiale, della “rivalità fraterna”, scherzosa e cavalleresca, fra capi-paranza che erano autentici leaders popolari, come Peppe ‘e Pieppo, Don Gioacchino Panìco ’o rre de’ rre, ‘O Sardone, Casamiccio, i Petrone,‘A Pàpera, etc.

La musica: dai “sei ottavi” ai “due quarti”

97. Naturalmente, nel clima generale di esaltazione futurista della “bellezza della velocità” (vedi sopra, n°69), anche la musica dei Gigli diventò più veloce: nel 1901, cioè nello stesso anno dei versi “dinamici” di ’O ggiglio ca vola! venne presentata per la prima volta anche una canzone che, al posto del “sei ottavi” in uso fin’allora, utilizzava il tempo musicale dei “due quarti”: “Semplice e bella”, con versi di Giuseppe Tetamo; la musica era di Salvatore Oliva.

E, da quel momento, i “due quarti” prevalsero sempre di più, fino a sostituire quasi completamente i vecchi “sei ottavi”.

Una “scuola musicale” Barrese

98. Protagonisti principali di questa modernizzazione furono ovviamente i musicisti Barresi, che divennero sempre più numerosi e qualificati, sia quelli che erano “inquadrati” all’interno delle Bande Musicali, sia quelli che agivano invece “privatamente”, dando lezioni di musica e prestando la propria opera a pagamento come singoli professionisti.

Si può quindi parlare, oltre che di una “scuola poetica”, anche di una “scuola musicale” Barrese che, nei primi decenni del Novecento, raggiunse il suo massimo splendore, tanto da dar luogo all’inserimento, nella “Smorfia” napoletana, di una aggiunta di significato: il numero 55, tradizionalmente ‘A mùsica, diventò per antonomasia “55, ‘A musica d’a Barra”.

In quegli anni, Barra poté vantare, oltre alla Banda comunale, altre due folte Bande musicali: la Banda “Margherita” e quella del “Mercato Agricolo”.

La Banda Civica Musicale del Comune della Barra (1842-1925)

99. La perdita dei documenti[47] non consente, purtroppo, di ricostruire compiutamente la storia della gloriosa Banda Civica Musicale.

Sappiamo però con certezza, dalla biografia di Don Raffaele Verolino[48], che essa nacque nel 1842, in periodo borbonico, e sappiamo che finì ufficialmente nel 1925, quando il Comune di Barra venne aggregato a quello di Napoli e quindi non poté più avere una propria Banda Civica … anche se rimasero, naturalmente, Bande Musicali “private”, fra le quali anche la ex-Banda Civica, sempre guidata dal Maestro Raffaele Pàssaro.    

100. La prima volta che la Banda Musicale compare ufficialmente negli Atti del Consiglio comunale è nel 1872: “Vestiario per la Banda musicale” (Delibera N°129 del 6 settembre 1872).

L’ultima volta è nel 1922: “Nomina della Commissione di sorveglianza al Concerto Civico musicale di Barra” (Delibera N°11 del 25 febbraio 1922).

101. I componenti la Banda Musicale non erano stipendiati, ma il Comune provvedeva, in parte, alla spesa per le uniformi e per gli strumenti musicali. 

Per le uniformi

“Concorso nella spesa delle uniformi della Banda Civica” (Delibera N°331 del 8 marzo 1875).

“Assegno alla Banda Civica” (Delibera N°50 del 26 aprile 1876).

“Pel vestiario della Banda Civica Musicale” (Delibera N°319 del 17 marzo 1880).

“Fornitura delle uniformi alla Banda Civica Municipale” (Delibera N°348 del 5 luglio 1880).

“Circa le uniformi alla Banda Civica Municipale” (Delibera N°72 del 27 aprile 1885).

“Riparazioni alle uniformi della Banda civica” (Delibera N°75 del 27 aprile 1885).

Per gli strumenti musicali

“Approvazione, in prima lettura, di istanza della Banda Civica per concorso del Comune nella spesa per un nuovo vestiario e provvista di strumenti musicali” (Delibera N°26 del 6 febbraio 1912). 

“Approvazione, in seconda lettura, del concorso nella spesa per provvista di nuovo vestiario e di strumenti musicali alla Banda Civica” (Delibera N°57 del 15 aprile 1912). 

“Concorso nella spesa per uniformi alla Banda Musicale Cittadina e per riparazione degli strumenti” (Delibera N°62 del 15 novembre 1915).

Il Regolamento

102. Nel 1881, venne emanato il primo Regolamento: “Regolamento interno pel servizio della Banda Civica Musicale” (Delibera N°453 del 14 dicembre 1881).

Verrà poi aggiornato nel 1905: “Approvazione del Regolamento della Banda Civica Municipale” (Delibera N°52 del 2 giugno 1905).

Il Regolamento prevedeva, fra l’altro, che ogni componente la Banda aveva l’obbligo di istruire almeno due allievi, ai quali il Comune acquistava gli strumenti musicali e li riparava in caso di necessità, che dovevano poi superare un regolare concorso per essere ammessi a far parte della Banda.

L’elenco dei Maestri

103. Dai documenti disponibili, possiamo ricavare il seguente elenco dei Maestri della Banda Civica Musicale del Comune della Barra:

1.           M. Nicola Bufaletti (1886-1896)

2.           M. Raffaele Pàparo (1896- 1905 ?)

3.           M. Francesco Paolo Gallo (1905 –1907)

4.           M. Raffaele Pàssaro (1907-1925)

Il Maestro Nicola Bufaletti (1886-1896)

104. Il primo Maestro di cui si conservi il nome è dunque Nicola Bufaletti:

“Disposizioni per la nomina di un Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°125 del 16 febbraio 1886). “Nomina del Capo Musica” (Delibera N°177 del 27 ottobre 1886). “Nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°191 del 30 dicembre 1886).

“Conferma del sig. Nicola Bufaletti nella carica di Capo Musica Municipale” (Delibera N°326 del 8 ottobre 1888).

105. Sappiamo che la Banda Civica Musicale, nel 1888, era composta di 38 elementi e provava in un ampio locale, sito al Corso Sirena, che era di proprietà del Comune.

106. Il Comune continuava regolarmente nel suo “concorso alle spese”, sia per le uniformi sia per gli strumenti musicali:

“Nuovo vestiario alla Banda Civica Musicale” (Delibera N°216 del 21 aprile 1887).

“Pagamento di spese per acquisto di strumenti musicali e per accomodi eseguiti a diversi strumenti” (Delibera N°253 del 18 novembre 1887).

 “Approvazione di spesa per la Banda Civica Musicale” (Delibera N°161 del 30 novembre 1891).

“Disposizioni per il nuovo vestiario della Banda Civica Musicale” (Delibera N°189 del 20 aprile 1893).

E troviamo anche, per una sola volta, un “Assegno mensile al Sotto-Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°125 del 16 giugno 1890).

Uno spiacevole incidente (1895)

107. Purtroppo, negli Atti della Giunta comunale, rinveniamo anche il racconto di uno spiacevole incidente, avvenuto nell’estate del 1895, che coinvolse, dopo anni di onorato servizio, il maestro Bufaletti. 

108. In data 18 agosto 1895, la Banda Civica Musicale stava per iniziare un concerto in Piazza Crocella ed erano presenti, in servizio di ordine pubblico, il Vice-brigadiere delle Guardie Municipali Domenico Cozzolino e la Guardia semplice Giuseppe Cozzolino.

All’improvviso, mentre ancora la Banda stava accordando gli strumenti, la Guardia semplice Giuseppe Cozzolino, peraltro subito imitato da altri, iniziò un fitto lancio di bucce di melone, sembra perché “in urto con il Capo Musica della Banda, maestro Nicola Bufaletti”.  

109. A causa di detto lancio, “il Capo Musica ebbe il cappello e la giacca macchiati” e “ne successe un parapiglia tra i suonatori, che non sapevano dove ripararsi” …

Ma fatto grave fu che “il Vice-brigadiere non intervenne” e la Banda, per tale incidente, “non tenne il concerto”.

Conseguenze dello spiacevole incidente

110. La Giunta comunale, prestamente riunita, decise di “degradare il Vice-brigadiere Domenico Cozzolino” e di infliggere 3 mesi di sospensione, dal servizio e dallo stipendio, alla Guardia semplice Giuseppe Cozzolino, oltre tutto già protagonista, in precedenza, “di altro fatto, che gli era costato 2 mesi di sospensione”.

111. I due Cozzolino presentarono però ricorso alla Giunta Provinciale Amministrativa, la quale, dopo 7 mesi, accolse il loro ricorso ed intimò al Comune della Barra:

-              di reintegrare Cozzolino Domenico nel suo grado di Vice-brigadiere, pagandogli le mensilità di stipendio che non aveva percepito nel frattempo;

-              di versare a Cozzolino Giuseppe i 3 mesi di stipendio non ricevuti a causa della sospensione.     

La Giunta comunale di Barra si riunì nuovamente sull’argomento in data 21 marzo 1896 e, dopo accesa discussione, con tre voti contro due, decise di adeguarsi alle disposizioni della Giunta Provinciale Amministrativa, rinunciando a fare ulteriori opposizioni in sede legale.  

La malattia e la morte del Maestro Bufaletti

112. Non conosciamo i motivi per i quali la Guardia semplice Cozzolino Giuseppe era venuto “in urto con il Capo Musica della Banda”.

Sappiamo, però, che evidentemente il povero Maestro Bufaletti, peraltro già anziano, non resse al duplice colpo, prima della pubblica offesa alla sua dignità di uomo e di musicista, e poi della piena assoluzione dei colpevoli.

113. Sta di fatto che si ammalò: il 1°aprile 1896, la Giunta comunale “delibera il pagamento di Lire 10 al Direttore della Banda Civica Musicale, Maestro Nicola Bufaletti, per rimborso spese di illuminazione per le prove ed i concerti serali tenuti in casa sua durante il periodo della di lui malattia, e precisamente nel primo trimestre del corrente anno 1896”.

114. Infine, nello stesso giorno, il 24 luglio 1896, troviamo agli Atti:

-              “Sussidio alla vedova del defunto Maestro della Banda Civica Musicale Bufaletti Nicola” (Delibera N°199 del 24 luglio 1896).

-              “Nomina del Maestro della Banda Civica Musicale in sùrroga del sig. Bufaletti Nicola defunto” (Delibera N°195 del 24 luglio 1896).     

Il Capo Musica Municipale era infatti deceduto nel maggio 1896. Comunque, la sopravvenuta morte risparmiò pietosamente al povero Bufaletti una ulteriore beffa: “Risarcimento di spese sostenute dagli Agenti Municipali Cozzolino Giuseppe e Domenico, e di compenso all’Avvocato, innanzi la Giunta Provinciale Amministrativa” (Delibera N°209 del 20 settembre 1896).

Il Maestro Raffaele Pàparo (1896-circa 1900)

115. Successore di Bufaletti fu il Maestro Raffaele Pàparo che, proprio in occasione della festa di S. Anna del 1896, accettò di sostituirlo, in sùrroga (vedi sopra), provvisoriamente (per due anni!), ed anche senza stipendio, stanti le ben note difficoltà di bilancio del Comune della Barra.

La nomina definitiva e ufficiale di Pàparo avvenne infatti solo due anni dopo, nel 1898: “Approvazione, in seconda lettura, della nomina di Pàparo Raffaele a Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°146 del 13 aprile 1898). 

116. Gli Atti del Consiglio comunale, precedenti a questa data, mostrano quanto sia stata laboriosa la questione della nomina, e soprattutto del compenso, del Maestro Pàparo:

“Disposizioni per la nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°229 del 13 ottobre 1896).

Nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°19 del 5 marzo 1897).

Revoca di deliberazione relativa al concorso per la nomina del Capo Musica” (Delibera N°44 del 9 giugno 1897).

Inversione di fondo pel Bilancio 1898 per la Banda Civica Musicale” (Delibera N°117 del 29 dicembre 1897). 

Aggiornamento di proposta circa la nomina del Maestro della Banda Civica Musicale” (Delibera N°121 del 8 gennaio 1898).

“Approvazione di compenso, in prima lettura, al Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°124 del 22 gennaio 1898).

Nomina del Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°127 del 22 gennaio 1898).

“Inversione di fondo per spesa di vestiario alla Banda Civica Musicale” (Delibera N°141 del 12 marzo 1898).

“Approvazione, in seconda lettura, di un compenso al Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°143 del 12 marzo 1898).

E solo alla fine di questo biennale itìnere, la già citata “Approvazione, in seconda lettura, della nomina di Pàparo Raffaele a Capo Musica della Banda Civica” (Delibera N°146 del 13 aprile 1898). 

117. Il Maestro Pàparo riuscì ad ottenere dai micragnòsi “gentiluomini” del Comune perfino una avveniristica “illuminazione a gas” per la Sala di Musica (vedi sopra, n°105): “Disposizioni per l’illuminazione a gas della Sala di musica” (Delibera N°229 del 6 maggio 1899).

118. Ma i suoi rapporti con l’Amministrazione comunale non dovettero essere mai molto tranquilli, visto che, dopo solo altri 2 anni dalla sua nomina ufficiale, già si cominciava a parlare di una “rèvoca” e della nomina di un nuovo Capo Musica:

“Aggiornamento di proposta per la rèvoca della nomina del Capo Musica” (Delibera N°62 del 13 dicembre 1900).

“Rimando d’interpellanza del consigliere Veneruso per la nomina del Capo Musica” (Delibera N°65 del 28 dicembre 1900).

Le altre due Bande Musicali locali

119. Il maestro Pàparo fu dunque, nei suoi pochi anni di magistero musicale, sempre giuridicamente ed economicamente “precario”.

E questa situazione contribuì, evidentemente, a far sì che anche le altre due Bande Musicali Barresi[49], quelle “private”, cominciassero ad avanzare pretese di sostegno economico al Comune … peraltro, a quanto pare, senza ottenere granché:

Rimando di istanze dei Maestri delle Bande musicali locali per un concorso nelle riparazioni degli strumenti e divise” (Delibera N°216 dell’8 marzo 1902).

Rimando di istanze delle due Bande musicali locali per un concorso nelle riparazioni degli strumenti e divise” (Delibera N°221 del 20 marzo 1902).

Adda venì Lubé (1904)

120. Emile Loubet (1838-1929), presidente della Repubblica francese dal 1899 al 1906, venne in visita a Napoli nel marzo del 1904, accolto dal Re Vittorio Emanuele III.

Alle cerimonie di accoglienza partecipò anche il Comune di Barra: l’allora Commissario Straordinario Cav. Augusto Sanfelice di Bagnoli[50] si portò appresso una rappresentanza del disciolto Consiglio comunale, una delegazione della Società Operaia di Mutuo Soccorso, e soprattutto la già rinomata Banda Civica Musicale che anche in quella circostanza si fece onore.

Cartolina con Vittorio Emanuele III e Emile Loubet

121. Considerato poi che i componenti la Banda non erano stipendiati dal Comune ma erano tutti operai che, per poter suonare quel giorno, avevano perso una giornata di lavoro, il Commissario Straordinario deliberò “un premio complessivo di Lire 50”, da dividersi fra tutti.

Il Maestro–Assessore Francesco Paolo Gallo (1905-1907)

122. Infine, il Comune decise di “fare le cose in casa” e i Consiglieri nominarono come Maestro della Banda Civica … un Assessore comunale, che dobbiamo presumere avesse anche le necessarie competenze musicali e che comunque, correttamente, dopo la nomina, si dimise dall’incarico di Assessore, pur rimanendo peraltro Consigliere comunale:

Nomina dell’Assessore Gallo Francesco Paolo a Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°17 del 18 febbraio 1905). “Accettazione delle dimissioni da Assessore supplente del sig. Gallo Francesco Paolo” (Delibera N°57 del 21 luglio 1905).

Il Maestro Raffaele Pàssaro (1907-1925)

123. Raffaele Pàssaro era originario di Casalnuovo e divenne, per regolare concorso, Direttore della Banda Musicale di Barra nel 1907: “Nomina del Direttore della Banda Civica Musicale” (Delibera N°160 del 1 agosto 1907).

Venne poi confermato ad honorem alla vigilia della Grande Guerra: “Nomina ad honorem del Direttore della Banda cittadina” (Delibera N°20 del 20 marzo 1915).

E rimase alla guida della Banda Musicale, quando quest’ultima fu ricostituita dopo la Guerra: “Ricostituzione del civico concerto musicale di Barra” (Delibera N°74 del 10 aprile 1919).

124. Lo troviamo perciò nel pieno esercizio delle sue funzioni nel febbraio del 1911, quando la Banda Civica Musicale “intervenne alle onoranze funebri del compianto Prefetto di Napoli, senatore De Seta, dove il Comune di Barra fu ufficialmente rappresentato” e …

“La Giunta Municipale di Barra, considerato

-              che la Banda Civica non è stipendiata dal Comune (era stipendiato solo il Maestro);

-              che i componenti la Banda stessa sono tutti operai e quindi, per intervenire alle suddette esequie, dovettero lasciare il lavoro;

-              essere giusto ed equo che siano almeno risarciti del danno finanziario da essi subìto;

delibera

pagarsi alla Banda Musicale medesima la somma di Lire 70 (per accogliere Loubet, nel 1904, la somma era stata di Lire 50) a titolo di compenso per l’opera prestata, emettendosi mandato in favore del Direttore di essa, Maestro Raffaele Pàssaro”.

125. Il Maestro Pàssaro è giustamente ricordato soprattutto come autore della musica dell’Inno a S. Anna.[51] Ma sono sue anche numerose canzoni per la festa dei Gigli. Basti qui dire che, già nel 1908, cioè l’anno dopo la sua nomina a Direttore, compose la musica di ’O giglio d’a Parrocchia, su versi di Umberto Caruso, per l’esordio come caporale nella festa di Eduardo Petrone detto Tuardiello[52].

Di questo, però, e delle vicende della Banda Civica Musicale successive alla Prima guerra mondiale, diremo più ampiamente a suo luogo.


Note

[30] Vedi “Il periodo liberale dal 1900 al 1914”, nn°634-635.

[31] Vedi “Il periodo liberale dal 1900 al 1914”, nn°87-89.

[32] Romano Marino – op. cit.

[33] Vedi “Il periodo borbonico dal 1790 al 1860”, nn°352-354.

[34] Cuonce cuonce (acconciamente, in modo acconcio) è un’espressione avverbiale, che significa: “lentamente, piano piano, senza fretta” ma anche “accortamente, con cautela, precisione e circospezione”.

Il sostantivo cuoncio, di cui cuonce è il plurale, deriva dal latino volgare comptus (= ornato, adorno) e comere (= mettere insieme), da cui anche il verbo comptiare (= conciare, acconciare, mettere insieme in modo acconcio, portare a compimento, svolgere con precisione un compito).

Come sostantivo, cuoncio ha vari significati, fra cui: “concime ovvero letame per concimare”, ma anche “condimento, belletto”, da cui l’espressione ‘o cuoncio acconcia (= il belletto/il condimento rende migliore la persona/il cibo).

Il cuoncio (concio), però, indica anche quella piccola piramide, di tufo o altra pietra, che si usava nella tecnica di costruzione muraria che gli antichi romani chiamavano opus quadratum o opus reticulatum, consistente nel sovrapporre, facendo combaciare le facce laterali e tenendo la base rivolta verso l'esterno, ed il vertice verso l'interno, piccole piramidi, di tufo o altra pietra, per modo che chi guardasse il muro, così costruito, avesse l'impressione di vedere una serie di quadratini orizzontati diagonalmente.

Per cui, con la locuzione avverbiale cuonce cuonce si intende richiamare la lentezza, la cautela, la precisione maniacale e circospetta da usarsi, procedendo un concio per volta, nel porre in essere l’opus quadratum o opus reticulatum: allo stesso modo, con la medesima studiata lentezza, cautela e precisione, deve comportarsi nel suo agire chi sia invitato ad operare cuonce cuonce.

[35]Ghièttele significa “gèttalo, bùttalo giù”.

[36] Romano Marino – op. cit.

[37] Vedi “il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°338.

[38] Vedi “Il periodo liberale dal 1900 al 1914”, nn°628-631.

[39] Romano Marino – op. cit.

[40] Vedi “il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°338.

[41] Romano Marino – op. cit.

[42] Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°340.

[43] Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°339.

[44] Vedi “Il periodo liberale dal 1876 al 1887”, nn°80-90.

[45] Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°83.

[46] Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900”, n°334.

[47] Vedi “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”, nn°174-179.

[48] Vedi ibidem, n°216.

[49] Vedi sopra n°98.

[50] Vedi “Il periodo liberale dal 1900 al 1914”, nn°591-593.

[51] Vedi “Il periodo liberale dal 1896 al 1900, n°100.

[52] Vedi sopra, n°81.

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, maggio 2019

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