La fine dell’impero romano
d’occidente (476)
1. Nel 475, il generale Giulio Oreste, con
un atto di forza, pose sul trono di Roma suo
figlio Ròmolo Augùstolo, ma venne a sua
volta rovesciato da un altro generale,
Odoacre (434-493), che era re degli Eruli,
un popolo barbaro che militava
mercenariamente nell’esercito romano.
2. Romolo Augùstolo, ultimo imperatore
romano d’Occidente, venne relegato da
Odoacre proprio a Napoli, sull’isoletta di
Megàride (quella sulla quale sorse, in
seguito, il Castel dell’Ovo) e lì morì nel
476.
3. Odoacre re-inviò le insegne dell’impero a
Costantinopoli (Bisanzio) ovvero
all’imperatore romano d’oriente Zenone
(474-491), limitandosi a governare l’Italia
con il titolo di “patrizio” e di “magister
utriusque militiae”.
4. Poco più di dieci anni dopo (nel 489),
dietro istigazione dello stesso imperatore,
l’Italia venne invasa da un altro popolo
“barbaro”, gli Ostro-goti
, guidati dal loro re
Teodorìco (454-526), che era stato “educato”
alla corte imperiale e sembrava quindi, ai
bizantini, più docile ai loro voleri.
Il regno “d’Italia” di Teodorico (493-526)
5. Nel 493 Teodorico sconfisse (ed uccise
personalmente) Odoacre a Ravenna. Da allora,
e fino alla morte di Teodorico nel 526,
l’Italia fu unificata sotto il dominio dei
Goti, per circa 30 anni, con capitale a
Ravenna, ed anche Napoli venne dunque a far
parte del regno di Teodorico.
6. I Goti, anche perché non erano molto
numerosi, si limitarono, una volta occupata
l’Italia, a trattenere per sé solo un terzo
delle terre coltivate (hospitaticum),
lasciando quindi la maggior parte della
terra ai latifondisti, appartenenti per lo
più alla classe senatoria romana, che ne
erano i precedenti proprietari.
7. Questo atteggiamento conciliante dei Goti
rese possibile non solo una pacifica
convivenza ma una vera e propria
collaborazione fra la vecchia classe
dominante e i nuovi padroni: esponenti delle
antiche famiglie senatorie (celebre fra
tutti, Aurelio Cassiodoro
) divennero consiglieri
di Teodorico, ministri ed amministratori del
suo regno; il prestigio culturale dei
“romani” rimase incontrastato e “romani”
rimasero in gran parte le leggi civili, i
tribunali, l’apparato tutto dello Stato…
8. Sia i “Latini” che i Goti poterono
conservare i rispettivi usi e tradizioni, ed
anche la pacifica convivenza religiosa fra
le due diverse appartenenze cristiane (i
Latini erano cattolici, i Goti invece erano
ariani
) fu per molto tempo
garantita.
9. Tutto cambiò con l’ascesa al trono di
Bisanzio dell’ imperatore Giustino I
(518-527), che ritenne giunto il momento di
riaffermare il potere imperiale, sottraendo
l’Italia a Teodorico e riconducendola alla
propria diretta dipendenza.
10. A tal fine, tra l’altro, egli fomentò il
conflitto religioso, emanando un editto nel
quale dichiarava di voler estirpare l’eresia
ariana e rivolto quindi, in pratica, contro
i Goti.
11. Cominciarono così le ostilità fra i Goti
e i Bizantini, rompendosi quella situazione
di equilibrio che Teodorico aveva, fino ad
allora, saggiamente saputo mantenere in
Italia.
12. Il papa Giovanni I (523-526) ed Albino,
presidente del Senato, vennero imprigionati
dal re dei Goti perché sospettati di
complicità con l’imperatore.
Anche il grande Severino Boezio
, “l’aurora della
filosofia medioevale”, venne imprigionato e
condannato a morte.
La guerra bizantino-gotica (535-553)
13. Infine, l’imperatore bizantino
Giustiniano (482-565), asceso al trono alla
morte di Giustino I nel 527, lanciò i suoi
eserciti alla riconquista dell’Italia: e fu
la guerra bizantino-gotica, che devastò l’
Italia dal 535 al 553 e si concluse con la
riconquista, da parte bizantina, di ampi
territori della penisola (fra i quali
Napoli).
14. Questa guerra venne condotta, in qualità
di generali dell’esercito di Giustiniano,
prima da Belisario e poi da Narsète, e fu
descritta da Procòpio di Cesarèa
(Palestina), il più illustre storico
dell’impero bizantino, nelle sue “Storie”
.
15. Procopio, fra l’altro, descrive molto
realisticamente la situazione nella quale
piombò la popolazione civile durante la
guerra:
“Quale aspetto avessero e in qual modo
morissero, essendone stato io stesso
spettatore, vengo ora a dire.
Tutti divenivano emaciàti e pallidi, e la
carne loro, mancando di alimento, secondo
l’antico adagio, consumava se stessa. Con il
progredire del male, ogni umore veniva meno
in loro. La pelle asciutta prendeva aspetto
di cuoio e pareva come aderisse alle ossa,
ed il colore fosco cambiatosi poi in nero,
li faceva parere come torce abbrustolite.
Nel viso erano come stupefatti e come
orribilmente stralunati nello sguardo.
Quali di essi morivano per inedia, quali per
eccesso di cibo, poiché, essendo in loro
spento tutto il calore naturale delle
interiora, se mai alcuno li nutrisse a
sazietà e non poco per volta, come si fa dei
bambini appena nati, non potendo essi già
più digerire il cibo, tanto più presto
venivano a morte.
Taluni furono che, sotto la violenza della
fame, mangiaronsi l’un l’altro.
E dicesi pure che due donne, in certa
campagna di là di Rimini, mangiassero 17
uomini, poiché, essendo esse sole superstiti
di quel villaggio, coloro che di là
viaggiavano andavano a stare nella casa da
loro abitata, ed esse, uccìsili mentre
dormivano, se ne cibavano.
Dicono poi che il decimo-ottavo ospite,
svegliandosi quando queste donne stavano per
trafiggerlo, balzato loro addosso, ne
risapesse tutta la storia ed ambedue le
uccise”.
Napoli nella guerra
bizantino-gotica
16. Anche Napoli e i suoi dintorni furono,
purtroppo, pienamente coinvolti in quella
guerra feroce.
17. Nel 536, la città venne conquistata dai
Bizantini di Belisario, dopo aver opposto
una lunga e tenace resistenza al loro
assedio.
18. Racchiusa nella forte cinta delle
antiche mura romane, Napoli avrebbe
resistito ancora più a lungo e forse
addirittura respinto gli assedianti, se non
che….
“Belisario dunque essendo quasi privo di
speranza, e pensando levarsi da
quell’assedio, la fortuna gli dié strada:
perciocché, venuto desiderio a un soldato
Isàuro di vedere il formale che soleva
condurre l’acqua alla città, e entratovi
dentro da quella banda dove Belisario
l’aveva rotto, poco discosto alla città,
ebbe agevolezza di salirvi suso perché,
essendo tagliato il muro, l’acqua non
correva più; e passato oltre, conobbe essere
dentro la città”
.
I Bizantini riuscirono dunque ad espugnare
Napoli, solo penetrando fortunosamente
attraverso il formale (l’acquedotto).
19. Una volta entrati in città, i soldati di
Belisario si diedero ad un feroce saccheggio
e ad un ingiustificato massacro anche della
popolazione inerme.
Lo stesso papa Silverio (536-537),
formalmente alleato dei Bizantini contro i
Goti “ariani”, rimproverò ufficialmente
Belisario per questi “eccessi”.
La strage era stata talmente vasta, che il
generale dovette ordinare di portare in
città molti abitanti delle campagne
circostanti, affinché potessero ripopolare
Napoli!
20. Pochi anni dopo, però, nel 543, la città
venne ripresa dai Goti, guidati dal loro re
Tòtila. Il “barbaro” Tòtila si comportò in
maniera molto più umana: non solo non fece
alcun saccheggio né massacro, ma permise
alla stessa guarnigione bizantina della
città di ritirarsi avendo salva la vita.
L’abolizione della schiavitù
antica
21. Il nome di Tòtila è degno di essere
onorevolmente ricordato anche per un altro
motivo: fu lui il primo re che, in Italia,
dichiarò ufficialmente abolita la schiavitù,
antico retaggio dell’impero romano.
22. In effetti, con la fine dell’impero
romano d’occidente, la schiavitù andò
gradualmente declinando in tutta Europa, per
essere progressivamente sostituita dalla
“servitù della gleba”, che fu poi il sistema
tipico del feudalesimo medioevale.
23. La schiavitù antica scomparve
essenzialmente per motivi economici: non
essendovi più l’apparato coercitivo
dell’impero, era diventato praticamente
impossibile far coltivare la terra alle
masse di schiavi, che non avevano altro
motivo per lavorare se non la frusta; per i
proprietari, diventava molto più conveniente
suddividere le terre dei latifondi in tante
particelle più piccole, da affidare poi a
famiglie di ex-schiavi contadini che, in
cambio della “libertà” e della protezione
del loro signore, si impegnavano a
versargli un tributo, prevalentemente in
natura. Era questo l’unico modo in cui,
nelle nuove condizioni, era possibile
rendere produttive le terre.
“La schiavitù non rendeva più. Ecco perché
scomparve”
.
24. Tuttavia, insieme ai motivi economici,
ed indissolubilmente legati ad essi, si
trovano sempre, anche, i motivi ideali
e quelli giuridico-politici.
Dal punto di vista ideale,
sull’abolizione della schiavitù influì
senz’altro la diffusione del cristianesimo,
che insegnava la uguaglianza e la fraternità
di tutti gli uomini rispetto all’unico Padre
celeste.
25. Dal punto di vista politico, in
Italia, fu decisivo il ruolo di Tòtila.
Essendo impegnato nell’aspra guerra contro i
Bizantini, egli proclamò ufficialmente e
legalmente abolita la schiavitù, perché
intendeva richiamare a combattere sotto le
proprie bandiere la gran massa di schiavi
ancora esistenti, trasformando la guerra dei
Goti contro i Bizantini in una guerra per la
libertà contro la schiavitù.
26. L’operazione politica ebbe successo e
gli schiavi accorsero a combattere
accanitamente al suo fianco, anche se
l’esercito bizantino, meglio armato e meglio
organizzato, ebbe infine la meglio.
L’ultima battaglia “alle
falde del Vesuvio”
27. L’ultimo re dei Goti (di nome Teia),
successore di Tòtila, morì nell’anno 553
nella decisiva battaglia contro i suoi
nemici, i quali a loro volta erano guidati
non più dal generale Belisario bensì dal
generale Narsète.
28. Procopio di Cesarea afferma che questa
battaglia si svolse in una zona “alle falde
del Vesuvio” e lungo un fiume che egli
chiama “Dracone” e che dice scaturire dalle
sorgenti di acqua potabile del vulcano per
poi passare “molto vicino alla città di
Nocera”.
29. Secondo studi recenti, il fiume Dracone
di cui parla Procopio sarebbe da
identificarsi con il fiume Sarno. Il
cospicuo Sarnus, di cui parla
Virgilio nell’Eneide, aveva cambiato
fisionomia, probabilmente dopo l’eruzione
del Vesuvio del 79 d.C., affiorando fra le
scorie vulcaniche come un ruscello: il
Dracone descritto da Procopio.
30. La battaglia decisiva fra Goti e
Bizantini si sarebbe svolta nella campagna a
sud dell’ansa della Pèrsica (esattamente tra
S. Marco e il Petraro) e non invece, come si
riteneva in precedenza, a Pozzo dei Goti (a
nord della Stabiana, vicino S. Antonio
Abate). Dunque, il terreno dello scontro
risolutivo va posto nell’area a sud di
Scafati, piuttosto che vicino Angri
.
Narsète si ritira a Napoli –
Ha inizio il Ducato
31. In ogni caso, al termine della guerra
bizantino-gotica, il quadro dell’Italia era
di una totale desolazione: la popolazione
della penisola si era ridotta a un terzo di
quella pre-esistente, distrutta dalle armi,
dalla fame, dalle epidemie; molte città
erano state interamente rase al suolo; le
paludi, le selve, le fiere, erano tornate ad
impadronirsi di vasti territori, un tempo
fertili; le strade, quasi tutte in rovina; e
la popolazione superstite, affamata,
stremata, terrorizzata… rifugiata sui monti,
pascendosi di ghiande.
32. Con tutto ciò, i Bizantini vittoriosi
infierirono ancora: le direttive che
venivano da Bisanzio erano quelle di
ripristinare il sistema fiscale,
tradizionalmente vessatorio, tipico
dell’impero; la norma legale di abolizione
della schiavitù, emessa da Tòtila, rimase
naturalmente revocata e molti schiavi che
avevano combattuto a fianco dei Goti
pagarono duramente la loro
“ribellione”.
33. Dopo la vittoria, il generale Narsète
rimase a governare l’ Italia per circa 15
anni, a nome dell’imperatore di Bisanzio,
Giustiniano.
34. A Napoli, i Bizantini decisero di
insediare, in forma permanente, un “magister
militum”, ovvero un capo militare con il
compito di “dùcere militiam”: in breve, un
dux (un duca). Questo duca era, nei
primi tempi, nominato (e dipendeva)
dall’Esarca d’Italia, ossia dal capo (che
aveva la sua sede a Ravenna) della provincia
italiana del vasto impero bizantino e che fu
inizialmente lo stesso Narsète.
35. Il primo duca di Napoli si chiamava
Scolastico e si insediò, a quanto pare, il
14 agosto dell’anno 554, quando sul trono di
Bisanzio sedeva ancora, per l’appunto, il
già menzionato (e peraltro assai celebre)
imperatore Giustiniano (527-565).
36. Iniziò così, per Napoli il periodo del
Ducato, che doveva poi durare, con alterne
vicende, fino al 1140, quando la città venne
conquistata dai Normanni.
37. Il successore di Giustiniano,
l’imperatore Giustino II (565-578), richiamò
Narsète a Bisanzio, ma questi preferì
ritirarsi in volontario esilio proprio a
Napoli, per trascorrere in tranquillità gli
ultimi anni della sua vita.
38. Nello stesso anno della sua morte (568),
varcava le Alpi, guidato dal re Alboìno, il
popolo che avrebbe egemonizzato la penisola
per i due secoli successivi: i Longobardi.
Solo pochi centri abitati resistettero alla
furia dei nuovi invasori e Napoli fu tra
questi.
Appendice
39. Concludiamo il capitolo con questa
appendice, dedicata a tre personaggi
emblematici del periodo che stiamo
considerando, stante la loro importanza
veramente “fondamentale” nella storia della
cultura europea.
40. Anicio Manlio Torquato Severino BOEZIO
(480-526), dell’illustre gens Anicia di
Roma. Fu leale suddito di Teodorico e
“magister officiorum” alla sua corte, finché
non venne accusato (a causa di alcune
lettere intercettate) di complicità con
l’imperatore bizantino e col papa,
imprigionato a Pavia e condannato a morte
per decapitazione.
In carcere scrisse il “De consolatione
philosophiae” (5 libri).
Pur non avendo mai aderito ufficialmente al
cristianesimo, mantenendo egli una
concezione filosofica di ispirazione pagana
che attingeva sia a Platone che ad
Aristotele, venne tuttavia onorato quale
santo e martire cattolico, a motivo della
sua morte per mano degli “ariani”.
Anche per
questo, oltre che per la sua sincera ricerca
della verità in materia di religione, può
essere detto “l’ultimo dei filosofi pagani
ed il primo dei cristiani”. “Le sue opere
esercitarono un’importantissima funzione
culturale, di tramite fra la sapienza antica
e la nuova filosofia cristiana” (N. Sapegno).
41. Aurelio Flavio Magno CASSIODORO
(490-583) di Squillace (Calabria).
Fu, da giovane, ministro e segretario di
Teodorico. Dopo la morte di questi nel 526,
e mentre infuriava la devastante guerra fra
i Goti e i Bizantini, si ritirò (nell’anno
540) a Vivarium, presso Catanzaro, ove fondò
una istituzione di tipo monastico, che univa
alla preghiera lo studio e la traduzione dei
classici latini e greci, e che può essere
ritenuta la prima “università” d’ Europa.
Ivi scrisse quella che può essere
considerata, in epoca medioevale, la prima
opera organica di introduzione allo studio
delle lettere, sia sacre che profane:
“Institutiones divinarum et saeculiarum
litterarum” (2 libri), ove tratta prima
della teologia e poi del trivio (grammatica,
retorica, dialettica) e del quadrivio
(aritmetica, geometria, astronomia,
musica). Scrisse anche una “Storia dei
Goti”.
42. PROCOPIO di Cesarea (Cesarea di
Palestina, ? – 562 o 565) è uno dei maggiori
storici di lingua greca.
Fu
consigliere giuridico del generale Belisario
e lo seguì nelle sue campagne militari,
raccogliendo così direttamente tutte le
notizie sulla base delle quali scrisse poi
gli otto libri delle sue “Storie”
(letteralmente “Sulle guerre”), che narrano
le vicende delle tre grandi campagne
militari dei Bizantini, contro i Persiani,
contro i Vàndali e contro i Goti, fermandosi
all’anno 554.
Le “Storie” di Procopio di Cesarea, pur
essendo ovviamente di parte, si distinguono
per la competenza politico-militare, la
capacità descrittiva e la grande lucidità
dell’autore, nonché per la forte incisività
del linguaggio.
Procopio scrisse anche, ma senza
(prudentemente) pubblicarla, una “Storia
segreta”, nella quale le sue notevoli
capacità di scrittore vengono adoperate per
una feroce polemica contro il suo Signore,
l’imperatore Giustiniano, e la sua consorte,
l’imperatrice Teodora, dei quali racconta,
con aspra e cruda spietatezza, tutti i vizi
e le debolezze.
Cronologia dei Re Goti
493- 526 Teodorico
526-534 Amalasunta (figlia di Teodorico)
reggente in nome del figlio Atalarico.
Quando questi morì, fu costretta a sposare
il cugino Teodato, che in seguito la
estromise dal potere e la fece uccidere
(Bolsena, 535).
534-536
Teodato
535 - Inizia la guerra con i Bizantini.
536-540 Vitige
540-541 Ildebaldo
541 Erarico
541-552 Baduila (detto Tòtila)
552-553 Teia
Gli “ariani” erano i seguaci di
Ario, prete e teologo di Alessandria
d’Egitto, il quale asseriva che il
Figlio (Gesù Cristo) era stato
“creato” dal Padre, non era a Lui
co-eterno ed era quindi
sostanzialmente a Lui inferiore.
Questa tesi fu condannata dalla
Chiesa cattolica già nel primo
grande Concilio ecumenico, tenutosi
a Nicea nell’anno 325 (poco dopo
che, nel 313, l’imperatore
Costantino aveva proclamato il
cristianesimo “religione lecita” in
tutto l’impero). Il Concilio di
Nicea stabilì (con il “Credo” detto
appunto “nicèno”) che il Figlio è
“nato dal Padre prima di tutti i
secoli, Dio da Dio, Luce da Luce,
Dio vero da Dio vero, generato e non
creato, della stessa sostanza del
Padre”. La scomunica pronunciata
contro di loro a Nicea non impedì,
tuttavia, che vescovi e preti
“ariani” continuassero ad esistere e
ad evangelizzare anche nei secoli
successivi. Fu proprio un vescovo
ariano, di nome Ulfila (310-383) che
portò il Vangelo ai Goti, quando
questi erano ancora stanziati al di
fuori dei confini dell’impero; egli
si preoccupò anche di tradurre la
Bibbia in lingua gotica e per fare
ciò dovette inventare ex-novo un
alfabeto di questa lingua, che fino
a quel momento era solo “parlata” ma
non “scritta”. Quando, dunque, nel
secolo successivo, i Goti giunsero
in Italia, essi erano già cristiani,
ma di confessione “ariana” e non
“cattolica”.