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I preti-maestri nelle Scuole elementari
comunali
68. Fra i primi maestri della
Scuola elementare pubblica, si notano due preti: Don Luigi Vitale e Don
Domenico Minichino.
Ciò non deve meravigliare, ove
si consideri che, in un piccolo paese, erano spesso solo i preti quelli
che avevano studiato ed avevano quindi i titoli per poter insegnare;
d’altra parte, l’elevato numero di essi e le scarse risorse a
disposizione della parrocchia rendevano comunque conveniente arrotondare
le entrate con il pur magro stipendio di maestro elementare.
Si ricordi che i
preti traevano il proprio sostentamento dalle offerte dei fedeli per
l’amministrazione dei Sacramenti e dalle rendite, prevalentemente
terreni o case, delle parrocchie. Molte proprietà della Chiesa erano
state però espropriate dallo Stato liberale e le fonti di sostentamento
si erano quindi ridotte.
A Barra, in particolare, vi
erano, nella seconda metà dell’Ottocento, più di una ventina di preti
che dovevano vivere con le rendite di una sola parrocchia e con le
offerte occasionali dei fedeli (9.215 persone nel 1877), quasi tutti
peraltro assai poveri.
Il maestro di Barra: Don Domenico
Minichino (1821-1890)
69. Dei 2 preti-maestri, Don
Luigi Vitale era nipote
[12] di quel Don Paolo Riccardi del quale si è detto a suo
luogo
[13].
70. Don Domenico Minichino
(1821-1890), invece, era un “degno erede”, oltre che omonimo, di quel
Domenico Minichino che ebbe parte attiva nella Repubblica napoletana del
1799
[14].
L’ingegnere Pasquale Cozzolino,
che lo conobbe personalmente e fu suo allievo, ne tesse un caldo elogio,
scrivendo nel 1889 (un anno prima della sua morte): “… nel vivente
sacerdote Domenico Minichino, mio antico maestro in latinità … tu non
sai se devi ammirare più gli ideali di civile reggimento che sempre lo
illuminarono o le profondità oraziane del consumato latinista
scrittore, con l’aureola, aggiungi, di una sublime virtù cristiana non
mai smentita! Egli, il degno erede del Minichino del 1799!”
71. Il prete-maestro Domenico
Minichino nacque il 12 febbraio 1821 e morì il 22 novembre del 1890, lo
stesso anno del Verolino (che morì il 22 gennaio 1890) e poco distante
da lui: sull’atto di morte, risulta infatti “domiciliato in Strada
Crocella”.
Ed insieme a Don Raffaele
Verolino e a Don Paolo Riccardi, costituisce in effetti la triade dei
preti barresi forse più rappresentativi dell’Ottocento.
72. Era il secondo dei quattro
figli, tre maschi e una femmina, di Onofrio Minichino (1784-1836),
un ex-frate poi sposatosi con tale Maria Napolitano.
Un suo zio (= fratello di Onofrio) era Don Giuseppe Minichino
(1787-1848) che fu parroco di Barra dal dicembre 1838 (dopo il
colera del 1836-37, di cui fu vittima il precedente parroco Don
Alessandro Russo) fino alla morte il 31 gennaio 1848.
Il pro-zio omonimo
73. Ma fu soprattutto un suo pro-zio (= fratello di Vincenzo Minichino,
padre di Onofrio), anch’egli prete e anch’egli di nome Domenico,
che si prese cura di lui: lo tenne a battesimo
e, circa un anno dopo la morte di Onofrio (l’ex frate, nato il 6
novembre 1784, morì il 5 settembre 1836, “di anni 52” e “senza
sagramenti”), lo avviò sulla strada del sacerdozio, mandandolo a 16 anni
in Seminario diocesano.
Di questo pro-zio,
e dei suoi rapporti con il futuro prete-maestro omonimo, veniamo a
sapere
dagli Atti di Santa Visita del 1838, nella auto-presentazione che ogni
prete era tenuto a redigere per l’occasione:
“Il sacerdote D. Domenico Minichino, del fu Gennaro, di Barra, è di anni
70 (quindi, era nato nel 1768). Fu ordinato sacerdote nella
Pentecoste del 1793, essendo Cardinale Arcivescovo la f.m. (felice
memoria) di Zurlo, a titolo di patrimonio sacro costituitogli
dall’ottimo suo padre di f.r. (felice ricordanza).
Interviene ogni volta ai casi morali (= corsi di aggiornamento per i
confessori). Nel tempo delle dottrine, egli se ne occupa: nel caso
di bisogno, non si è mai negato di farci l’uffizio di sacerdote. E’
fratello della Congregazione d’A.G.P. (Ave Gratia Plena), di cui
è ancora cappellano: spesso vi ha fatto la lettura e spiega delle
regole.
Dell’età di circa anni 10, è stato in Napoli sotto la cura di un
fratello maggiore, anche sacerdote, per nome D. Nicola. Ha fatto umanità
e retorica da D. Francesco Vela; logica e metafisica da D. Antonio de
Martiis; il corso delle leggi civili da D. Giuseppe Maffei.
Dopo 8 giorni di pratica forènse, risolve farsi prete. Entrò nel
Seminario Urbano essendo Rettore il canonico Valle, e fu ordinato
sacerdote essendo Rettore il canonico Falanga, avendo studiato teologia
pel corso di 3 anni e 22 giorni di Seminario …
Ha avuto la fortuna di abitare sempre nella famiglia da cui la Divina
Provvidenza l’ha fatto nascere.
Essendo rimasto con una sorella quasi di età decrèpita, unì a sé un
nipote ex frate, che si maritò di fresco, costui poi passato a miglior
vita il 7 settembre 1836, lasciando la moglie con 4 figli: 3 maggiori e
una femmina. Si trova in mezzo a questi, di cui si prende tutta la
possibile cura.
In novembre 1837 ne ha inviato il secondo in Seminario diocesano,
ove si sta conducendo con soddisfazione de’ superiori e contento di chi
ne ha cura”.
Il nostro Domenico Minichino (1821-1890) era proprio quel giovanetto che
fu “inviato in Seminario diocesano” nel novembre 1837.
74. Al prete-maestro Domenico
Minichino (1821-1890) accenna anche il gesuita Davide Palomba nelle sue
“Memorie storiche di S. Giorgio a Cremano” (1881) nelle quali, parlando
di Don Pasquale Borrelli, parroco di S. Giorgio venuto a morte il 24
luglio 1802 all’età di anni 69, così scrive:
“Don Domenico Minichino,
sacerdote di Barra e maestro in quelle scuole comunali, conserva
presso di sé alcune poesie dettate in latino dal Borrelli, le quali non
rifuggirebbero certamente la pubblica luce. Ma come niuno ha mai saputo
di esse, così non è a fare meraviglie se stanno aspettando ancora la
mano generosa ed il cuore amorevole di un qualcheduno, se non altro del
nostro paese di S. Giorgio, che ve le tragga”.
“Quanto a me” prosegue il
Palomba “credo di far cosa né dis-cara né inutile se, come a saggio
delle altre, ne reco qui la seguente, che è una “alcàica”, la quale
allo stesso Minichino è piaciuto di andare annotando qua e là, e
tratta del Card. Giuseppe Capece Zurlo (1782-1800) che succede al Card.
Serafino Filangieri (1775-1782) nell’arcivescovado di Napoli”.
Segue poi, nel libro del
Palomba, la poesia di Don Pasquale Borrelli, diligentemente annotata da
Don Domenico Minichino; anzi, per meglio dire, “Paschalis Borrelli ode,
ex mendosis exemplaribus in integrum restituta, ac notulis illustrata
Dominici Minichino presbyteri barrensis cura studioque”.
Come già detto
(vedi sopra, n°70), il nostro Domenico Minichino fu dunque appassionato
latinista oltre che maestro nelle prime scuole elementari pubbliche che
cominciarono ad istituirsi anche a Barra negli anni successivi all’unità
d’Italia.
La Via Domenico Minichino (1890)
75. La popolarità e la
universale stima delle quali godeva “il maestro di Barra” erano talmente
vaste che, come risulta dalla mappa catastale del 1890, già l’anno
stesso della sua morte gli venne intitolata la strada che tuttora
porta il suo nome.
Infatti, ‘a traversa ‘e
vascio (= la traversa di sotto) era stata realizzata proprio in
quell’ anno, in occasione dei lavori del “Risanamento”, per congiungere
lo storico Corso Sirena, nel suo tratto fra Piazza Crocella e
Piazza Serino, con il nuovo Corso Vittorio Emanuele III, attuale
Corso Bruno Buozzi.
Nel 1921, ‘a traversa ‘e vascio partecipò per la prima volta con
un proprio Comitato alla “Festa dei Gigli” Barrese; per l’occasione,
Eduardo Napolitano scrisse i versi della canzone che iniziava: “Cerca
permesso e trase, cavallerescamente…” Erano, davvero, altri tempi!
L’errore del Lapegna circa Annibale
Minichino (1824-1863)
76. Si annota qui che il Lapegna, nella sua benemerita storia di Barra
più volte citata, scrive testualmente che “il sacerdote Domenico
Minichino, maestro elementare, ma dotto latinista e matematico” era
“fratello di Annibale, ammazzato dagli emissari del partito borbonico
nella caduta della Repubblica Partenopea”.
Il riferimento ad Annibale Minichino come implicato nella Repubblica
Partenopea del 1799 è però chiaramente una svista del Lapegna o delle
sue fonti orali nel 1929, perché non è possibile che Domenico Minichino,
nato nel 1821, fosse fratello di un Annibale già adulto nel 1799.
77. I registri parrocchiali di Barra ci consentono di precisare meglio
la questione.
Troviamo dunque che un Vincenzo Minichino (1757-1830) sposò tale Lucia
Borriello e, dal loro matrimonio, nacquero fra gli altri:
-
Giuseppe Minichino (sacerdote, nato il 27 febbraio 1787 e morto il 31
gennaio 1848) che fu poi parroco di Barra dal dicembre 1838 alla morte
(vedi sopra, n°72).
-
Onofrio Minichino (1784-1836), cioè il nostro “ex-frate” che, sposatosi
con tale Maria Napolitano, visse poi in casa del fratello di suo padre
(vedi sopra, n°73) il quale, alla morte di Onofrio, continuò a prendersi
cura dei figli di lui.
78. I figli di Onofrio Minichino e di Maria Napolitano furono 4, tre
maschi e una femmina; i 3 maschi erano:
-
Gennaro Minichino, nato l’11 gennaio 1820, “morto disgraziatamente e
senza sacramenti, celibe, di anni 23, in Bosco Reale ed ivi seppellito
il 24 marzo 1843”.
-
Domenico Minichino, nato il 12 febbraio 1821 e morto il 22 novembre 1890
“di anni 70 in strada Crocella”, che è il nostro prete-maestro.
-
Annibale Minichino: “marito di D. Silvia Riccio, abitante in Strada
Parrocchia”, il 7 luglio 1863 “se n’è passato all’altra vita,
disgraziatamente, di anni 39”.
79. Annibale Minichino (1824-1863) era dunque certamente fratello
del “sacerdote Domenico Minichino maestro elementare”; quasi
certamente fu davvero “ammazzato da emissari del partito borbonico”,
visto che risulta morto “disgraziatamente” ed a soli 39 anni di età;
ma non “nella caduta della Repubblica Partenopea”, come scrive
erroneamente il Lapegna, bensì nel 1863 e dunque nel periodo del grande
“brigantaggio” post-unitario nell’Italia meridionale (1860-1870), quando
non erano davvero infrequenti gli scontri ed i reciproci “ammazzamenti”
fra liberali e borbonici.
I Direttori Didattici della Scuola
elementare
80. Dal Lapegna, veniamo a
conoscere anche i nomi dei Direttori Didattici della Scuola elementare
di Barra fino al 1929:
“Primo direttore fu Benedetto
Santilli. Seguirono Antonio Buonpensiero, Savino La Stella (morto nella
scuola, in seguito a trombosi, il giorno del suo onomastico, mentre gli
si preparava una festicciuola), Enrico Martini e Ferdinando Olia”.
Il Direttore Benedetto Santilli
81. Benedetto Santilli fu
dunque il primo Direttore Didattico, da quando cominciò ad essercene uno
(vedi sopra, n°55).
In precedenza, sempre in Barra,
era stato per molto tempo insegnante nella Scuola superiore (ovvero di
4^ e 5^ elementare), insieme al maestro Federico Gioia.
Dopo l’entrata in vigore della
Legge Coppino (1877), troviamo infatti la “Nomina del sig. Gioia
Federico a maestro della scuola superiore, in rimpiazzo del sig. Gatti
dimissionario” (Delibera Consiglio comunale del 13 dicembre 1882).
82. Questo maestro Gatti,
dimissionario nel 1882, aveva richiesto “l’aumento sessennale del decimo
dello stipendio per l’anno scolastico 1879-80” (Delibera del 30 aprile
1881) e ciò significa che insegnava già nel 1873, dunque prima
della legge Coppino e al tempo dei generosi tentativi del Commissario
straordinario Vincenzo Lugaresi di andare oltre le sole 2 classi, una
maschile ed una femminile, ognuna con un corso di 2 anni (vedi sopra,
n°52): può dunque essere ritenuto il primo maestro di “Scuola
superiore” presente in Barra.
83. Sostituito il Gatti dal
maestro Federico Gioia a partire dall’anno scolastico 1882-83, troviamo
poi, in data 16 febbraio 1886, la nomina di un ulteriore maestro di
scuola superiore, che è il nostro Benedetto Santilli.
Da quel momento, i due (Gioia e
Santilli) risultano quasi sempre insieme nei pagamenti del soldo,
dell’aumento sessennale e delle rare gratifiche (Delibere del 12 aprile
1886, del 21 maggio 1890, del 12 maggio e del 30 settembre 1892, etc,) …
fino a che, nel 1903, il Santilli viene nominato Direttore Didattico,
dopo aver anche ricevuto “l’attestato di lodevole esercizio” come
insegnante, sin dall’11 maggio 1893.
84. Il Direttore Santilli, a
quanto sembra, fu un personaggio emblematico della Barra del suo tempo,
mescolando, nel suo ruolo di notabile locale, una cultura forse un po’
approssimativa con la sincera buona volontà di giovare al popolo
semplice, entrambe però non disgiunte da una irrefrenabile vena
goliardica.
85. Il “Concorso al posto di
Direttore Didattico” venne indetto con Delibera del Consiglio comunale
N°383 del 24 giugno 1903 e già il 3 settembre 1904 lo vediamo premiato,
dal Règio Commissario Straordinario Augusto Sanfelice di Bagnoli, con un
“Attestato di benemerenza e di gratitudine, per la volitiva, indefessa
ed efficace cooperazione spesa dal Signor Benedetto Santilli a pro della
pubblica istruzione, cui si dedica con eccessivo (?!) zelo e
intelletto d’amore, per il maggiore sviluppo didattico ed educativo
delle Scuole elementari”.
86. Tali benemerenze non lo
rendevano peraltro esente dal tradizionale clientelismo familistico:
“La Giunta municipale … vista
la nota n° 192 del Direttore Didattico circa la nomina per supplenza
temporanea del maestro Raffaele Conte infermo … visto che, agli effetti
del Regio Decreto … la nomina dei supplenti è devoluta di diritto alla
Giunta … delibera respingere la nomina del supplente Signor Antonio
Santilli (che era suo fratello) e ordina avvertirsi il signor
Benedetto Santilli, per l’organo di questa segreteria, a non ricadere
altre volte in simili mancanze”.
87. Né da talune cadute di
gusto:
“Nella seduta della Giunta
municipale del 27 maggio 1905, il Sindaco (il marchese Cesare De
Riso) riferisce di aver raccolto parecchi reclami di padri di
famiglia a carico del Direttore Didattico Signor Benedetto Santilli, per
un suo “indecoroso atteggiamento”, nel “tenere cioè schiuso l’indice e
il mignolo della mano destra nei gruppi fotografici delle singole classi
di queste scuole elementari municipali” … (in pratica, aveva “fatto
le corna” nella foto-ricordo di tutte le classi).
Il Santilli, invitato ed
ascoltato a tal proposito, dichiara di “non poter non deplorare per
primo l’accaduto”, giustificandosi però col dire che “l’indecoroso
atteggiamento di cui ai gruppi fotografici è del tutto casuale e che in
lui non vi era stata la lontana idea di recare offesa a chicchessia”.
“La Giunta … considerando … che
per tale fatto vi è stata pubblicità … che pur volendo ritenere per vero
quanto detto in sua giustifica dal Direttore Santilli, il fatto stesso è
da ritenersi deplorevole … a voti unanimi, infligge al Signor Benedetto
Santilli una sospensione di 15 giorni dallo stipendio che egli
percepisce nella qualità di Direttore Didattico di queste scuole
elementari”.
Sembrerebbe quindi che la
Giunta municipale avesse colto i classici due piccioni con una fava:
punire “l’indecoroso atteggiamento” del Direttore salvando così l’onore
dei padri di famiglia Barresi e, nello stesso tempo, arrecare un piccolo
ma benefico sollievo alle disastrate Casse comunali. Purtroppo, però …
Nella seduta del 16 giugno
1905, la Giunta “delibera revocarsi, come revoca, in tutto il suo
tenore, l’emessa sua precedente Deliberazione del 27 maggio u.s. numero
152, circa la inflitta sospensione di giorni 15 dello stipendio,
restando, per lo effetto, detto deliberato nullo”.
Evidentemente, cessato il
clamore dello “scandalo” paesano, e data una formale soddisfazione ai
“padri di famiglia”, si ritenne di non infierire (era la metà dello
stipendio mensile!) sul Direttore eccessivamente buontempone.
88. Nel 1907, la Giunta
municipale, “per il censimento del bestiame a mente della legge e
regolamento 16 luglio 1903 n°535, nomina a far parte della prevista
Commissione i seguenti individui: Roberto Dèntice, veterinario comunale;
Giuseppe Ascione, medico comunale; Benedetto Santilli, direttore
didattico; Giovanni Scognamiglio, presidente della società agricola;
Federico De Filippis, perito agrario; Eduardo Lombardi, allevatore di
bovini e suini”.
89. Ma il suo momento di
maggior gloria paesana, il nostro Signor Direttore lo raggiunse
certamente nell’anno successivo, il 1908, allor quando egli si appigliò
alla popolarissima canzone napoletana “Tùppete tùppete” e, lasciando la
musica, composta da Vincenzo De Chiara, scrisse ex novo le parole
del testo, creando così la seguente canzone per la “Festa dei gigli” di
Barra.
‘O GIGLIO SERINO A LA BARRA
(1908)
È nu piézzo che
guardi alloccùta
chistu giglio de vascio Serino.
Tanta gente a braccetto vicino
…
ma, Nannì, tu nun pienze cchiù
a mme!
È nu piezzo che gira sperùta
chesta capa ch’è pazza pe’ tte!
Rit - Ma pecché nun venire cu
mme,
ma pecché, ma pecché …
E tùppete tùppete siente llà
e ballano ballano ‘e giglie ccà.
Stu pietto mio, nenné,
balla cu tte, sulo cu tte!
M’ ‘o diciste lo juorno ‘e
Sant’Anna
c’a la Barra sarrisse venuta,
ca nisciuno t’avria ‘mpeduta
de venire a sta festa cu mme.
Mo me lasse, stu core me
‘nganna?
Pienze buona, isso more pe’ tte.
Rit –
Ma ‘nfra suone e ‘nfra cante ce
porta
chistu giglio d’o guappo
Petrone.
‘Nfra gli evviva de chesta
canzone
che suspire ca stongo a manna’!
Siente sié ... ‘sta canzone,
nun ‘mporta,
e ppo vide si tuorne tu ccà!
Rit –
90. Benedetto Santilli era
ancora Direttore Didattico nel 1910, dopo di che si perdono le sue
tracce nei documenti.
La legge Zanardelli di riforma del
sistema elettorale (1882)
91. Un’altra importante riforma
introdotta dalla Sinistra liberale fu il cambiamento del sistema
elettorale, con legge preparata dal ministro Zanardelli ed approvata dal
parlamento nel 1882.
Con la nuova legge, vennero
ammessi al voto tutti i cittadini di sesso maschile, che avessero
compiuto i 21 anni di età, che sapessero leggere e scrivere, e
possedessero almeno uno dei due requisiti seguenti: aver completato la
seconda elementare oppure pagare almeno 19,80 lire all’anno di imposte
dirette.
92. Rispetto alla legge
precedente, quindi, si abbassava da 25 a 21 anni il limite di età, si
riduceva il livello di reddito necessario, e si dava la possibilità
anche ai cittadini meno abbienti di votare, purché sapessero leggere e
scrivere ed avessero completato la seconda elementare.
Quest’ultima condizione
riguardava in realtà ben poche persone, considerato che la scuola
elementare pubblica era stata istituita solo 5 anni prima (nel 1877);
comunque, la nuova legge elettorale portò il numero dei cittadini aventi
diritto al voto dai circa 500.000 della precedente legge a circa 2
milioni (passando, cioè, all’incirca, dal 2% al 7% della popolazione).
93. Tali modifiche
riguardavano, beninteso, l’elezione del Parlamento nazionale: la
Sinistra liberale tentò di modificare anche la “Legge
sull’amministrazione comunale e provinciale” del 1865, ed un ampio
dibattito si sviluppò in Parlamento a tal propòsito, ma alla caduta di
Depretis (1887) nulla ancora era stato deliberato in merito.
I Sìndaci della Sinistra liberale
94. L’elenco dei sindaci del
Comune di Barra insediati dal 1876 al 1887 (e quindi nominati dai
governi della Sinistra liberale) è il seguente:
1.
Giuseppe Verolino (ottobre 1876 - aprile 1879)
2.
Giovanni Mastellone (maggio 1879 - novembre 1882)
3.
Luigi Martucci (novembre 1882 - novembre 1886)
Giuseppe Verolino
(1876-1879)
95. Era medico condotto a Barra
già nel giugno del 1875 e lo fu per quasi 30 anni: “Messa a riposo con
pensione del Condottato dott. Verolino Giuseppe” (Delibera N°349 del 15
aprile 1903).
Pure dal 1875, risulta svolgere
anche “il servizio sanitario a queste Carceri Mandamentali” (N°365 del 3
agosto 1875).
Nell’ottobre 1875, era
Consigliere comunale. In questa veste, si trovava nella situazione di
essere il datore di lavoro di se stesso, e ciò suscitò le proteste di
alcuni Consiglieri, che giunsero a proporre in Consiglio il suo
licenziamento dall’ufficio di medico condotto (Delibera N°49 del 26
aprile 1876) senza peraltro ottenere l’effetto.
96. Anzi, nell’ottobre di
quello stesso anno 1876, il Verolino venne addirittura nominato
Sindaco.
Ne approfittò per concedere a
se stesso il diritto alla pensione, previa ritenuta del 2% sullo
stipendio: “Ammissione del dott. Verolino al rilascio della ritenuta del
2% per aver diritto alla pensione” (Delibera N°118 del 14 maggio 1877).
In compenso, però, va detto a
suo merito che provvide egregiamente ad attuare in Barra tutto quanto
previsto dalla legge Coppino sulla istruzione elementare (vedi sopra,
n°53).
97. Terminò il suo mandato
nell’aprile del 1879 e contestualmente, per la prevista estrazione a
sorte
[16], decadde anche dalla carica di Consigliere comunale:
“Decadenza del quinto del Consigliere comunale Verolino dott. Giuseppe”
(N°252 del 30 aprile 1879).
Non risulta peraltro che si sia
successivamente ricandidato, dedicandosi quindi esclusivamente al suo
lavoro di medico.
98. Dieci anni dopo, nel 1889,
ottenne formalmente la nomina al ruolo che già svolgeva, ed
all’aumentato stipendio, di “Ufficiale Sanitario presso le Carceri
mandamentali” (Delibera N°49 del 24 luglio 1889).
Lo svolgimento del duplice
ruolo, di medico condotto e di ufficiale sanitario per le carceri,
provocò contro di lui, nel 1893, altri “ricorsi” al Consiglio comunale,
che anche stavolta rimasero però senza effetto.
99. Nel 1903, venne messo a
riposo come Medico condotto (vedi sopra, n°95), con la famosa pensione
che si era auto-attribuita (vedi sopra, n°96) ma che gli venne però, in
quell’anno, ricalcolata al ribasso (Delibere N°387 del 10 luglio e N°407
del 24 agosto 1903).
Si rifece, peraltro,
continuando a mantenere l’incarico di Ufficiale Sanitario per almeno
altri 10 anni ed ottenendo, per questo incarico, progressivi aumenti di
stipendio, fino addirittura alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.
100. Nel 1915, ormai
evidentemente pensionato anche come Ufficiale Sanitario, troviamo ancora
una “Autorizzazione al Sindaco (che era Cristoforo Caccavale) per
stare in giudizio nella causa promossa dal dott. Verolino Giuseppe”
(Delibera N°39 dell’8 giugno 1915) che reclamava i soldi che, a suo
parere, gli erano stati ingiustamente sottratti dalle due pensioni.
Non sappiamo come sia andata a
finire la causa, anche perché nel frattempo era scoppiata la Guerra.
Sappiamo però che, a pace sopravvenuta, il Commissario Straordinario
Vincenzo Marchetti concesse un “Sussidio all’erede del dott. Giuseppe
Verolino” (Delibera N°54 del 31 dicembre 1918).
Giovanni Mastellone e la Madonna
“addolorata” in Piazza Crocella (1879)
101. Così dice la lapide posta
alla base del tempietto, contenente la statua della Madonna
“addolorata”, che si vede tuttora in Piazza Crocella, restaurato in
occasione dei lavori di ricostruzione dopo il terremoto del 1980:
QUI, PER
OPERA DI PIETA’ CRISTIANA,
SORGEVA UN
MONUMENTO ROZZO DI FORMA.
IL
MUNICIPIO,
AUSPICE IL
CAV. GIOVANNI MASTELLONE
DEI DUCHI DI
LIMATOLA,
IN OMAGGIO
ALLA RELIGIONE E ALLA CIVILTA’
RIFECE
L’ANNO M DCCC LXX IX
(1879)
102. Non si sa come fosse fatto
il pre-esistente “monumento rozzo di forma” al quale accenna la lapide,
anche se la sua esistenza è chiaramente segnalata già nella mappa del
duca di Noja (1775).
Si trattava forse di una
semplice piccola croce (da cui il nome tradizionale di “Piazza Crocella”
= mmiez’ ‘a ‘rucélla?), accompagnata da una immaginetta popolare
della Madonna piangente il supplizio del suo divino figliolo
.
Può darsi che la “crocella”
fosse stata posta in occasione, ed in ricordo, di una delle missioni dei
Padri gesuiti o redentoristi nel Casale della Barra e ci piace pensare
che possa trattarsi proprio della missione tenuta nel 1741 da S. Alfonso
Maria de’ Liguori
.
Di certo, nel 1877, rinveniamo
la “Concessione dell’area pubblica e spiazzo alla Crocella al sig. De
Micco Michele fu Pasquale” (Delibera N°119 del 14 maggio 1877), ad opera
del Sindaco Giuseppe Verolino.
103. Comunque sia, il Sindaco
Giovanni Mastellone (1879-1882), appena nominato, pensò di collocare
proprio in quel luogo, a spese del Municipio, la statua della Madonna
“addolorata” che tuttora vi si vede, posta all’interno di una cappellina
sormontata dallo stemma del Comune di Barra, con la Sirena bi-càuda.
104. Perché proprio la Madonna
“addolorata”? Evidentemente, perché la piazzetta era il luogo dal quale
bisognava necessariamente partire per andare, a piedi, dall’antico
abitato che, pochi anni prima (1875), aveva ricevuto dal Sindaco
Picenna il nome unico di “Corso Sirena”, al cimitero di Barra,
istituito in seguito alla legge del 1817, passando per le antiche “cupe”
di Via Mastellone (dove abitava il Sindaco …) e Via Cimitero.
Era quindi ben appropriato che
le persone che si recavano al cimitero trovassero, all’inizio del loro
mesto pellegrinaggio, l’immagine della Madonna in lacrime per il suo
Figlio morto.
105. D’altra parte, il Sindaco
liberale, oltre che dall’esigenza di dare maggior decoro al proprio
paese, era mosso ovviamente anche dal desiderio di accattivarsi le
simpatie del clero e della maggioranza cattolica dei suoi concittadini,
data la situazione, nella quale ci si trovava in quel momento, di
conflitto fra lo Stato (liberale e massonico) e la Chiesa.
Ancora in quel tempo, infatti,
in omaggio al vecchio principio cavourriano “libera Chiesa in libero
Stato”, vigeva ufficialmente un regime di “separazione non
collaborativa” fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica; si cercava
tuttavia, da diversi esponenti a vari livelli dell’una e dell’altra
parte, di porre gesti di distensione.
106. Questo spiega
il fatto che, anche in un piccolo Comune come Barra, potessero
alternarsi bassi dispettucci come il “Rigetto della domanda del parroco
(Don Diego Mignano) che chiedeva un ombrello per la processione”
(Delibera consiliare N°333 del 29 aprile 1880) con la costruzione di un
tempietto “in omaggio alla religione e alla civiltà”.
Accompagnata
peraltro, sempre ad opera del Mastellone, dalla “Accettazione della
dimanda dell’Arciconfraternita di Ave Gratia Plena pel nuovo
servizio di accompagnamento dei cadaveri poveri” (Delibera N°411 del 18
maggio 1881).
Sull’argomento, evidentemente,
i Sindaci liberali avevano imparato la lezione
.
Primi lavori e toponomastica del Sindaco
Mastellone (1879-1882)
107. Nel corso del suo primo
[20] mandato da Sindaco, il Cav. Giovanni Mastellone, dei
duchi di Limatola
[21], si preoccupò altresì di completare l’opera iniziata dai
suoi predecessori per il Corso Sirena, migliorando l’agibilità anche di
alcune delle storiche “cupe” che, a monte e a valle, si innestavano sul
Corso principale.
La mappa del duca di Noja
(1775) mostra chiaramente che tali “cupe” erano in tutto 7 (di cui 4 a
monte e 3 a valle).
Esse, indicate con la
denominazione attuale, sono:
Antiche “cupe” a
monte
1)
Via Pasquale Cicarelli
2)
Via Mastellone
3)
Via Gian Battista Vela
4)
Via Villa Bisignano |
Antiche “cupe” a valle
1)
Via Serino / Via Figurelle
2)
Via Luigi Martucci / Via
Lieto
3)
Via Bernardo Quaranta
|
Il Sindaco Mastellone
intervenne, a tratti successivi e per quanto possibile alle finanze
comunali, un po’ su tutte, provvedendo contestualmente anche alla nuova
toponomastica.
Via Pasquale Cicarelli
108. La strada che collega il
Largo Serino con la Piazza Abbeveratoio, e che la popolazione di Barra
chiamava arèto ‘o cariéllo, fu ufficialmente denominata Via
Pasquale Cicarelli (si scrive con una sola c).
Nella prima biografia di Don
Raffaele Verolino, redatta da Don Raffaele Guida nel 1890, troviamo
scritto che il Verolino, il giorno 9 maggio 1868, istituì il “Ritiro
dell’Immacolato Cuore di Maria” in “un quartino preso in fitto nel
cortile Fioriniello al Cajariello”.
Ancora nel 1868, dunque, la
dicitura era “Cajariello” (probabilmente, da un “casariello” che doveva
trovarsi lungo la stradina). Dopo di che, per le misteriosissime vie
degli errori di scrittura che facevano gli impiegati comunali e delle
storpiature verbali che faceva il popolo, si era giunti a “Cariello”.
In ogni caso, il
Sindaco Giovanni Mastellone mutò il nome della strada in quello di
Pasquale Cicarelli, nato a Salza Irpina (Avellino) nel 1827 e morto a
Napoli nel 1877, che fu avvocato, docente di materie giuridiche presso
l’Università di Napoli e deputato al Parlamento italiano.
Via Gian Battista Vela
109. La strada di S. Maria del
Pozzo (dal Corso Sirena alla chiesetta di S. Maria del Pozzo), il cui
primo tratto, all’inizio dell’Ottocento, veniva anche indicato come
“Vico di S. Lucia” per la presenza di una edicola dedicata a questa
Santa, venne denominata Via Gian Battista Vela, dal nome del pittore
barrese che vi aveva abitato nel Settecento
[22].
Via Principe di Bisignano
110. La strada “che porta alle
pigne di Solimena” (dal Corso Sirena alla Villa di Francesco Solimena),
il cui primo tratto, all’inizio dell’Ottocento, veniva anche indicato
come “Via di S. Martino” (perché congiungeva il Corso Sirena con la
contrada di S. Martino, che prendeva il nome dalla antica chiesetta
rovinata nel corso del Seicento), venne denominata Via Principe di
Bisignano.
Via Egidio Velotto
111. La strada ’e sotto ‘e
fenèste (attuale Via Serino) ricevette invece il nome di Don Egidio
Velotto, che si estendeva anche alla vecchia strada detta “di S. Anna”,
per la presenza di un’edicola dedicata alla Santa patrona.
La strada veniva chiamata
popolarmente “Sotto le finestre” perché le abitazioni erano fatte in
modo che “restassero sollevate dal pianterreno, per difenderle dalla
invasione delle acque torrentizie … e dove poi le correnti, innanzi di
uscire da quell’edificato, dovevano ricevere l’ultima stretta, laggiù,
nel martello est-ovest di Corso Sirena, che infila le Figurelle, ivi le
abitazioni sorgevano da due a tre metri sul piano stradale, e lo si
rileva anche ora, da cui la denominazione, fino a poco in qua, di Via
Sotto le Finestre...” (Cozzolino, 1889).
112. Dal canto suo,
Don Egidio Velotto era un “prete della Barra” nato il 12 luglio 1767 e
morto il 20 gennaio 1840.
Negli Atti di Santa
Visita del 1838 (2 anni prima della sua morte) è conservato lo scritto
di suo pugno nel quale egli, come erano tenuti a fare tutti i preti in
occasione delle Sante Visite, relaziona su se stesso e la sua attività:
“Io qui sotto (scritto), Sacerdote impotente (= senza
incarichi, né rèndite, di parroco, cappellano, rettore, o altro), mi
chiamo D. Egidio Velotto:
sono di età di anni settantuno (71), naturale di Barra:
fui ordinato Sacerdote sotto l’Eminentissimo Sig. Cardinale Zùrolo (=
Giuseppe Capéce-Zurlo, 1781-1801) a titolo di patrimonio:
di mio assisto ai Casi Morali (= corsi di aggiornamento per i
confessori), ed alla Dottrina dei fanciulli, perché sto occupato
nella Scuola de’ Chierici, e Secolari:
sto ascritto alla Congregazione degli ex Domenicani:
ho fatto tutti gli studii, e specialmente tutto il corso Teologico:
celebro la S. Messa nei dì feriali nella Parrocchia, e nei dì festivi
nella Chiesa degli ex Domenicani, ed abito con una donna monaca, di
professione ortolana, di anni sessantacinque (65), essendo morti
tutti i miei fratelli, e sorelle germane”.
113. Da notare che era iscritto alla Confraternita “laicale” del SS.
Rosario, quella cioè dei PP. Domenicani, definiti “ex” perché il
convento dei Domenicani era stato soppresso durante il Decennio francese
(1805-1815) e nel 1838 non era ancora stato ufficialmente ricostituito;
nei giorni festivi celebrava anche la Messa presso la loro chiesa.
La cosa che ci tiene però a sottolineare è che sta “occupato nella
Scuola”, e non solo “de’ Chierici” ma anche dei laici (i “Secolari”); e
il Cozzolino, nel suo libro sulla storia di Barra (1889), lo definisce
anche “latinista di fama”.
114. Il nostro don Egidio,
dunque, in un periodo di quasi totale analfabetismo di massa, e di
totale assenza di scuole elementari, si dedicò, proprio come sua
“missione sacerdotale”, ad insegnare a leggere e scrivere ai figli dei
contadini.
E’ perciò una figura della
tradizione e, nello stesso tempo, estremamente “moderna” (si potrebbe
forse paragonare a un Don Lorenzo Milani dell’epoca …): per questo
motivo, i Sindaci liberali di Barra, una cinquantina d’anni dopo la sua
morte, gli vollero dedicare prima una strada (1881) e poi anche una
piazza (1890), proprio là dove, all’angolo di incrocio fra la Via a lui
dedicata e la Via Figurelle, c’era (ed oggi non più …) un bel mosaico,
di piastrelle in maiolica, che raffigurava S. Anna che insegna a
leggere alla Vergine bambina.
E per questa ragione, il tratto
di strada in prossimità dell’edicola si diceva popolarmente abbàscio
S. Anna mentre ’ncoppa S. Anna era il tratto superiore della
strada.
La toponomastica prima e dopo l’unità
115. Come si può
notare, è in effetti solo dopo l’unità d’Italia che comincia ad esistere
una vera e propria “toponomastica” ufficiale, mentre fino ad allora le
strade portavano, per lo più, solo dei nomi attribuiti dalla voce
popolare.
E’ da rilevare che anche le
vecchie denominazioni di queste strade non sono tuttavia andate perdute;
nel linguaggio popolare barrese, ricorrono infatti ancor oggi le
espressioni: Arèto ‘o cariéllo; Abbàscio S. Anna; Sotto
‘e fenèste; ’O vico ‘e S. Lucia …
Inoltre, anche ufficialmente,
il tratto superiore di Via Gian Battista Vela si chiama tuttora “Via S.
Maria del Pozzo” e la attuale Via Villa Bisignano, giunta al suo
termine, prosegue nelle due strade denominate l’una “Via Pini di
Solimena” (che conduce al luogo dove si trovava la Villa del Solimena) e
l’altra “Via S. Martino” (che prosegue in Comune di S. Giorgio a
Cremano).
116. Si può,
sinteticamente, disegnare il seguente prospetto di “toponomastica
storica”:
1775 |
Prima metà del 1800 |
Sindaco Mastellone (1879-1882) |
2000 |
Cajariello
Abbasso e Sopra S. Anna
Sotto le finestre
Via di S. Maria del Pozzo
Strada che porta alle pigne di Solimena
|
idem
(arèto ‘o cariéllo)
idem
idem
Vico di S. Lucia /
Via di S. Maria del Pozzo
Via di S. Martino /
Strada che porta alle pigne di Solimena
|
Via Pasquale Cicarelli
Via Egidio Velotto
Via Egidio Velotto
Via Gian Battista Vela/
Via di S. Maria del Pozzo
Via Principe di Bisignano / Via di S. Martino
Strada che porta alle pigne di Solimena
|
idem
Via Egidio Velotto
Via Serino
idem
idem
Via Villa Bisignano
Via S. Martino
Via Pini di Solimena |
Mastellone e Cozzolino
117. In tanto fervore di opere
per “le buone strade”, fin dal 1879 cominciamo a notare, a fianco del
sindaco Giovanni Mastellone, una persona destinata ad avere in seguito
un influsso determinante sull’assetto urbanistico di Barra e cioè
l’ingegnere Pasquale Cozzolino, del quale meglio diremo a suo luogo.
Per il momento, ci
limitiamo a registrare la “Proposta Falcocchio (= il notaio Luigi
Falcocchio, consigliere ed assessore comunale) per la nomina del
Sig. Cozzolino Pasquale ad architetto ufficioso” (Delibera consiliare
N°491 del 2 agosto 1882).
118. Infine, sempre a merito
del Mastellone nel suo primo triennio da sindaco, va anche ascritta la
“Concessione ai fratelli Petriccione d’impiantare nel Comune
stabilimenti industriali con libero esercizio” (Delibera N°390 del 29
gennaio 1881).
Il sindaco farmacista Luigi Martucci (1882-1886)
119. Dopo
Giovanni Mastellone dei duchi di Limatola, venne nominato Sindaco di
Barra il farmacista Luigi Martucci (1841-1910), che rimase in carica dal
13 novembre 1882 al 30 novembre 1886.
120. A proposito di
farmacisti, va qui segnalato che, per tutto il periodo borbonico,
l’unica farmacia presente in Barra era quella della famiglia Viviani.
|
Un farmacista (1890) |
Soltanto dopo l’unificazione
italiana, cominciarono ad esservi altre farmacie. Troviamo così il
“Pagamento di medicine al farmacista Pasquale Borrelli (Delibera
N°208 del 28 marzo 1874) e la discussione “Circa l’apertura di nuove
farmacie in Barra” (N°391 del 26 febbraio 1881 e N°448 del 22 novembre
1881), anche in seguito a più pressanti richieste della popolazione:
“Accettazione dell’istanza di diversi ammalati per avere un dispensario
per la cura degli occhi” (Delibera N°413 del 18 maggio 1881).
A partire dal 1882, troviamo
menzionato il farmacista Luigi Persico e, a partire dal 1890, il
farmacista Palmieri.
121. Dal canto suo, Luigi
Martucci nacque il 25 settembre 1841, in un appartamento di Palazzo
Bisignano, da Michele Martucci e Maddalena Scognamiglio, e la sua
farmacia era, in pratica, quella che è oggi tenuta dal dott. De Marino,
proprio in un locale a piano terra di quello storico edificio.
Il Martucci fu il tipico
esponente della Sinistra liberale, ovvero di quella parte della classe
borghese che, sinceramente attaccata ai tradizionali valori
risorgimentali, comprendeva però anche la necessità di aprirsi alle
nuove esigenze che provenivano dai ceti più poveri (contadini ed
operai), che cominciavano in quel tempo a prendere coscienza della loro
collocazione di classe e ad unirsi ed organizzarsi per rivendicare
migliori condizioni di vita ed una più equa distribuzione del reddito.
La sua opera come Sindaco fu da
tutti apprezzata, per la onestà personale e la sensibilità sociale che
la caratterizzarono.
Fu lui ad ottenere per Barra
alcuni servizi “moderni”, come l’ufficio del telegrafo, l’illuminazione
pubblica a gas, il servizio di tram a cavalli nonché una migliore
assistenza sanitaria per la popolazione più povera.
L’Ufficio del telegrafo (1883)
122. Già il sindaco Tommaso
Fasano (1869-1872) aveva fatto istanza “Per l’installazione di un
ufficio telegrafico” (Delibera N°81 del 13 maggio 1871) ma le cose
evidentemente andarono piuttosto per le lunghe …
L’Ufficio del telegrafo (con
relativo singolo impiegato) venne infatti inaugurato ufficialmente dal
sindaco Martucci il 14 giugno 1883, e fu un evento memorabile per il
paese, al quale parteciparono “in pompa magna” le autorità comunali e
napoletane, carabinieri, guardie municipali, etc. nonché quasi tutta la
popolazione, inorgoglita e festante per questa “avveniristica”
installazione.
Tuttavia, è lecito chiedersi
quanti Barresi ebbero un qualche motivo, in seguito, di servirsi di quel
telegrafo: per molti anni ancora, oltre che per le comunicazioni
ufficiali da e per la pubblica amministrazione, esso venne
usato, di fatto, da pochissime persone.
|
Il telegrafo |
La nuova strada “consortile” Barra - S.
Giovanni
123. Già nel 1882, sotto il
precedente sindaco Giovanni Mastellone (1879-1882), l’ingegnere Pasquale
Cozzolino aveva elaborato, ed anche pubblicato a stampa,
un progetto “Per l'apertura di una nuova
strada tra i limitrofi abitati di Barra, S. Giovanni a Teduccio e
Borgata Villa”.
Nel febbraio del 1884, il
Martucci iniziò l’esproprio del terreno che doveva servire per
realizzare questa “nuova strada” fra Barra e S. Giovanni a Teduccio
(attuali Corso IV Novembre e Corso Protopisani).
Purtroppo, questo progetto poté
giungere in porto solo vari anni dopo, nell’ àmbito dei lavori per il
“Risanamento”. Infatti, da lì a poco, anche Barra fu colpita da quella
epidemia di colera che infierì su tutta la città di Napoli nella seconda
metà del 1884.
Luigi Martucci durante il colera del 1884
124. Fu proprio in questa
tragica circostanza, però, che ebbe modo di manifestarsi tutto l’amore
che il Martucci portava al suo paese ed al suo popolo, e la dedizione
con la quale svolgeva il suo ufficio di Sindaco.
Egli si prodigò in tutti i modi
per organizzare l’assistenza ai colerosi (che, come nel 1837, rimasero
prevalentemente nelle proprie case) e girava personalmente in tutta
Barra (ricordiamo che, oltre ad essere il Sindaco, era anche farmacista)
per visitare le famiglie colpite, raccogliere le necessità dei
cittadini, dare gli aiuti possibili.
Dati gli scarsi mezzi di cui
disponeva il Comune, fece anche appello alla generosità dei singoli e
delle famiglie e non esitò ad usare anche “del proprio” per aiutare i
colerosi: la voce della tradizione locale dice che arrivò perfino a
vendere il corredo della moglie, pur di aiutare la gente del suo paese.
Per il comportamento tenuto in
occasione del colera del 1884, fu in seguito insignito della medaglia
d’argento al valor civile.
Il Lapegna scolpisce
sinteticamente: “Nell’epidemia colerica del 1884, con mirabile
abnegazione, col P. Giuseppe De Cristofaro, affrontò ogni pericolo,
distribuendo viveri, medicinali, denaro e persino biancheria della
propria famiglia, meritando la medaglia d’argento al valore civile”.
|
Medaglia d'argento al valor civile 1884 |
I Domenicani a Barra nell’Ottocento
125. Come si vede, nel 1884, il
Sindaco Martucci venne co-adiuvato, in particolare, dal Padre domenicano
Giuseppe De Cristofaro.
Questa collaborazione è
particolarmente significativa, ove si consideri che si era in un tempo
di grave conflitto fra lo Stato (liberale e massonico) italiano e la
Chiesa cattolica.
126. Dopo l’Unità d’Italia,
tutti gli Ordini religiosi erano stati nuovamente soppressi (come nel
decennio francese) ed i loro terreni espropriati. Anche a Barra, i due
conventi, quello dei Francescani e quello dei Domenicani, erano stati
espropriati ed adibiti ad altri usi
.
In particolare, lo storico
convento dei Domenicani
, nel quale risultavano esserci circa 15 frati
intorno al 1750, era stato soppresso nel 1809, in seguito alla Legge di
“soppressione generale” decretata dai Francesi il 7 agosto di
quell’anno.
Il ripristino della vita
religiosa nel Regno avvenne poi a partire dal Concordato del 1818 fra il
restaurato Regno borbonico e la Chiesa.
Tale ripristino fu tuttavia
molto graduale: nel 1855, a fronte di ben 250 conventi domenicani
esistenti in Italia meridionale prima della soppressione, ne risultavano
ripristinati solo 27.
127. Il convento di Barra
ritornò ai Domenicani solo nel 1852. Per un breve periodo (1852-1866),
nel convento barrese risulta di nuovo vigente “la perfetta vita comune”
secondo la Regola. Inoltre, essendo anche la sede del “noviziato”, vi
era obbligo, da parte di tutti gli altri conventi della Provincia
domenicana dell’Italia meridionale (la Provincia Regni) di
contribuire alle spese di quello di Barra. Così che, esso divenne, in
quei pochi anni, il vero e proprio “semenzaio della Provincia” come ebbe
a dire il Priore di quel tempo, il P. Gaetano Capasso.
Durò poco, come detto, perché
nel dicembre 1866 il convento venne nuovamente espropriato, questa volta
in base alla Legge di “soppressione nazionale” decretata dallo Stato
italiano il 7 luglio del 1866.
Nel 1877, risulta adibito in
parte “ad uso di Pretura ed ufficio del Registro” ed in parte
addirittura a deposito comunale; successivamente, vi furono insediate le
Scuole municipali.
128. Alcuni religiosi, chiusi i
conventi, avevano abbandonato la veste, allettati anche dalla apposita
pensione maggiorata che il governo italiano elargiva per incoraggiare
gli abbandoni.
Altri, però, “tennero duro” e,
raggruppati in piccole comunità, continuarono a condurre la vita di
“regolare osservanza, nelle proprie famiglie ovvero in case di
particolari” rimanendo per quanto possibile “presso la chiesa del
rispettivo convento in qualità di Rettore, Custode, e simili” (Lettera
circolare del Priore della Provincia Regni, del 3 dicembre 1866).
129. Questo fu proprio il caso
di Barra, laddove il Comune, pur diventato proprietario di chiesa e
convento, nominava all’ufficio di Rettore uno dei frati (questo
accadeva, contestualmente, anche per il convento dei Francescani).
Così, il 13 maggio 1870
(quattro anni dopo la soppressione), il priore di Barra, P. Alessandro
Conte, informava il Maestro Generale dell’Ordine che la comunità
superstite era formata da 9 persone (5 sacerdoti e 4 laici) che
seguivano “nella pace del Signore, la regolare osservanza”.
130. Animatori della
“resistenza”, a Barra, furono soprattutto i due fratelli PP. Alessandro
e Domenico Conte, che si succedettero come priori locali: Alessandro
morì nel 1871 e Domenico nel 1885.
Dopo di loro, viene ricordato
come priore il P. Ludovico Cacciapuoti, finché nel 1894 (circa 30 anni
dopo la soppressione) i Domenicani poterono ricomprarsi il loro
convento, “in moneta sonante, con i risparmi dei religiosi e le offerte
di fedeli”, versando al Comune di Barra la bella cifra di 19.000 lire in
contanti.
Fra questi Domenicani
“resistenti”, vi era anche il P. De Cristofaro.
Il P. Giuseppe De Cristofaro
131. Questo encomiabile
religioso era di nobili origini: la famiglia dei baroni De Cristofaro
aveva acquistato in Barra, nel periodo del Decennio francese
(1805-1815), la Villa che da loro prende il nome, esistente peraltro fin
dal Seicento
.
In quei perigliosi frangenti,
il P. De Cristofaro non solo aveva rinunciato a tutti i suoi diritti
ereditari per farsi frate, ma aveva anche convinto la sua famiglia ad
adibire una parte del loro vasto palazzo di Barra come sede della
piccola comunità dei Domenicani “èsuli” dal loro convento, affinché
potessero continuare a vivere insieme, secondo la Regola e vicini alla
loro chiesa.
|
Stemma de Cristofaro |
132. Si era dunque in questa
situazione, quando sopraggiunse il colera del 1884 e, in nome della
comune solidarietà con il popolo barrese, il liberale (“laico”, ma non
troppo) Luigi Martucci ed il religioso (ma ufficialmente “soppresso”)
Giuseppe De Cristofaro affrontarono insieme “ogni pericolo, con mirabile
abnegazione”.
Continua l’opera del Martucci
133. Cessata l’epidemia
colerica alla fine del 1884, il Martucci proseguì la sua meritoria opera
di Sindaco.
Il 22 gennaio 1885, viene
organizzata una processione “straordinaria” di S. Anna, in
ringraziamento per il cessato pericolo, ed il Comune liberale di Barra
se ne accolla le spese con maggior larghezza del solito …
Contestualmente, il Comune
delibera che, per l’anno 1885, verranno distribuiti gratis alle famiglie
povere del paese “pane, pasta, carne vaccìna, medicinali e latte
d’asina…” ed alcune piccole somme di danaro in occasione della Pasqua e
del Natale.
134. Inoltre, nell’aprile dello
stesso anno 1885, iniziano concretamente i lavori di installazione delle
condutture per passare dall’illuminazione pubblica a petrolio a
quella a gas, come il Comune aveva deliberato già nel precedente
anno 1884.
continua
Vedi
n°400 in “Il periodo borbonico dal 1790 al 1860”.