Le mille città del Sud

 


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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

2. Il Periodo degli Eruli e dei Goti (476-553)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

La fine dell’impero romano d’occidente (476)

1. Nel 475, il generale Giulio Oreste, con un atto di forza, pose sul trono di Roma suo figlio Ròmolo Augùstolo, ma venne a sua volta rovesciato da un altro generale, Odoacre (434-493), che era re degli Eruli, un popolo barbaro che militava mercenariamente nell’esercito romano.

2. Romolo Augùstolo, ultimo imperatore romano d’Occidente, venne relegato da Odoacre proprio a Napoli, sull’isoletta di Megàride (quella sulla quale sorse, in seguito, il Castel dell’Ovo) e lì morì nel 476.

3. Odoacre re-inviò le insegne dell’impero a Costantinopoli (Bisanzio) ovvero all’imperatore romano d’oriente Zenone (474-491), limitandosi a governare l’Italia con il titolo di “patrizio” e di “magister utriusque militiae”.

4. Poco più di dieci anni dopo (nel 489), dietro istigazione dello stesso imperatore, l’Italia venne invasa da un altro popolo “barbaro”, gli Ostro-goti [1], guidati dal loro re Teodorìco (454-526), che era stato “educato” alla corte imperiale e sembrava quindi, ai bizantini, più docile ai loro voleri.

Il  regno “d’Italia” di Teodorico (493-526)

5. Nel 493 Teodorico sconfisse (ed uccise personalmente) Odoacre a Ravenna. Da allora, e fino alla morte di Teodorico nel 526, l’Italia fu unificata sotto il dominio dei Goti, per circa 30 anni, con capitale a Ravenna, ed anche Napoli venne dunque a far parte del regno di Teodorico.

6. I Goti, anche perché non erano molto numerosi, si limitarono, una volta occupata l’Italia, a trattenere per sé solo un terzo delle terre coltivate (hospitaticum), lasciando quindi la maggior parte della terra ai latifondisti, appartenenti per lo più alla classe senatoria romana, che ne erano i precedenti proprietari.

7. Questo atteggiamento conciliante dei Goti rese possibile non solo una pacifica convivenza ma una vera e propria collaborazione fra la vecchia classe dominante e i nuovi padroni: esponenti delle antiche famiglie senatorie (celebre fra tutti, Aurelio Cassiodoro [2]) divennero consiglieri di Teodorico, ministri ed amministratori del suo regno; il prestigio culturale dei “romani” rimase incontrastato e “romani” rimasero in gran parte le leggi civili, i tribunali, l’apparato tutto dello Stato… 

8. Sia i “Latini” che i Goti poterono conservare i rispettivi usi e tradizioni, ed anche la pacifica convivenza religiosa fra le due diverse appartenenze cristiane (i Latini erano cattolici, i Goti invece erano ariani [3]) fu per molto tempo garantita.

9. Tutto cambiò con l’ascesa al trono di Bisanzio dell’ imperatore Giustino I (518-527), che ritenne giunto il momento di riaffermare il potere imperiale, sottraendo l’Italia a Teodorico e riconducendola alla propria diretta dipendenza.

10. A tal fine, tra l’altro, egli fomentò il conflitto religioso, emanando un editto nel quale dichiarava di voler estirpare l’eresia ariana e rivolto quindi, in pratica, contro i Goti.

11. Cominciarono così le ostilità fra i Goti e i Bizantini, rompendosi quella situazione di equilibrio che Teodorico aveva, fino ad allora, saggiamente saputo mantenere in Italia.

12. Il papa Giovanni I (523-526) ed Albino, presidente del Senato, vennero imprigionati dal re dei Goti perché sospettati di complicità con l’imperatore.

Anche il grande Severino Boezio [4], “l’aurora della filosofia medioevale”, venne imprigionato e condannato a morte.

La guerra bizantino-gotica (535-553)

13. Infine, l’imperatore bizantino Giustiniano (482-565), asceso al trono alla morte di Giustino I nel 527, lanciò i suoi eserciti alla riconquista dell’Italia: e fu la guerra bizantino-gotica, che devastò l’ Italia dal 535 al 553 e si concluse con la riconquista, da parte bizantina, di ampi territori della penisola (fra i quali Napoli).

14. Questa guerra venne condotta, in qualità di generali dell’esercito di Giustiniano,  prima da Belisario e poi da Narsète, e fu descritta da Procòpio di Cesarèa (Palestina), il più illustre storico dell’impero bizantino, nelle sue “Storie” [5].

15. Procopio, fra l’altro, descrive molto realisticamente la situazione nella quale piombò la popolazione civile durante la guerra:

“Quale aspetto avessero e in qual modo morissero, essendone stato io stesso spettatore, vengo ora a dire.

Tutti divenivano emaciàti e pallidi, e la carne loro, mancando di alimento, secondo l’antico adagio, consumava se stessa. Con il progredire del male, ogni umore veniva meno in loro. La pelle asciutta prendeva aspetto di cuoio e pareva come aderisse alle ossa, ed il colore fosco cambiatosi poi in nero, li faceva parere come torce abbrustolite. Nel viso erano come stupefatti e come orribilmente stralunati nello sguardo.

Quali di essi morivano per inedia, quali per eccesso di cibo, poiché, essendo in loro spento tutto il calore naturale delle interiora, se mai alcuno li nutrisse a sazietà e non poco per volta, come si fa dei bambini appena nati, non potendo essi già più digerire il cibo, tanto più presto venivano a morte.

Taluni furono che, sotto la violenza della fame, mangiaronsi l’un l’altro.

E dicesi pure che due donne, in certa campagna di là di Rimini, mangiassero 17 uomini, poiché, essendo esse sole superstiti di quel villaggio, coloro che di là viaggiavano andavano a stare nella casa da loro abitata, ed esse, uccìsili mentre dormivano, se ne cibavano.

Dicono poi che il decimo-ottavo ospite, svegliandosi quando queste donne stavano per trafiggerlo, balzato loro addosso, ne risapesse tutta la storia ed ambedue le uccise”.

Napoli nella guerra bizantino-gotica

16. Anche Napoli e i suoi dintorni furono, purtroppo, pienamente coinvolti in quella guerra feroce.

17. Nel 536, la città venne conquistata dai Bizantini di Belisario, dopo aver opposto una lunga e tenace resistenza al loro assedio.

18. Racchiusa nella forte cinta delle antiche mura romane, Napoli avrebbe resistito ancora più a lungo e forse addirittura respinto gli assedianti, se non che….

“Belisario dunque essendo quasi privo di speranza, e pensando levarsi da quell’assedio, la fortuna gli dié strada: perciocché, venuto desiderio a un soldato Isàuro di vedere il formale che soleva condurre l’acqua alla città, e entratovi dentro da quella banda dove Belisario l’aveva rotto, poco discosto alla città, ebbe agevolezza di salirvi suso perché, essendo tagliato il muro, l’acqua non correva più; e passato oltre, conobbe essere dentro la città” [6].

I Bizantini riuscirono dunque ad espugnare Napoli, solo penetrando fortunosamente attraverso il formale (l’acquedotto).

19. Una volta entrati in città, i soldati di Belisario si diedero ad un feroce saccheggio e ad un ingiustificato massacro anche della popolazione inerme.

Lo stesso papa Silverio (536-537), formalmente alleato dei Bizantini contro i Goti “ariani”, rimproverò ufficialmente Belisario per questi “eccessi”.

La strage era stata talmente vasta, che il generale dovette ordinare di portare in città molti abitanti delle campagne circostanti, affinché potessero ripopolare Napoli!

20. Pochi anni dopo, però, nel 543, la città venne ripresa dai Goti, guidati dal loro re Tòtila. Il “barbaro” Tòtila si comportò in maniera molto più umana: non solo non fece alcun saccheggio né massacro, ma permise alla stessa guarnigione bizantina della città di ritirarsi avendo salva la vita.

L’abolizione della schiavitù antica

21. Il nome di Tòtila è degno di essere onorevolmente ricordato anche per un altro motivo: fu lui il primo re che, in Italia, dichiarò ufficialmente abolita la schiavitù, antico retaggio dell’impero romano.

22. In effetti, con la fine dell’impero romano d’occidente, la schiavitù andò gradualmente declinando in tutta Europa, per essere progressivamente sostituita dalla “servitù della gleba”, che fu poi il sistema tipico del feudalesimo medioevale.

23. La schiavitù antica scomparve essenzialmente per motivi economici: non essendovi più l’apparato coercitivo dell’impero, era diventato praticamente impossibile far coltivare la terra alle masse di schiavi, che non avevano altro motivo per lavorare se non la frusta; per i proprietari, diventava molto più conveniente suddividere le terre dei latifondi in tante particelle più piccole, da affidare poi a famiglie di ex-schiavi contadini che, in cambio della “libertà” e della protezione del loro signore, si impegnavano a versargli un tributo, prevalentemente in natura. Era questo l’unico modo in cui, nelle nuove condizioni, era possibile rendere produttive le terre.

“La schiavitù non rendeva più. Ecco perché scomparve” [7].

24. Tuttavia, insieme ai motivi economici, ed indissolubilmente legati ad essi, si trovano sempre, anche, i motivi ideali e quelli giuridico-politici.

Dal punto di vista ideale, sull’abolizione della schiavitù influì senz’altro la diffusione del cristianesimo, che insegnava la uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini rispetto all’unico Padre celeste.

25. Dal punto di vista politico, in Italia, fu decisivo il ruolo di Tòtila. Essendo impegnato nell’aspra guerra contro i Bizantini, egli proclamò ufficialmente e legalmente abolita la schiavitù, perché intendeva richiamare a combattere sotto le proprie bandiere la gran massa di schiavi ancora esistenti, trasformando la guerra dei Goti contro i Bizantini in una guerra per la libertà contro la schiavitù.

26. L’operazione politica ebbe successo e gli schiavi accorsero a combattere accanitamente al suo fianco, anche se l’esercito bizantino, meglio armato e meglio organizzato, ebbe infine la meglio.

L’ultima battaglia “alle falde del Vesuvio”

27. L’ultimo re dei Goti (di nome Teia), successore di Tòtila, morì nell’anno 553 nella decisiva battaglia contro i suoi nemici, i quali a loro volta erano guidati non più dal generale Belisario bensì dal generale Narsète.

28. Procopio di Cesarea afferma che questa battaglia si svolse in una zona “alle falde del Vesuvio” e lungo un fiume che egli chiama “Dracone” e che dice scaturire dalle sorgenti di acqua potabile del vulcano per poi passare “molto vicino alla città di Nocera”.

29. Secondo studi recenti, il fiume Dracone di cui parla Procopio sarebbe da identificarsi con il fiume Sarno. Il cospicuo Sarnus, di cui parla Virgilio nell’Eneide, aveva cambiato fisionomia, probabilmente dopo l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., affiorando fra le scorie vulcaniche come un ruscello: il Dracone descritto da Procopio.

30. La battaglia decisiva fra Goti e Bizantini si sarebbe svolta nella campagna a sud dell’ansa della Pèrsica (esattamente tra S. Marco e il Petraro) e non invece, come si riteneva in precedenza, a Pozzo dei Goti (a nord della Stabiana, vicino S. Antonio Abate). Dunque, il terreno dello scontro risolutivo va posto nell’area a sud di Scafati, piuttosto che vicino Angri [8]

Narsète si ritira a Napoli – Ha inizio il Ducato

31. In ogni caso, al termine della guerra bizantino-gotica, il quadro dell’Italia era di una totale desolazione: la popolazione della penisola si era ridotta a un terzo di quella pre-esistente, distrutta dalle armi, dalla fame, dalle epidemie; molte città erano state interamente rase al suolo; le paludi, le selve, le fiere, erano tornate ad impadronirsi di vasti territori, un tempo fertili; le strade, quasi tutte in rovina; e la popolazione superstite, affamata, stremata, terrorizzata… rifugiata sui monti, pascendosi di ghiande.

32. Con tutto ciò, i Bizantini vittoriosi infierirono ancora: le direttive che venivano da Bisanzio erano quelle di ripristinare il sistema fiscale, tradizionalmente vessatorio, tipico dell’impero; la norma legale di abolizione della schiavitù, emessa da Tòtila, rimase naturalmente revocata e molti schiavi che avevano combattuto a fianco dei Goti pagarono duramente la loro “ribellione”.      

33. Dopo la vittoria, il generale Narsète rimase a governare l’ Italia per circa 15 anni, a nome dell’imperatore di Bisanzio, Giustiniano.

34. A Napoli, i Bizantini decisero di insediare, in forma permanente, un “magister militum”, ovvero un capo militare con il compito di “dùcere militiam”: in breve, un dux (un duca). Questo duca era, nei primi tempi, nominato (e dipendeva) dall’Esarca d’Italia, ossia dal capo (che aveva la sua sede a Ravenna) della provincia italiana del vasto impero bizantino e che fu inizialmente lo stesso Narsète.

35. Il primo duca di Napoli si chiamava Scolastico e si insediò, a quanto pare, il 14 agosto dell’anno 554, quando sul trono di Bisanzio sedeva ancora, per l’appunto, il già menzionato (e peraltro assai celebre) imperatore Giustiniano (527-565).

36. Iniziò così, per Napoli il periodo del Ducato, che doveva poi durare, con alterne vicende, fino al 1140, quando la città venne conquistata dai Normanni.

37. Il successore di Giustiniano, l’imperatore Giustino II (565-578), richiamò Narsète a Bisanzio, ma questi preferì ritirarsi in volontario esilio proprio a Napoli, per trascorrere in tranquillità gli ultimi anni della sua vita.

38. Nello stesso anno della sua morte (568), varcava le Alpi, guidato dal re Alboìno, il popolo che avrebbe egemonizzato la penisola per i due secoli successivi: i Longobardi. Solo pochi centri abitati resistettero alla furia dei nuovi invasori e Napoli fu tra questi.

Appendice

39. Concludiamo il capitolo con questa appendice, dedicata a tre personaggi emblematici del periodo che stiamo considerando, stante la loro importanza veramente “fondamentale” nella storia della cultura europea.

40. Anicio Manlio Torquato Severino BOEZIO (480-526), dell’illustre gens Anicia di Roma. Fu leale suddito di Teodorico e “magister officiorum” alla sua corte, finché non venne accusato (a causa di alcune lettere intercettate) di complicità con l’imperatore bizantino e col papa, imprigionato a Pavia e condannato a morte per decapitazione.

In carcere scrisse il “De consolatione philosophiae” (5 libri).

Pur non avendo mai aderito ufficialmente al cristianesimo, mantenendo egli una concezione filosofica di ispirazione pagana che attingeva sia a Platone che ad Aristotele, venne tuttavia onorato quale santo e martire cattolico, a motivo della sua morte per mano degli “ariani”.

Anche per questo, oltre che per la sua sincera ricerca della verità in materia di religione, può essere detto “l’ultimo dei filosofi pagani ed il primo dei cristiani”. “Le sue opere esercitarono un’importantissima funzione culturale, di tramite fra la sapienza antica e la nuova filosofia cristiana” (N. Sapegno).

41. Aurelio Flavio Magno CASSIODORO (490-583) di Squillace (Calabria).

Fu, da giovane, ministro e segretario di Teodorico. Dopo la morte di questi nel 526, e mentre infuriava la devastante guerra fra i Goti e i Bizantini, si ritirò (nell’anno 540) a Vivarium, presso Catanzaro, ove fondò una istituzione di tipo monastico, che univa alla preghiera lo studio e la traduzione dei classici latini e greci, e che può essere ritenuta la prima “università” d’ Europa.

Ivi scrisse quella che può essere considerata, in epoca medioevale, la prima opera organica di introduzione allo studio delle lettere, sia sacre che profane: “Institutiones divinarum et saeculiarum litterarum” (2 libri), ove tratta prima della teologia e poi del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica).  Scrisse anche una “Storia dei Goti”.

42. PROCOPIO di Cesarea (Cesarea di Palestina, ? – 562 o 565) è uno dei maggiori storici di lingua greca.

Fu consigliere giuridico del generale Belisario e lo seguì nelle sue campagne militari, raccogliendo così direttamente tutte le notizie sulla base delle quali scrisse poi gli otto libri delle sue “Storie” (letteralmente “Sulle guerre”), che narrano le vicende delle tre grandi campagne militari dei Bizantini, contro i Persiani, contro i Vàndali e contro i Goti, fermandosi all’anno 554.

Le “Storie” di Procopio di Cesarea, pur essendo ovviamente di parte, si distinguono per la competenza politico-militare, la capacità descrittiva e la grande lucidità dell’autore, nonché per la forte incisività del linguaggio.

Procopio scrisse anche, ma senza (prudentemente) pubblicarla, una “Storia segreta”, nella quale le sue notevoli capacità di scrittore vengono adoperate per una feroce polemica contro il suo Signore, l’imperatore Giustiniano, e la sua consorte, l’imperatrice Teodora, dei quali racconta, con aspra e cruda spietatezza, tutti i vizi e le debolezze. 

Cronologia  dei  Re  Goti

493- 526     Teodorico

526-534    Amalasunta (figlia di Teodorico) reggente in nome del figlio Atalarico. Quando questi morì, fu costretta a sposare il cugino Teodato, che in seguito la estromise dal potere e la fece uccidere (Bolsena, 535).

534-536             Teodato

535 - Inizia la guerra con i Bizantini.

536-540      Vitige

540-541      Ildebaldo

541             Erarico

541-552      Baduila (detto Tòtila)

552-553      Teia


Note

[1] I Goti erano un antico popolo germanico, originario della attuale Svezia meridionale (Got-land). Si suddivisero, in seguito, in Visi-goti (goti occidentali) ed Ostro-goti (goti orientali).

[2] Vedi n. 41.

[3] Gli “ariani” erano i seguaci di Ario, prete e teologo di Alessandria d’Egitto, il quale asseriva che il Figlio (Gesù Cristo) era stato “creato” dal Padre, non era a Lui co-eterno ed era quindi sostanzialmente a Lui inferiore. Questa tesi fu condannata dalla Chiesa cattolica già nel primo grande Concilio ecumenico, tenutosi a Nicea nell’anno 325 (poco dopo che, nel 313, l’imperatore Costantino aveva proclamato il cristianesimo “religione lecita” in tutto l’impero). Il Concilio di Nicea stabilì (con il “Credo” detto appunto “nicèno”) che il Figlio è “nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato e non creato, della stessa sostanza del Padre”. La scomunica pronunciata contro di loro a Nicea non impedì, tuttavia, che vescovi e preti “ariani” continuassero ad esistere e ad evangelizzare anche nei secoli successivi. Fu proprio un vescovo ariano, di nome Ulfila (310-383) che portò il Vangelo ai Goti, quando questi erano ancora stanziati al di fuori dei confini dell’impero; egli si preoccupò anche di tradurre la Bibbia in lingua gotica e per fare ciò dovette inventare ex-novo un alfabeto di questa lingua, che fino a quel momento era solo “parlata” ma non “scritta”. Quando, dunque, nel secolo successivo, i Goti giunsero in Italia, essi erano già cristiani, ma di confessione “ariana” e non “cattolica”.

[4] Vedi n. 40.

[5] Vedi n. 42.

[6] Giovanni Antonio Summonte – “Historia della città e regno di Napoli”, 1585.

[7] F. Engels – “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, 1891.

[8] Per una attenta analisi di tutta la questione, si veda: Enrico Renna – “Vesuvius mons - Aspetti del Vesuvio nel mondo antico, tra filologia, archeologia e vulcanologia” - Ed Procaccini, Napoli, 1992 (pag.52 e pag.79).

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, agosto 2016

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