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Piano dell'opera di Angelo Renzi

La Barra di Napoli nella storia

11.2b Il Periodo Liberale (1876-1887)

di Angelo Renzi

Ti amo e ti odio. Come questo sia possibile,

non lo so. Ma lo sento. E mi tormento.

(da Catullo)

Né con te, né senza di te,

io posso vivere.

(da Ovidio)

olio su tela, 129x100 cm – anno 1705 (ca.). Tolosa, Musée des Augustins. Francesco Solimena (Canale di Serino, Avellino, 4 ottobre 1657 - La Barra di Napoli, 5 aprile 1747) "Ritratto di donna" Una donna, di cui non si conosce il nome, con i suoi gioielli deposti (o da indossare?) in un piatto d’argento: rappresenta forse, allegoricamente, la città di Napoli ... e perché non La Barra?

 

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I preti-maestri nelle Scuole elementari comunali

68. Fra i primi maestri della Scuola elementare pubblica, si notano due preti: Don Luigi Vitale e Don Domenico Minichino.

Ciò non deve meravigliare, ove si consideri che, in un piccolo paese, erano spesso solo i preti quelli che avevano studiato ed avevano quindi i titoli per poter insegnare; d’altra parte, l’elevato numero di essi e le scarse risorse a disposizione della parrocchia rendevano comunque conveniente arrotondare le entrate con il pur magro stipendio di maestro elementare.

Si ricordi che i preti traevano il proprio sostentamento dalle offerte dei fedeli per l’amministrazione dei Sacramenti e dalle rendite, prevalentemente terreni o case, delle parrocchie. Molte proprietà della Chiesa erano state però espropriate dallo Stato liberale e le fonti di sostentamento si erano quindi ridotte.

A Barra, in particolare, vi erano, nella seconda metà dell’Ottocento, più di una ventina di preti che dovevano vivere con le rendite di una sola parrocchia e con le offerte occasionali dei fedeli (9.215 persone nel 1877), quasi tutti peraltro assai poveri.

Il maestro di Barra: Don Domenico Minichino (1821-1890)

69. Dei 2 preti-maestri, Don Luigi Vitale era nipote [12] di quel Don Paolo Riccardi del quale si è detto a suo luogo [13].

70. Don Domenico Minichino (1821-1890), invece, era un “degno erede”, oltre che omonimo, di quel Domenico Minichino che ebbe parte attiva nella Repubblica napoletana del 1799 [14].

L’ingegnere Pasquale Cozzolino, che lo conobbe personalmente e fu suo allievo, ne tesse un caldo elogio, scrivendo nel 1889 (un anno prima della sua morte): “… nel vivente sacerdote Domenico Minichino, mio antico maestro in latinità … tu non sai se devi ammirare più gli ideali di civile reggimento che sempre lo illuminarono o le profondità oraziane del consumato latinista scrittore, con l’aureola, aggiungi, di una sublime virtù cristiana non mai smentita! Egli, il degno erede del Minichino del 1799!”

71. Il prete-maestro Domenico Minichino nacque il 12 febbraio 1821 e morì il 22 novembre del 1890, lo stesso anno del Verolino (che morì il 22 gennaio 1890) e poco distante da lui: sull’atto di morte, risulta infatti “domiciliato in Strada Crocella”.

Ed insieme a Don Raffaele Verolino e a Don Paolo Riccardi, costituisce in effetti la triade dei preti barresi forse più rappresentativi dell’Ottocento.

72. Era il secondo dei quattro figli, tre maschi e una femmina, di Onofrio Minichino (1784-1836), un ex-frate poi sposatosi con tale Maria Napolitano.

Un suo zio (= fratello di Onofrio) era Don Giuseppe Minichino (1787-1848) che fu parroco di Barra dal dicembre 1838 (dopo il colera del 1836-37, di cui fu vittima il precedente parroco Don Alessandro Russo) fino alla morte il 31 gennaio 1848.

Il pro-zio omonimo

73. Ma fu soprattutto un suo pro-zio (= fratello di Vincenzo Minichino, padre di Onofrio), anch’egli prete e anch’egli di nome Domenico, che si prese cura di lui: lo tenne a battesimo e, circa un anno dopo la morte di Onofrio (l’ex frate, nato il 6 novembre 1784, morì il 5 settembre 1836, “di anni 52” e “senza sagramenti”), lo avviò sulla strada del sacerdozio, mandandolo a 16 anni in Seminario diocesano.

Di questo pro-zio, e dei suoi rapporti con il futuro prete-maestro omonimo, veniamo a sapere dagli Atti di Santa Visita del 1838, nella auto-presentazione che ogni prete era tenuto a redigere per l’occasione:

“Il sacerdote D. Domenico Minichino, del fu Gennaro, di Barra, è di anni 70 (quindi, era nato nel 1768). Fu ordinato sacerdote nella Pentecoste del 1793, essendo Cardinale Arcivescovo la f.m. (felice memoria) di Zurlo, a titolo di patrimonio sacro costituitogli dall’ottimo suo padre di f.r. (felice ricordanza).

Interviene ogni volta ai casi morali (= corsi di aggiornamento per i confessori). Nel tempo delle dottrine, egli se ne occupa: nel caso di bisogno, non si è mai negato di farci l’uffizio di sacerdote. E’ fratello della Congregazione d’A.G.P. (Ave Gratia Plena), di cui è ancora cappellano: spesso vi ha fatto la lettura e spiega delle regole.

Dell’età di circa anni 10, è stato in Napoli sotto la cura di un fratello maggiore, anche sacerdote, per nome D. Nicola. Ha fatto umanità e retorica da D. Francesco Vela; logica e metafisica da D. Antonio de Martiis; il corso delle leggi civili da D. Giuseppe Maffei.

Dopo 8 giorni di pratica forènse, risolve farsi prete. Entrò nel Seminario Urbano essendo Rettore il canonico Valle, e fu ordinato sacerdote essendo Rettore il canonico Falanga, avendo studiato teologia pel corso di 3 anni e 22 giorni di Seminario …

Ha avuto la fortuna di abitare sempre nella famiglia da cui la Divina Provvidenza l’ha fatto nascere.

Essendo rimasto con una sorella quasi di età decrèpita, unì a sé un nipote ex frate, che si maritò di fresco, costui poi passato a miglior vita il 7 settembre 1836, lasciando la moglie con 4 figli: 3 maggiori e una femmina. Si trova in mezzo a questi, di cui si prende tutta la possibile cura.

In novembre 1837 ne ha inviato il secondo in Seminario diocesano, ove si sta conducendo con soddisfazione de’ superiori e contento di chi ne ha cura”.

Il nostro Domenico Minichino (1821-1890) era proprio quel giovanetto che fu “inviato in Seminario diocesano” nel novembre 1837.

74. Al prete-maestro Domenico Minichino (1821-1890) accenna anche il gesuita Davide Palomba nelle sue “Memorie storiche di S. Giorgio a Cremano” (1881) nelle quali, parlando di Don Pasquale Borrelli, parroco di S. Giorgio venuto a morte il 24 luglio 1802 all’età di anni 69, così scrive:

“Don Domenico Minichino, sacerdote di Barra e maestro in quelle scuole comunali, conserva presso di sé alcune poesie dettate in latino dal Borrelli, le quali non rifuggirebbero certamente la pubblica luce. Ma come niuno ha mai saputo di esse, così non è a fare meraviglie se stanno aspettando ancora la mano generosa ed il cuore amorevole di un qualcheduno, se non altro del nostro paese di S. Giorgio, che ve le tragga”.

“Quanto a me” prosegue il Palomba “credo di far cosa né dis-cara né inutile se, come a saggio delle altre, ne reco qui la seguente, che è una “alcàica”, la quale allo stesso Minichino è piaciuto di andare annotando qua e là, e tratta del Card. Giuseppe Capece Zurlo (1782-1800) che succede al Card. Serafino Filangieri (1775-1782) nell’arcivescovado di Napoli”.

Segue poi, nel libro del Palomba, la poesia di Don Pasquale Borrelli, diligentemente annotata da Don Domenico Minichino; anzi, per meglio dire, “Paschalis Borrelli ode, ex mendosis exemplaribus in integrum restituta, ac notulis illustrata Dominici Minichino presbyteri  barrensis  cura studioque”.

Come già detto (vedi sopra, n°70), il nostro Domenico Minichino fu dunque appassionato latinista oltre che maestro nelle prime scuole elementari pubbliche che cominciarono ad istituirsi anche a Barra negli anni successivi all’unità d’Italia.

La Via Domenico Minichino (1890)

75. La popolarità e la universale stima delle quali godeva “il maestro di Barra” erano talmente vaste che, come risulta dalla mappa catastale del 1890, già l’anno stesso della sua morte gli venne intitolata la strada che tuttora porta il suo nome.

Infatti, ‘a traversa ‘e vascio (= la traversa di sotto) era stata realizzata proprio in quell’ anno, in occasione dei lavori del “Risanamento”, per congiungere lo storico Corso Sirena, nel suo tratto fra Piazza Crocella e Piazza Serino, con il nuovo Corso Vittorio Emanuele III, attuale Corso Bruno Buozzi.

Nel 1921, ‘a traversa ‘e vascio partecipò per la prima volta con un proprio Comitato alla “Festa dei Gigli” Barrese; per l’occasione, Eduardo Napolitano scrisse i versi della canzone che iniziava: “Cerca permesso e trase, cavallerescamente…”  Erano, davvero, altri tempi!

L’errore del Lapegna circa Annibale Minichino (1824-1863)

76. Si annota qui che il Lapegna, nella sua benemerita storia di Barra più volte citata, scrive testualmente che “il sacerdote Domenico Minichino, maestro elementare, ma dotto latinista e matematico” era “fratello di Annibale, ammazzato dagli emissari del partito borbonico nella caduta della Repubblica Partenopea”.

Il riferimento ad Annibale Minichino come implicato nella Repubblica Partenopea del 1799 è però chiaramente una svista del Lapegna o delle sue fonti orali nel 1929, perché non è possibile che Domenico Minichino, nato nel 1821, fosse fratello di un Annibale già adulto nel 1799.

77. I registri parrocchiali di Barra ci consentono di precisare meglio la questione.

Troviamo dunque che un Vincenzo Minichino (1757-1830) sposò tale Lucia Borriello e, dal loro matrimonio, nacquero fra gli altri:

-      Giuseppe Minichino (sacerdote, nato il 27 febbraio 1787 e morto il 31 gennaio 1848) che fu poi parroco di Barra dal dicembre 1838 alla morte (vedi sopra, n°72).

-      Onofrio Minichino (1784-1836), cioè il nostro “ex-frate” che, sposatosi con tale Maria Napolitano, visse poi in casa del fratello di suo padre (vedi sopra, n°73) il quale, alla morte di Onofrio, continuò a prendersi cura dei figli di lui.

78. I figli di Onofrio Minichino e di Maria Napolitano furono 4, tre maschi e una femmina; i 3 maschi erano:

-      Gennaro Minichino, nato l’11 gennaio 1820, “morto disgraziatamente e senza sacramenti, celibe, di anni 23, in Bosco Reale ed ivi seppellito il 24 marzo 1843”. 

-      Domenico Minichino, nato il 12 febbraio 1821 e morto il 22 novembre 1890 “di anni 70 in strada Crocella”, che è il nostro prete-maestro.

-      Annibale Minichino: “marito di D. Silvia Riccio, abitante in Strada Parrocchia”, il 7 luglio 1863 “se n’è passato all’altra vita, disgraziatamente, di anni 39”.   

79. Annibale Minichino (1824-1863) era dunque certamente fratello del “sacerdote Domenico Minichino maestro elementare”; quasi certamente fu davvero “ammazzato da emissari del partito borbonico”, visto che risulta morto “disgraziatamente” ed a soli 39 anni di età; ma non “nella caduta della Repubblica Partenopea”, come scrive erroneamente il Lapegna, bensì nel 1863 e dunque nel periodo del grande “brigantaggio” post-unitario nell’Italia meridionale (1860-1870), quando non erano davvero infrequenti gli scontri ed i reciproci “ammazzamenti” fra liberali e borbonici.

I Direttori Didattici della Scuola elementare

80. Dal Lapegna, veniamo a conoscere anche i nomi dei Direttori Didattici della Scuola elementare di Barra fino al 1929:

“Primo direttore fu Benedetto Santilli. Seguirono Antonio Buonpensiero, Savino La Stella (morto nella scuola, in seguito a trombosi, il giorno del suo onomastico, mentre gli si preparava una festicciuola), Enrico Martini e Ferdinando Olia”.

Il Direttore Benedetto Santilli

81. Benedetto Santilli fu dunque il primo Direttore Didattico, da quando cominciò ad essercene uno (vedi sopra, n°55).

In precedenza, sempre in Barra, era stato per molto tempo insegnante nella Scuola superiore (ovvero di 4^ e 5^ elementare), insieme al maestro Federico Gioia.

Dopo l’entrata in vigore della Legge Coppino (1877), troviamo infatti la “Nomina del sig. Gioia Federico a maestro della scuola superiore, in rimpiazzo del sig. Gatti dimissionario” (Delibera Consiglio comunale del 13 dicembre 1882).

82. Questo maestro Gatti, dimissionario nel 1882, aveva richiesto “l’aumento sessennale del decimo dello stipendio per l’anno scolastico 1879-80” (Delibera del 30 aprile 1881) e ciò significa che insegnava già nel 1873, dunque prima della legge Coppino e al tempo dei generosi tentativi del Commissario straordinario Vincenzo Lugaresi di andare oltre le sole 2 classi, una maschile ed una femminile, ognuna con un corso di 2 anni (vedi sopra, n°52): può dunque essere ritenuto il primo maestro di “Scuola superiore” presente in Barra.

83. Sostituito il Gatti dal maestro Federico Gioia a partire dall’anno scolastico 1882-83, troviamo poi, in data 16 febbraio 1886, la nomina di un ulteriore maestro di scuola superiore, che è il nostro Benedetto Santilli.

Da quel momento, i due (Gioia e Santilli) risultano quasi sempre insieme nei pagamenti del soldo, dell’aumento sessennale e delle rare gratifiche (Delibere del 12 aprile 1886, del 21 maggio 1890, del 12 maggio e del 30 settembre 1892, etc,) … fino a che, nel 1903, il Santilli viene nominato Direttore Didattico, dopo aver anche ricevuto “l’attestato di lodevole esercizio” come insegnante, sin dall’11 maggio 1893.    

84. Il Direttore Santilli, a quanto sembra, fu un personaggio emblematico della Barra del suo tempo, mescolando, nel suo ruolo di notabile locale, una cultura forse un po’ approssimativa con la sincera buona volontà di giovare al popolo semplice, entrambe però non disgiunte da una irrefrenabile vena goliardica.

85. Il “Concorso al posto di Direttore Didattico” venne indetto con Delibera del Consiglio comunale N°383 del 24 giugno 1903 e già il 3 settembre 1904 lo vediamo premiato, dal Règio Commissario Straordinario Augusto Sanfelice di Bagnoli, con un “Attestato di benemerenza e di gratitudine, per la volitiva, indefessa ed efficace cooperazione spesa dal Signor Benedetto Santilli a pro della pubblica istruzione, cui si dedica con eccessivo (?!) zelo e intelletto d’amore, per il maggiore sviluppo didattico ed educativo delle Scuole elementari”.

86. Tali benemerenze non lo rendevano peraltro esente dal tradizionale clientelismo familistico: 

“La Giunta municipale … vista la nota n° 192 del Direttore Didattico circa la nomina per supplenza temporanea del maestro Raffaele Conte infermo … visto che, agli effetti del Regio Decreto … la nomina dei supplenti è devoluta di diritto alla Giunta … delibera respingere la nomina del supplente Signor Antonio Santilli (che era suo fratello) e ordina avvertirsi il signor Benedetto Santilli, per l’organo di questa segreteria, a non ricadere altre volte in simili mancanze”.

87. Né da talune cadute di gusto:

“Nella seduta della Giunta municipale del 27 maggio 1905, il Sindaco (il marchese Cesare De Riso) riferisce di aver raccolto parecchi reclami di padri di famiglia a carico del Direttore Didattico Signor Benedetto Santilli, per un suo “indecoroso atteggiamento”, nel “tenere cioè schiuso l’indice e il mignolo della mano destra nei gruppi fotografici delle singole classi di queste scuole elementari municipali” … (in pratica, aveva “fatto le corna” nella foto-ricordo di tutte le classi). 

Il Santilli, invitato ed ascoltato a tal proposito, dichiara di “non poter non deplorare per primo l’accaduto”, giustificandosi però col dire che “l’indecoroso atteggiamento di cui ai gruppi fotografici è del tutto casuale e che in lui non vi era stata la lontana idea di recare offesa a chicchessia”.

“La Giunta … considerando … che per tale fatto vi è stata pubblicità … che pur volendo ritenere per vero quanto detto in sua giustifica dal Direttore Santilli, il fatto stesso è da ritenersi deplorevole … a voti unanimi, infligge al Signor Benedetto Santilli una sospensione di 15 giorni dallo stipendio che egli percepisce nella qualità di Direttore Didattico di queste scuole elementari”.

Sembrerebbe quindi che la Giunta municipale avesse colto i classici due piccioni con una fava: punire “l’indecoroso atteggiamento” del Direttore salvando così l’onore dei padri di famiglia Barresi e, nello stesso tempo, arrecare un piccolo ma benefico sollievo alle disastrate Casse comunali. Purtroppo, però … 

Nella seduta del 16 giugno 1905, la Giunta “delibera revocarsi, come revoca, in tutto il suo tenore, l’emessa sua precedente Deliberazione del 27 maggio u.s. numero 152, circa la inflitta sospensione di giorni 15 dello stipendio, restando, per lo effetto, detto deliberato nullo”.

Evidentemente, cessato il clamore dello “scandalo” paesano, e data una formale soddisfazione ai “padri di famiglia”, si ritenne di non infierire (era la metà dello stipendio mensile!) sul Direttore eccessivamente buontempone.

88. Nel 1907, la Giunta municipale, “per il censimento del bestiame a mente della legge e regolamento 16 luglio 1903 n°535, nomina a far parte della prevista Commissione i seguenti individui: Roberto Dèntice, veterinario comunale; Giuseppe Ascione, medico comunale; Benedetto Santilli, direttore didattico; Giovanni Scognamiglio, presidente della società agricola; Federico De Filippis, perito agrario; Eduardo Lombardi, allevatore di bovini e suini”.

89. Ma il suo momento di maggior gloria paesana, il nostro Signor Direttore lo raggiunse certamente nell’anno successivo, il 1908, allor quando egli si appigliò alla popolarissima canzone napoletana “Tùppete tùppete” e, lasciando la musica, composta da Vincenzo De Chiara, scrisse ex novo le parole del testo, creando così la seguente canzone per la “Festa dei gigli” di Barra.

‘O GIGLIO SERINO A LA BARRA (1908)

È nu piézzo che guardi alloccùta

chistu giglio de vascio Serino.

Tanta gente a braccetto vicino …

ma, Nannì, tu nun pienze cchiù a mme!

È nu piezzo che gira sperùta

chesta capa ch’è pazza pe’ tte!

Rit - Ma pecché nun venire cu mme,

ma pecché, ma pecché …

E tùppete tùppete siente llà

e ballano ballano ‘e giglie ccà.

Stu pietto mio, nenné,

balla cu tte, sulo cu tte!

 

M’ ‘o diciste lo juorno ‘e Sant’Anna

c’a la Barra sarrisse venuta,

ca nisciuno t’avria ‘mpeduta

de venire a sta festa cu mme.

Mo me lasse, stu core me ‘nganna?

Pienze buona, isso more pe’ tte.

Rit –

Ma ‘nfra suone e ‘nfra cante ce porta

chistu giglio d’o guappo Petrone.

‘Nfra gli evviva de chesta canzone

che suspire ca stongo a manna’!

Siente sié ... ‘sta canzone, nun ‘mporta,

e ppo vide si tuorne tu ccà!

Rit –

90. Benedetto Santilli era ancora Direttore Didattico nel 1910, dopo di che si perdono le sue tracce nei documenti.

La legge Zanardelli di riforma del sistema elettorale (1882)

91. Un’altra importante riforma introdotta dalla Sinistra liberale fu il cambiamento del sistema elettorale, con legge preparata dal ministro Zanardelli ed approvata dal parlamento nel 1882.

Con la nuova legge, vennero ammessi al voto tutti i cittadini di sesso maschile, che avessero compiuto i 21 anni di età, che sapessero leggere e scrivere, e possedessero almeno uno dei due requisiti seguenti: aver completato la seconda elementare oppure pagare almeno 19,80 lire all’anno di imposte dirette.

92. Rispetto alla legge precedente, quindi, si abbassava da 25 a 21 anni il limite di età, si riduceva il livello di reddito necessario, e si dava la possibilità anche ai cittadini meno abbienti di votare, purché sapessero leggere e scrivere ed avessero completato la seconda elementare.

Quest’ultima condizione riguardava in realtà ben poche persone, considerato che la scuola elementare pubblica era stata istituita solo 5 anni prima (nel 1877); comunque, la nuova legge elettorale portò il numero dei cittadini aventi diritto al voto dai circa 500.000 della precedente legge a circa 2 milioni (passando, cioè, all’incirca, dal 2% al 7% della popolazione).

93. Tali modifiche riguardavano, beninteso, l’elezione del Parlamento nazionale: la Sinistra liberale tentò di modificare anche la “Legge sull’amministrazione comunale e provinciale” del 1865, ed un ampio dibattito si sviluppò in Parlamento a tal propòsito, ma alla caduta di Depretis (1887) nulla ancora era stato deliberato in merito.

I Sìndaci della Sinistra liberale

94. L’elenco dei sindaci del Comune di Barra insediati dal 1876 al 1887 (e quindi nominati dai governi della Sinistra liberale) è il seguente:

1.            Giuseppe Verolino (ottobre 1876 - aprile 1879)

2.            Giovanni Mastellone (maggio 1879 - novembre 1882)

3.            Luigi Martucci (novembre 1882 - novembre 1886)

Giuseppe Verolino (1876-1879)

95. Era medico condotto a Barra già nel giugno del 1875 e lo fu per quasi 30 anni: “Messa a riposo con pensione del Condottato dott. Verolino Giuseppe” (Delibera N°349 del 15 aprile 1903).

Pure dal 1875, risulta svolgere anche “il servizio sanitario a queste Carceri Mandamentali” (N°365 del 3 agosto 1875).

Nell’ottobre 1875, era Consigliere comunale. In questa veste, si trovava nella situazione di essere il datore di lavoro di se stesso, e ciò suscitò le proteste di alcuni Consiglieri, che giunsero a proporre in Consiglio il suo licenziamento dall’ufficio di medico condotto (Delibera N°49 del 26 aprile 1876) senza peraltro ottenere l’effetto.

96. Anzi, nell’ottobre di quello stesso anno 1876, il Verolino venne addirittura nominato [15] Sindaco.

Ne approfittò per concedere a se stesso il diritto alla pensione, previa ritenuta del 2% sullo stipendio: “Ammissione del dott. Verolino al rilascio della ritenuta del 2% per aver diritto alla pensione” (Delibera N°118 del 14 maggio 1877).

In compenso, però, va detto a suo merito che provvide egregiamente ad attuare in Barra tutto quanto previsto dalla legge Coppino sulla istruzione elementare (vedi sopra, n°53).

97. Terminò il suo mandato nell’aprile del 1879 e contestualmente, per la prevista estrazione a sorte [16], decadde anche dalla carica di Consigliere comunale: “Decadenza del quinto del Consigliere comunale Verolino dott. Giuseppe” (N°252 del 30 aprile 1879).

Non risulta peraltro che si sia successivamente ricandidato, dedicandosi quindi esclusivamente al suo lavoro di medico.

98. Dieci anni dopo, nel 1889, ottenne formalmente la nomina al ruolo che già svolgeva, ed all’aumentato stipendio, di “Ufficiale Sanitario presso le Carceri mandamentali” (Delibera N°49 del 24 luglio 1889).

Lo svolgimento del duplice ruolo, di medico condotto e di ufficiale sanitario per le carceri, provocò contro di lui, nel 1893, altri “ricorsi” al Consiglio comunale, che anche stavolta rimasero però senza effetto.

99. Nel 1903, venne messo a riposo come Medico condotto (vedi sopra, n°95), con la famosa pensione che si era auto-attribuita (vedi sopra, n°96) ma che gli venne però, in quell’anno, ricalcolata al ribasso (Delibere N°387 del 10 luglio e N°407 del 24 agosto 1903).

Si rifece, peraltro, continuando a mantenere l’incarico di Ufficiale Sanitario per almeno altri 10 anni ed ottenendo, per questo incarico, progressivi aumenti di stipendio, fino addirittura alla vigilia della Prima Guerra Mondiale.  

100. Nel 1915, ormai evidentemente pensionato anche come Ufficiale Sanitario, troviamo ancora una “Autorizzazione al Sindaco (che era Cristoforo Caccavale) per stare in giudizio nella causa promossa dal dott. Verolino Giuseppe” (Delibera N°39 dell’8 giugno 1915) che reclamava i soldi che, a suo parere, gli erano stati ingiustamente sottratti dalle due pensioni.

Non sappiamo come sia andata a finire la causa, anche perché nel frattempo era scoppiata la Guerra. Sappiamo però che, a pace sopravvenuta, il Commissario Straordinario Vincenzo Marchetti concesse un “Sussidio all’erede del dott. Giuseppe Verolino” (Delibera N°54 del 31 dicembre 1918).

Giovanni Mastellone e la Madonna “addolorata” in Piazza Crocella (1879)

101. Così dice la lapide posta alla base del tempietto, contenente la statua della Madonna “addolorata”, che si vede tuttora in Piazza Crocella, restaurato in occasione dei lavori di ricostruzione dopo il terremoto del 1980:

QUI, PER OPERA DI PIETA’ CRISTIANA,

SORGEVA UN MONUMENTO ROZZO DI FORMA.

IL MUNICIPIO,

AUSPICE IL CAV. GIOVANNI MASTELLONE

DEI DUCHI DI LIMATOLA,

IN OMAGGIO ALLA RELIGIONE E ALLA CIVILTA’

RIFECE L’ANNO M DCCC LXX IX

(1879)

102. Non si sa come fosse fatto il pre-esistente “monumento rozzo di forma” al quale accenna la lapide, anche se la sua esistenza è chiaramente segnalata già nella mappa del duca di Noja (1775). 

Si trattava forse di una semplice piccola croce (da cui il nome tradizionale di “Piazza Crocella” = mmiez’ ‘a ‘rucélla?), accompagnata da una immaginetta popolare della Madonna piangente il supplizio del suo divino figliolo [17].

Può darsi che la “crocella” fosse stata posta in occasione, ed in ricordo, di una delle missioni dei Padri gesuiti o redentoristi nel Casale della Barra e ci piace pensare che possa trattarsi proprio della missione tenuta nel 1741 da S. Alfonso Maria de’ Liguori [18].

Di certo, nel 1877, rinveniamo la “Concessione dell’area pubblica e spiazzo alla Crocella al sig. De Micco Michele fu Pasquale” (Delibera N°119 del 14 maggio 1877), ad opera del Sindaco Giuseppe Verolino.

103. Comunque sia, il Sindaco Giovanni Mastellone (1879-1882), appena nominato, pensò di collocare proprio in quel luogo, a spese del Municipio, la statua della Madonna “addolorata” che tuttora vi si vede, posta all’interno di una cappellina sormontata dallo stemma del Comune di Barra, con la Sirena bi-càuda.

104. Perché proprio la Madonna “addolorata”?  Evidentemente, perché la piazzetta era il luogo dal quale bisognava necessariamente partire per andare, a piedi, dall’antico abitato che, pochi anni prima (1875), aveva ricevuto dal Sindaco Picenna il nome unico di “Corso Sirena”, al cimitero di Barra, istituito in seguito alla legge del 1817, passando per le antiche “cupe” di Via Mastellone (dove abitava il Sindaco …) e Via Cimitero.

Era quindi ben appropriato che le persone che si recavano al cimitero trovassero, all’inizio del loro mesto pellegrinaggio, l’immagine della Madonna in lacrime per il suo Figlio morto.

105. D’altra parte, il Sindaco liberale, oltre che dall’esigenza di dare maggior decoro al proprio paese, era mosso ovviamente anche dal desiderio di accattivarsi le simpatie del clero e della maggioranza cattolica dei suoi concittadini, data la situazione, nella quale ci si trovava in quel momento, di conflitto fra lo Stato (liberale e massonico) e la Chiesa.

Ancora in quel tempo, infatti, in omaggio al vecchio principio cavourriano “libera Chiesa in libero Stato”, vigeva ufficialmente un regime di “separazione non collaborativa” fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica; si cercava tuttavia, da diversi esponenti a vari livelli dell’una e dell’altra parte, di porre gesti di distensione.  

106. Questo spiega il fatto che, anche in un piccolo Comune come Barra, potessero alternarsi bassi dispettucci come il “Rigetto della domanda del parroco (Don Diego Mignano) che chiedeva un ombrello per la processione” (Delibera consiliare N°333 del 29 aprile 1880) con la costruzione di un tempietto “in omaggio alla religione e alla civiltà”.

Accompagnata peraltro, sempre ad opera del Mastellone, dalla “Accettazione della dimanda dell’Arciconfraternita di Ave Gratia Plena pel nuovo servizio di accompagnamento dei cadaveri poveri” (Delibera N°411 del 18 maggio 1881).

Sull’argomento, evidentemente, i Sindaci liberali avevano imparato la lezione [19].

Primi lavori e toponomastica del Sindaco Mastellone (1879-1882)

107. Nel corso del suo primo [20] mandato da Sindaco, il Cav. Giovanni Mastellone, dei duchi di Limatola [21], si preoccupò altresì di completare l’opera iniziata dai suoi predecessori per il Corso Sirena, migliorando l’agibilità anche di alcune delle storiche “cupe” che, a monte e a valle, si innestavano sul Corso principale.

La mappa del duca di Noja (1775) mostra chiaramente che tali “cupe” erano in tutto 7 (di cui 4 a monte e 3 a valle).

Esse, indicate con la denominazione attuale, sono:

Antiche “cupe” a monte

1)            Via Pasquale Cicarelli

2)            Via Mastellone

3)            Via Gian Battista Vela

4)            Via Villa Bisignano

Antiche “cupe” a valle

1)            Via Serino / Via Figurelle

2)            Via Luigi Martucci / Via Lieto

3)            Via Bernardo Quaranta

 

Il Sindaco Mastellone intervenne, a tratti successivi e per quanto possibile alle finanze comunali, un po’ su tutte, provvedendo contestualmente anche alla nuova toponomastica.

Via Pasquale Cicarelli

108. La strada che collega il Largo Serino con la Piazza Abbeveratoio, e che la popolazione di Barra chiamava arèto ‘o cariéllo, fu ufficialmente denominata Via Pasquale Cicarelli (si scrive con una sola c).

Nella prima biografia di Don Raffaele Verolino, redatta da Don Raffaele Guida nel 1890, troviamo scritto che il Verolino, il giorno 9 maggio 1868, istituì il “Ritiro dell’Immacolato Cuore di Maria” in “un quartino preso in fitto nel cortile Fioriniello al Cajariello”.

Ancora nel 1868, dunque, la dicitura era “Cajariello” (probabilmente, da un “casariello” che doveva trovarsi lungo la stradina). Dopo di che, per le misteriosissime vie degli errori di scrittura che facevano gli impiegati comunali e delle storpiature verbali che faceva il popolo, si era giunti a “Cariello”.

In ogni caso, il Sindaco Giovanni Mastellone mutò il nome della strada in quello di Pasquale Cicarelli, nato a Salza Irpina (Avellino) nel 1827 e morto a Napoli nel 1877, che fu avvocato, docente di materie giuridiche presso l’Università di Napoli e deputato al Parlamento italiano.     

Via Gian Battista Vela

109. La strada di S. Maria del Pozzo (dal Corso Sirena alla chiesetta di S. Maria del Pozzo), il cui primo tratto, all’inizio dell’Ottocento, veniva anche indicato come “Vico di S. Lucia” per la presenza di una edicola dedicata a questa Santa, venne denominata Via Gian Battista Vela, dal nome del pittore barrese che vi aveva abitato nel Settecento [22].

Via Principe di Bisignano

110. La strada “che porta alle pigne di Solimena” (dal Corso Sirena alla Villa di Francesco Solimena), il cui primo tratto, all’inizio dell’Ottocento, veniva anche indicato come “Via di S. Martino” (perché congiungeva il Corso Sirena con la contrada di S. Martino, che prendeva il nome dalla antica chiesetta rovinata nel corso del Seicento), venne denominata Via Principe di Bisignano.

Via Egidio Velotto

111. La strada ’e sotto ‘e fenèste (attuale Via Serino) ricevette invece il nome di Don Egidio Velotto, che si estendeva anche alla vecchia strada detta “di S. Anna”, per la presenza di un’edicola dedicata alla Santa patrona.

La strada veniva chiamata popolarmente “Sotto le finestre” perché le abitazioni erano fatte in modo che “restassero sollevate dal pianterreno, per difenderle dalla invasione delle acque torrentizie … e dove poi le correnti, innanzi di uscire da quell’edificato, dovevano ricevere l’ultima stretta, laggiù, nel martello est-ovest di Corso Sirena, che infila le Figurelle, ivi le abitazioni sorgevano da due a tre metri sul piano stradale, e lo si rileva anche ora, da cui la denominazione, fino a poco in qua, di Via Sotto le Finestre...” (Cozzolino, 1889).

112. Dal canto suo, Don Egidio Velotto era un “prete della Barra” nato il 12 luglio 1767 e morto il 20 gennaio 1840.

Negli Atti di Santa Visita del 1838 (2 anni prima della sua morte) è conservato lo scritto di suo pugno nel quale egli, come erano tenuti a fare tutti i preti in occasione delle Sante Visite, relaziona su se stesso e la sua attività:

“Io qui sotto (scritto), Sacerdote impotente (= senza incarichi, né rèndite, di parroco, cappellano, rettore, o altro), mi chiamo D. Egidio Velotto: 

sono di età di anni settantuno (71), naturale di Barra:

fui ordinato Sacerdote sotto l’Eminentissimo Sig. Cardinale Zùrolo (= Giuseppe Capéce-Zurlo, 1781-1801) a titolo di patrimonio:

di mio assisto ai Casi Morali (= corsi di aggiornamento per i confessori), ed alla Dottrina dei fanciulli, perché sto occupato nella Scuola de’ Chierici, e Secolari:

sto ascritto alla Congregazione degli ex Domenicani:

ho fatto tutti gli studii, e specialmente tutto il corso Teologico:

celebro la S. Messa nei dì feriali nella Parrocchia, e nei dì festivi nella Chiesa degli ex Domenicani, ed abito con una donna monaca, di professione ortolana, di anni sessantacinque (65), essendo morti tutti i miei fratelli, e sorelle germane”.

113. Da notare che era iscritto alla Confraternita “laicale” del SS. Rosario, quella cioè dei PP. Domenicani, definiti “ex” perché il convento dei Domenicani era stato soppresso durante il Decennio francese (1805-1815) e nel 1838 non era ancora stato ufficialmente ricostituito; nei giorni festivi celebrava anche la Messa presso la loro chiesa.

La cosa che ci tiene però a sottolineare è che sta “occupato nella Scuola”, e non solo “de’ Chierici” ma anche dei laici (i “Secolari”); e il Cozzolino, nel suo libro sulla storia di Barra (1889), lo definisce anche “latinista di fama”.

114. Il nostro don Egidio, dunque, in un periodo di quasi totale analfabetismo di massa, e di totale assenza di scuole elementari, si dedicò, proprio come sua “missione sacerdotale”, ad insegnare a leggere e scrivere ai figli dei contadini.

E’ perciò una figura della tradizione e, nello stesso tempo, estremamente “moderna” (si potrebbe forse paragonare a un Don Lorenzo Milani dell’epoca …): per questo motivo, i Sindaci liberali di Barra, una cinquantina d’anni dopo la sua morte, gli vollero dedicare prima una strada (1881) e poi anche una piazza (1890), proprio là dove, all’angolo di incrocio fra la Via a lui dedicata e la Via Figurelle, c’era (ed oggi non più …) un bel mosaico, di piastrelle in maiolica, che raffigurava S. Anna che insegna a leggere alla Vergine bambina.

E per questa ragione, il tratto di strada in prossimità dell’edicola si diceva popolarmente abbàscio S. Anna mentre ’ncoppa S. Anna era il tratto superiore della strada.  

La toponomastica prima e dopo l’unità

115. Come si può notare, è in effetti solo dopo l’unità d’Italia che comincia ad esistere una vera e propria “toponomastica” ufficiale, mentre fino ad allora le strade portavano, per lo più, solo dei nomi attribuiti dalla voce popolare.

E’ da rilevare che anche le vecchie denominazioni di queste strade non sono tuttavia andate perdute; nel linguaggio popolare barrese, ricorrono infatti ancor oggi le espressioni: Arèto ‘o cariéllo; Abbàscio S. Anna; Sotto ‘e fenèste; ’O vico ‘e S. Lucia … 

Inoltre, anche ufficialmente, il tratto superiore di Via Gian Battista Vela si chiama tuttora “Via S. Maria del Pozzo” e la attuale Via Villa Bisignano, giunta al suo termine, prosegue nelle due strade denominate l’una “Via Pini di Solimena” (che conduce al luogo dove si trovava la Villa del Solimena) e l’altra “Via S. Martino” (che prosegue in Comune di S. Giorgio a Cremano).

116. Si può, sinteticamente, disegnare il seguente prospetto di “toponomastica storica”:

1775

Prima metà del 1800

Sindaco Mastellone (1879-1882)

2000

Cajariello

 

Abbasso e Sopra S. Anna

Sotto le finestre

 

Via di S. Maria del Pozzo

 

 

 

Strada che porta alle pigne di Solimena

 

idem (arèto ‘o cariéllo)

 

idem

idem

 

Vico di S. Lucia /

Via di S. Maria del Pozzo

 

Via di S. Martino /

Strada che porta alle pigne di Solimena

 

Via Pasquale Cicarelli

 

Via Egidio Velotto

Via Egidio Velotto

 

Via Gian Battista Vela/

Via di S. Maria del Pozzo

 

Via Principe di Bisignano / Via di S. Martino

Strada che porta alle pigne di Solimena

 

idem

 

Via Egidio Velotto

Via Serino

 

idem

idem

 

 

Via Villa Bisignano

Via S. Martino

Via Pini di Solimena

Mastellone e Cozzolino

117. In tanto fervore di opere per “le buone strade”, fin dal 1879 cominciamo a notare, a fianco del sindaco Giovanni Mastellone, una persona destinata ad avere in seguito un influsso determinante sull’assetto urbanistico di Barra e cioè l’ingegnere Pasquale Cozzolino, del quale meglio diremo a suo luogo. 

Per il momento, ci limitiamo a registrare la “Proposta Falcocchio (= il notaio Luigi Falcocchio, consigliere ed assessore comunale) per la nomina del Sig. Cozzolino Pasquale ad architetto ufficioso” (Delibera consiliare N°491 del 2 agosto 1882).

118. Infine, sempre a merito del Mastellone nel suo primo triennio da sindaco, va anche ascritta la “Concessione ai fratelli Petriccione d’impiantare nel Comune stabilimenti industriali con libero esercizio” (Delibera N°390 del 29 gennaio 1881).

Il sindaco farmacista Luigi Martucci (1882-1886)

119. Dopo Giovanni Mastellone dei duchi di Limatola, venne nominato Sindaco di Barra il farmacista Luigi Martucci (1841-1910), che rimase in carica dal 13 novembre 1882 al 30 novembre 1886.

120. A proposito di farmacisti, va qui segnalato che, per tutto il periodo borbonico, l’unica farmacia presente in Barra era quella della famiglia Viviani.

Un farmacista (1890)

Soltanto dopo l’unificazione italiana, cominciarono ad esservi altre farmacie. Troviamo così il “Pagamento di medicine al farmacista Pasquale Borrelli (Delibera N°208 del 28 marzo 1874) e la discussione “Circa l’apertura di nuove farmacie in Barra” (N°391 del 26 febbraio 1881 e N°448 del 22 novembre 1881), anche in seguito a più pressanti richieste della popolazione: “Accettazione dell’istanza di diversi ammalati per avere un dispensario per la cura degli occhi” (Delibera N°413 del 18 maggio 1881).

A partire dal 1882, troviamo menzionato il farmacista Luigi Persico e, a partire dal 1890, il farmacista Palmieri.

121. Dal canto suo, Luigi Martucci nacque il 25 settembre 1841, in un appartamento di Palazzo Bisignano, da Michele Martucci e Maddalena Scognamiglio, e la sua farmacia era, in pratica, quella che è oggi tenuta dal dott. De Marino, proprio in un locale a piano terra di quello storico edificio.

Il Martucci fu il tipico esponente della Sinistra liberale, ovvero di quella parte della classe borghese che, sinceramente attaccata ai tradizionali valori risorgimentali, comprendeva però anche la necessità di aprirsi alle nuove esigenze che provenivano dai ceti più poveri (contadini ed operai), che cominciavano in quel tempo a prendere coscienza della loro collocazione di classe e ad unirsi ed organizzarsi per rivendicare migliori condizioni di vita ed una più equa distribuzione del reddito.

La sua opera come Sindaco fu da tutti apprezzata, per la onestà personale e la sensibilità sociale che la caratterizzarono. 

Fu lui ad ottenere per Barra alcuni servizi “moderni”, come l’ufficio del telegrafo, l’illuminazione pubblica a gas, il servizio di tram a cavalli nonché una migliore assistenza sanitaria per la popolazione più povera.

L’Ufficio del telegrafo (1883)

122. Già il sindaco Tommaso Fasano (1869-1872) aveva fatto istanza “Per l’installazione di un ufficio telegrafico” (Delibera N°81 del 13 maggio 1871) ma le cose evidentemente andarono piuttosto per le lunghe …

L’Ufficio del telegrafo (con relativo singolo impiegato) venne infatti inaugurato ufficialmente dal sindaco Martucci il 14 giugno 1883, e fu un evento memorabile per il paese, al quale parteciparono “in pompa magna” le autorità comunali e napoletane, carabinieri, guardie municipali, etc. nonché quasi tutta la popolazione, inorgoglita e festante per questa “avveniristica” installazione.

Tuttavia, è lecito chiedersi quanti Barresi ebbero un qualche motivo, in seguito, di servirsi di quel telegrafo: per molti anni ancora, oltre che per le comunicazioni ufficiali da e per la pubblica amministrazione, esso venne usato, di fatto, da pochissime persone.

Il telegrafo

La nuova strada “consortile” Barra - S. Giovanni

123. Già nel 1882, sotto il precedente sindaco Giovanni Mastellone (1879-1882), l’ingegnere Pasquale Cozzolino aveva elaborato, ed anche pubblicato a stampa, un progetto “Per l'apertura di una nuova strada tra i limitrofi abitati di Barra, S. Giovanni a Teduccio e Borgata Villa”.

Nel febbraio del 1884, il Martucci iniziò l’esproprio del terreno che doveva servire per realizzare questa “nuova strada” fra Barra e S. Giovanni a Teduccio (attuali Corso IV Novembre e Corso Protopisani).

Purtroppo, questo progetto poté giungere in porto solo vari anni dopo, nell’ àmbito dei lavori per il “Risanamento”. Infatti, da lì a poco, anche Barra fu colpita da quella epidemia di colera che infierì su tutta la città di Napoli nella seconda metà del 1884.

Luigi Martucci durante il colera del 1884

124. Fu proprio in questa tragica circostanza, però, che ebbe modo di manifestarsi tutto l’amore che il Martucci portava al suo paese ed al suo popolo, e la dedizione con la quale svolgeva il suo ufficio di Sindaco.

Egli si prodigò in tutti i modi per organizzare l’assistenza ai colerosi (che, come nel 1837, rimasero prevalentemente nelle proprie case) e girava personalmente in tutta Barra (ricordiamo che, oltre ad essere il Sindaco, era anche farmacista) per visitare le famiglie colpite, raccogliere le necessità dei cittadini, dare gli aiuti possibili.

Dati gli scarsi mezzi di cui disponeva il Comune, fece anche appello alla generosità dei singoli e delle famiglie e non esitò ad usare anche “del proprio” per aiutare i colerosi: la voce della tradizione locale dice che arrivò perfino a vendere il corredo della moglie, pur di aiutare la gente del suo paese.

Per il comportamento tenuto in occasione del colera del 1884, fu in seguito insignito della medaglia d’argento al valor civile.

Il Lapegna scolpisce sinteticamente: “Nell’epidemia colerica del 1884, con mirabile abnegazione, col P. Giuseppe De Cristofaro, affrontò ogni pericolo, distribuendo viveri, medicinali, denaro e persino biancheria della propria famiglia, meritando la medaglia d’argento al valore civile”.

Medaglia d'argento al valor civile 1884

I Domenicani a Barra nell’Ottocento

125. Come si vede, nel 1884, il Sindaco Martucci venne co-adiuvato, in particolare, dal Padre domenicano Giuseppe De Cristofaro.

Questa collaborazione è particolarmente significativa, ove si consideri che si era in un tempo di grave conflitto fra lo Stato (liberale e massonico) italiano e la Chiesa cattolica.

126. Dopo l’Unità d’Italia, tutti gli Ordini religiosi erano stati nuovamente soppressi (come nel decennio francese) ed i loro terreni espropriati. Anche a Barra, i due conventi, quello dei Francescani e quello dei Domenicani, erano stati espropriati ed adibiti ad altri usi [23].

In particolare, lo storico convento dei Domenicani [24], nel quale risultavano esserci circa 15 frati intorno al 1750, era stato soppresso nel 1809, in seguito alla Legge di “soppressione generale” decretata dai Francesi il 7 agosto di quell’anno.

Il ripristino della vita religiosa nel Regno avvenne poi a partire dal Concordato del 1818 fra il restaurato Regno borbonico e la Chiesa.

Tale ripristino fu tuttavia molto graduale: nel 1855, a fronte di ben 250 conventi domenicani esistenti in Italia meridionale prima della soppressione, ne risultavano ripristinati solo 27.

127. Il convento di Barra ritornò ai Domenicani solo nel 1852. Per un breve periodo (1852-1866), nel convento barrese risulta di nuovo vigente “la perfetta vita comune” secondo la Regola. Inoltre, essendo anche la sede del “noviziato”, vi era obbligo, da parte di tutti gli altri conventi della Provincia domenicana dell’Italia meridionale (la Provincia Regni) di contribuire alle spese di quello di Barra. Così che, esso divenne, in quei pochi anni, il vero e proprio “semenzaio della Provincia” come ebbe a dire il Priore di quel tempo, il P. Gaetano Capasso.     

Durò poco, come detto, perché nel dicembre 1866 il convento venne nuovamente espropriato, questa volta in base alla Legge di “soppressione nazionale” decretata dallo Stato italiano il 7 luglio del 1866.

Nel 1877, risulta adibito in parte “ad uso di Pretura ed ufficio del Registro” ed in parte addirittura a deposito comunale; successivamente, vi furono insediate le Scuole municipali.

128. Alcuni religiosi, chiusi i conventi, avevano abbandonato la veste, allettati anche dalla apposita pensione maggiorata che il governo italiano elargiva per incoraggiare gli abbandoni.

Altri, però, “tennero duro” e, raggruppati in piccole comunità, continuarono a condurre la vita di “regolare osservanza, nelle proprie famiglie ovvero in case di particolari” rimanendo per quanto possibile “presso la chiesa del rispettivo convento in qualità di Rettore, Custode, e simili” (Lettera circolare del Priore della Provincia Regni, del 3 dicembre 1866).

129. Questo fu proprio il caso di Barra, laddove il Comune, pur diventato proprietario di chiesa e convento, nominava all’ufficio di Rettore uno dei frati (questo accadeva, contestualmente, anche per il convento dei Francescani).

Così, il 13 maggio 1870 (quattro anni dopo la soppressione), il priore di Barra, P. Alessandro Conte, informava il Maestro Generale dell’Ordine che la comunità superstite era formata da 9 persone (5 sacerdoti e 4 laici) che seguivano “nella pace del Signore, la regolare osservanza”.

130. Animatori della “resistenza”, a Barra, furono soprattutto i due fratelli PP. Alessandro e Domenico Conte, che si succedettero come priori locali: Alessandro morì nel 1871 e Domenico nel 1885.

Dopo di loro, viene ricordato come priore il P. Ludovico Cacciapuoti, finché nel 1894 (circa 30 anni dopo la soppressione) i Domenicani poterono ricomprarsi il loro convento, “in moneta sonante, con i risparmi dei religiosi e le offerte di fedeli”, versando al Comune di Barra la bella cifra di 19.000 lire in contanti.

Fra questi Domenicani “resistenti”, vi era anche il P. De Cristofaro.

Il P. Giuseppe De Cristofaro

131. Questo encomiabile religioso era di nobili origini: la famiglia dei baroni De Cristofaro aveva acquistato in Barra, nel periodo del Decennio francese (1805-1815), la Villa che da loro prende il nome, esistente peraltro fin dal Seicento [25].

In quei perigliosi frangenti, il P. De Cristofaro non solo aveva rinunciato a tutti i suoi diritti ereditari per farsi frate, ma aveva anche convinto la sua famiglia ad adibire una parte del loro vasto palazzo di Barra come sede della piccola comunità dei Domenicani “èsuli” dal loro convento, affinché potessero continuare a vivere insieme, secondo la Regola e vicini alla loro chiesa.

Stemma de Cristofaro

132. Si era dunque in questa situazione, quando sopraggiunse il colera del 1884 e, in nome della comune solidarietà con il popolo barrese, il liberale (“laico”, ma non troppo) Luigi Martucci ed il religioso (ma ufficialmente “soppresso”) Giuseppe De Cristofaro affrontarono insieme “ogni pericolo, con mirabile abnegazione”.  

Continua l’opera del Martucci

133. Cessata l’epidemia colerica alla fine del 1884, il Martucci proseguì la sua meritoria opera di Sindaco.

Il 22 gennaio 1885, viene organizzata una processione “straordinaria” di S. Anna, in ringraziamento per il cessato pericolo, ed il Comune liberale di Barra se ne accolla le spese con maggior larghezza del solito …

Contestualmente, il Comune delibera che, per l’anno 1885, verranno distribuiti gratis alle famiglie povere del paese “pane, pasta, carne vaccìna, medicinali e latte d’asina…” ed alcune piccole somme di danaro in occasione della Pasqua e del Natale.

134. Inoltre, nell’aprile dello stesso anno 1885, iniziano concretamente i lavori di installazione delle condutture per passare dall’illuminazione pubblica a petrolio a quella a gas, come il Comune aveva deliberato già nel precedente anno 1884.

continua


Note

[12] Vedi n°400 in “Il periodo borbonico dal 1790 al 1860”.

[13] Vedi nn°387-400, ibidem.

[14] Vedi nn°219-221, ibidem.

[15] Vedi n°166 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”.

[16] Vedi n°165, ibidem.

[17] Dice infatti il Vangelo: “Stavano presso la croce di Gesù: sua madre; la sorella di sua madre, Maria di Clèofa; e Maria di Màgdala” (Gv 19, 25).  Si ricordi anche il famoso inno “Stabat mater”: Stabat mater dolorosa / iuxta crucem lacrimosa / dum pendebat Filius ...

[18] Vedi n°253 e n°271 in “Il periodo borbonico dal 1734 al 1790”.

[19] Vedi n°171 in “Il periodo liberale dal 1860 al 1876”. 

[20] Il Mastellone fu poi di nuovo sindaco per altre due volte consecutive, nel periodo 1886-1892.

[21] Vedi nn°165-172 in “Il periodo del vice-regno spagnolo nel 1600”.

[22] Vedi nn°362-366 in “Il periodo borbonico dal 1734 al 1860”.

[23] Per le notizie che seguono, vedi: Miele-Cioffari, “Storia dei Domenicani nell’Italia meridionale”, Editrice Domenicana Italiana, Napoli-Bari 1993.  

[24] Vedi nn°166-198 in “Il periodo del Viceregno spagnolo nel 1500”.

[25] Vedi nn°205-218 in “Il periodo borbonico dal 1734 al 1790”.

Angelo Renzi


Pubblicazione de Il Portale del Sud, maggio 2017

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